In due anni appena l’economista ultraliberista Javier Gerardo Milei è passato dall’essere un provocatorio showman televisivo, che spaccava in diretta un modellino della banca centrale argentina, all’essere eletto presidente del paese. Al ballottaggio del 19 novembre più di quattordici milioni di argentini hanno votato per questo candidato stravagante e rabbioso, che ha promesso di cacciare i politici a calci nel sedere, di dollarizzare l’economia perché il peso, la moneta nazionale, “non è utile neanche come escremento” e di pianificare tagli senza precedenti alla spesa sociale.
Milei è diventato presidente dopo aver moderato i toni nella campagna elettorale per il ballottaggio contro il peronista Sergio Massa, di centrosinistra. Nelle ultime settimane ha adottato i modi di quei politici di professione che tanto odia per conquistare i voti che gli servivano per vincere. Il Leone, come è soprannominato, invece di ruggire ha mantenuto la calma anche quando è stato contraddetto e ha fatto marcia indietro sulle sue idee più discutibili, come la privatizzazione della sanità e dell’istruzione e la liberalizzazione del porto d’armi. La sua recente trasformazione riporta alla mente una delle frasi più famose attribuite all’ex presidente Carlos Menem, che governò l’Argentina dal 1989 al 1999: “Se avessi detto quello che avrei fatto nessuno mi avrebbe votato”. Milei ha fatto proclami e poi è tornato sui suoi passi, com’è successo per il sostegno alla vendita di organi e di bambini, e per le denunce di brogli elettorali. Le sue innumerevoli contraddizioni hanno costretto gli argentini a scegliere a quale delle due versioni credere. Il suo vero volto comincerà a rivelarsi quando entrerà in carica, il 10 dicembre.
Diritti sociali a rischio
Milei è nato a Buenos Aires il 22 ottobre 1970 in una famiglia della classe media. Figlio di Norberto, un conducente di autobus diventato poi proprietario di un’azienda di trasporti, e di Alicia, una casalinga, Milei ha detto di essere cresciuto tra botte, umiliazioni e abusi verbali. “Tua sorella è così per colpa tua, se muore è colpa tua”, l’aveva accusato la madre quando la sorella Karina era rimasta traumatizzata assistendo a un episodio di violenza. “Con tutte le botte che ho ricevuto da bambino oggi non ho paura di nulla”, ha raccontato in un’intervista televisiva.
Milei ha capito meglio di chiunque altro la stanchezza della società argentina per le tante crisi economiche e la mancanza di soluzioni per milioni di persone: quelle che si spaccano la schiena lavorando ma non arrivano alla fine del mese, che si chiudono in casa al tramonto perché hanno paura di uscire e che evadono le tasse perché il futuro è troppo incerto e sono stanche di vedere i figli restare senza lezioni nelle scuole pubbliche e di aspettare mesi per una visita medica specialistica.
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Milei è entrato in politica convinto di avere una missione: “Farla finita una volta per tutte con l’inflazione, con l’insicurezza e con i privilegi dei politici”. In breve, è convinto di poter cambiare l’Argentina per sempre, eliminando il peronismo. Ha promesso che, dandogli tempo, in 35 anni il paese sudamericano diventerà come gli Stati Uniti e in quaranta come l’Irlanda. Sono dieci mandati presidenziali, ma la costituzione attuale ne autorizza solo due consecutivi.
Poi c’è la lotta alle idee progressiste, in un paese che in America Latina è all’avanguardia nella conquista dei diritti sociali: Milei ha detto di voler abrogare la legge sull’aborto, in vigore dal 2020; ha mostrato il suo disprezzo per il matrimonio tra persone dello stesso sesso, possibile dal 2010; ha negato il divario di genere, che secondo le statistiche è del 26 per cento, e ha detto che il cambiamento climatico non è causato dagli esseri umani. Ha proposto di privatizzare le aziende pubbliche e perfino le risorse naturali del paese, come il giacimento di idrocarburi non convenzionali Vaca Muerta (nella Patagonia settentrionale), i fiumi e i mari. Se i fiumi avessero un proprietario, ha detto Milei, smetterebbero di essere inquinati.
Temperamento esplosivo
Il recente sostegno arrivato dai genitori di Milei non significa che facciano parte della cerchia ristretta di un uomo che in tanti descrivono come solitario e diffidente. Tra i collaboratori più vicini ci sono la sorella Karina, che lui chiama el jefe, il capo, perché è la massima autorità della sua campagna elettorale, e i suoi “figli a quattro zampe”: i cani Milton, Murray, Robert e Lucas, dai nomi degli economisti che il presidente eletto ammira (Milton Friedman, Murray Rothbard e Robert Lucas). Sono cloni di Conan, il mastino che adorava, morto nel 2017, e con il quale sostiene di comunicare ancora. Infatti secondo il suo biografo non autorizzato, Juan Luis González, autore di El loco, “il pazzo”, Conan e Milei comunicano attraverso una medium.
A questa esotica famiglia si è aggiunta da un paio di mesi la nuova compagna Fátima Flórez, nota per le imitazioni in tv dell’ex presidente argentina Cristina Fernández de Kirchner, peronista. Sono un ricordo le confessioni fatte da Milei alcuni anni fa, quando affermava di essere un insegnante di sesso tantrico ed era chiamato “mucca cattiva”, perché non eiaculava più di una volta ogni tre mesi.
Alla scuola Cardenal Copello era conosciuto come El Loco, il pazzo, un soprannome usato anche dai suoi compagni di calcio nelle squadre in cui ha giocato da portiere: il Chacarita Juniors e il San Lorenzo.
I suoi ex compagni di squadra ne parlano come di un ragazzo riservato che non amava troppo socializzare. Una descrizione simile fanno anche le persone che hanno condiviso con lui l’ufficio alla Corporación América, un gruppo di aziende presieduto da Eduardo Eurnekián, uno degli uomini più ricchi d’Argentina, considerato il suo primo padrino. Tutti concordano che il temperamento esplosivo di Milei è stato una fonte costante di problemi fino a oggi.
“Sei una comunista di merda, stai rovinando il paese”, ha urlato una volta in ascensore a una signora che gli chiedeva se insegnasse le teorie del britannico John Maynard Keynes nelle sue lezioni di economia.
“Vattene, mi stai maltrattando”, ha urlato lo scorso luglio a una fotografa del País quando lei gli ha chiesto di sorridere per uno scatto. Molti giornalisti e opinionisti televisivi, spesso donne, hanno subìto i suoi scatti d’ira.
Il suo carattere rivela tratti intransigenti e autoritari, preoccupanti per una persona che dovrà governare. Lui e la vicepresidente Victoria Villarruel negano il terrorismo di stato e minimizzano i crimini contro l’umanità commessi durante la dittatura militare (1976-1983) e condannati in democrazia. Li considerano solo degli “eccessi”.
“Milei è profondamente antidemocratico. Si arrabbia quando lo contraddicono, non vuole sentire opinioni diverse dalle sue, anche se formulate con gentilezza”, afferma l’avvocato liberista ed esperto di finanza Carlos Maslatón. Ex militante della coalizione La libertad avanza, Maslatón ha preso le distanze da Milei e racconta un fatto avvenuto durante il suo programma radiofonico qualche anno fa. L’avvocato aveva espresso il suo disaccordo su uno strumento finanziario e Milei, furioso, si era alzato e se n’era andato. Si era rifatto vivo solo tre settimane dopo. Maslatón è convinto che dietro questi atteggiamenti ci sia una persona “molto insicura”.
Nel 2022, quando la presidente della camera dei deputati Cecilia Moreau gli ha chiesto di chiamarla presidenta e non presidente, lui si è rifiutato. Alla fine del suo discorso ha lasciato l’aula gridando “casta, casta, casta”.
L’alleanza tra Milei e Villarruel è stata vantaggiosa per entrambi. Milei ha attirato gli elettori insoddisfatti delle politiche economiche, Villarruel quelli che si identificano con i valori dell’estrema destra, come gli antiabortisti e chi si oppone alle rivendicazioni territoriali delle comunità native e ai diritti relativi alle diversità sessuali. Villarruel ha anche aiutato Milei a stringere alleanze con l’estrema destra internazionale, in particolare con il partito spagnolo Vox.
Ma il successo di Milei ha allargato la già grande spaccatura politica della società argentina. Nemmeno uno spazio di alta cultura come il Colón, il teatro lirico più importante del paese, è stato risparmiato dall’estrema tensione che si respirava alla vigilia delle elezioni presidenziali. Il 17 novembre la presenza del politico di estrema destra non è passata inosservata. “Milei, spazzatura, tu sei la dittatura”: con queste parole una parte dei presenti e dell’orchestra lo hanno contestato quando lo hanno riconosciuto tra il pubblico. Alla fine dello spettacolo qualcuno l’ha applaudito.
Nemico dello stato
La prima passione di Milei è stata il calcio, ma l’iperinflazione argentina alla fine degli anni ottanta lo spinse a cambiare gli scarpini per i libri di economia. Si è laureato in economia all’università di Belgrano, a Buenos Aires, dove poi ha anche insegnato, e ha fatto studi post-laurea all’istituto per lo sviluppo economico e all’università Torcuato di Tella. Ha studiato a fondo le idee di Keynes, per poi ripudiarle in molte occasioni.
Da liberista si oppone a qualsiasi intervento dello stato nel mercato. Lo ha ripetuto davanti alle telecamere usando metafore così violente che il suo avversario, il peronista Sergio Massa, le ha ricordate per delegittimarlo come candidato alla presidenza. “Lo stato è il pedofilo dell’asilo con i bambini incatenati e unti di vaselina”, aveva detto Milei nel 2019, quando ancora non era in politica. “Se dovessi scegliere tra lo stato e la mafia sceglierei la mafia, perché la mafia ha dei codici, la mafia raggiunge i suoi obiettivi, la mafia non mente e, soprattutto, sa cosa sia la concorrenza”, aveva dichiarato l’anno dopo.
In quel periodo Milei si era presentato a Buenos Aires a un festival di cosplayer (persone mascherate da personaggi di fantasia) vestito da generale AnCap (anarco-capitalista) con una maschera e un tridente. “Vengo da Liberland”, aveva annunciato ai presenti, un paese “dove nessuno paga le tasse. La mia missione è prendere a calci nel culo i keynesiani”.
Quattro anni dopo quel supereroe proveniente da un paese immaginario è diventato presidente dell’Argentina.
Milei è nato e cresciuto ai margini, come tanti populisti prima di lui. Durante la pandemia di covid-19 i social network l’hanno aiutato a conquistare i giovani, soprattutto quelli più arrabbiati con un governo che gli impediva di uscire a causa del rigido lockdown. Ridevano delle bestialità che ascoltavano, ma cominciavano anche a convincersi dell’importanza della battaglia culturale con cui Milei prometteva di cambiare l’Argentina. Poi hanno diffuso le sue idee estremiste tra genitori e nonni. “Mio figlio è diventato un suo sostenitore convinto e ogni giorno dice a me e a mio marito di votarlo”, ha raccontato la commessa di una cartoleria di Buenos Aires che alla vigilia del secondo turno del 19 novembre rientrava tra il 10 per cento di indecisi.
Gli imprenditori non si fidano di Milei e guardano con sospetto alla promessa di dollarizzare un’economia senza dollari , temendo che la misura possa provocare solo caos. Prima del voto un centinaio di prestigiosi economisti ha firmato una lettera per contestare varie misure economiche del programma di Milei, ma il suo discorso su questo non è cambiato: “Il ministro dell’economia sarò io”, ha risposto a qualcuno dei suoi collaboratori quando gli è stato chiesto un nome per questo ruolo così importante.
Con il suo look da adolescente post-punk – criniera arruffata e giacca di pelle anche quando il termometro supera i 30 gradi – nei comizi Milei si trasforma in un personaggio a metà strada tra una rock star e un predicatore. È il suo palcoscenico preferito.
“Stare al centro dell’attenzione, senza dover dialogare con i presenti: è ancora questo il posto in cui si sente più a suo agio”, ha scritto González, il biografo non autorizzato. Fin da bambino Milei ha cercato di occupare quel posto. Nel cortile della scuola imitava i balli del suo adorato Mick Jagger, senza immaginare che decenni dopo migliaia di persone avrebbero cantato con lui “Yo soy el rey de un mundo perdido”, i versi di una canzone del gruppo La Renga.
“Gli è difficile partecipare a un incontro e avere un dialogo rilassato con le persone presenti”, dice l’avvocato Maslatón. Non accetta con serenità neanche di essere interrotto. “Gli piace fare un discorso e andarsene”, aggiunge. Magari può unirsi a grida e canti, ma difficilmente partecipa a una conversazione collettiva.
È cattolico, ma alcuni anni fa ha cominciato ad avvicinarsi all’ebraismo e non esclude di convertirsi in futuro. Durante la campagna presidenziale ha detto che il suo più grande riferimento è Mosè, che ha definito un grande leader privo del dono della comunicazione. “Dio ha mandato Aronne a divulgare la sua parola. Kari [riferendosi alla sorella Karina] è Mosè e io sono il divulgatore”, ha detto.
Attacchi al papa
Milei ha alternato per anni l’insegnamento universitario all’attività di economista. È stato consigliere del generale Antonio Bussi e capo economista della fondazione Acordar dell’ex candidato alla presidenza Daniel Scioli, un imprenditore peronista. Ma nel suo curriculum spicca soprattutto il lavoro svolto per un decennio agli ordini del magnate argentino di origini armene Eduardo Eurnekián.
Il miliardario l’ha portato alla ribalta grazie alla sua emittente televisiva América Tv e gli ha fornito i contatti necessari per la sua carriera politica. In seguito, almeno in pubblico, se n’è pentito. “Ho 3.700 dipendenti nella mia azienda e uno di loro è uscito fallato, cosa volete che ci faccia”, ha detto giorni fa. Quello che gli rimprovera di più sono le critiche esplicite a papa Francesco, che Milei considera un “imbecille” con “affinità con i comunisti assassini” e che ha definito addirittura “il rappresentante del maligno sulla Terra”.
“Non è nella posizione di giudicare o dare un’opinione sul papa”, ha detto Eurnekián.
“Ci accusano di aver creato il mostro”, confessa una fonte di questo colosso imprenditoriale. Se è vero, non sono stati gli unici a dare un contributo. Gli ex alleati di Milei affermano che all’inizio anche la squadra di Massa gli ha dato una mano per comporre le sue liste, nella speranza che Milei potesse dividere il voto dell’opposizione e far perdere consensi al partito di destra Juntos por el cambio, dell’ex presidente Mauricio Macri. “Pensavano che avrebbe ottenuto il 15 o il 18 per cento al massimo”, spiegano. Al primo turno, quando Milei ha raddoppiato questa percentuale lasciando per strada Patricia Bullrich, la candidata di Juntos por el cambio, Macri gli ha teso la mano.
Come presidente avrà bisogno di circa cinquemila amici per occupare le posizioni di maggior peso nello stato. Non li ha, ma Macri è disposto a presentargliene molti. C’è il rischio di una presidenza bicefala, con un volto visibile e l’altro nell’ombra.
L’unione delle forze con la destra di Macri ha moltiplicato e diversificato la base di sostenitori di Milei: i maschi giovani non sono più la maggioranza, ci sono anche uomini e donne di mezza età e anziane. Mentre i primi hanno trovato nel presidente eletto un argine di resistenza all’avanzata del femminismo e delle minoranze sessuali, i secondi vedono in lui l’uomo che può salvarli da altri quattro anni di governo peronista. I nuovi arrivati cantano più timidamente dei sostenitori di lungo corso la canzone di successo La casta tiene miedo, “la casta ha paura”, perché ne facevano parte fino a un mese fa. Si sono anche persi lo spettacolo del maschio alfa a bordo di un pick-up con una motosega accesa in mano. Quell’oggetto, un simbolo aggressivo dei tagli alla spesa, è stato sostituito dal peluche di Pochita, un personaggio del manga Chainsaw man. Rappresenta un demone, ma dal suo aspetto tenero non si direbbe.
L’inesperienza politica di Milei è emersa bene nell’ultimo dibattito con Massa, pochi giorni prima del ballottaggio. Il candidato peronista l’ha messo alle strette tempestandolo di domande. Milei ha risposto come ha potuto, ma allo stesso tempo ha combattuto una battaglia non verbale mostrandosi educato davanti alle telecamere senza perdere il controllo. Ci è riuscito. Massa ha fatto emergere l’impreparazione di Milei per amministrare il paese, ma molti si sono immedesimati nella fragilità e nei dubbi dell’economista messo all’angolo.
Alla vigilia del voto Milei era convinto che solo i brogli potessero impedirgli di vincere. Da Córdoba, la provincia argentina più antikirchnerista e antiperonista del paese, questo politico impavido ha invitato gli elettori a liberarsi e a non avere paura: “Di quale rischio state parlando, di quale salto nel vuoto? Siamo già diretti verso l’inferno”, ha detto.
Il 19 novembre più di quattordici milioni di argentini hanno deciso di dargli un’opportunità. ◆ fr
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Questo articolo è uscito sul numero 1539 di Internazionale, a pagina 18. Compra questo numero | Abbonati