Ecco l’inizio del tanto annunciato progetto Albania del governo italiano: sedici persone su una nave da guerra. Eppure per la sua politica migratoria la presidente del consiglio Giorgia Meloni riceve perfino apprezzamenti dalla presidente della Commissione europea. “Un’ iniziativa importante”, ha dichiarato Ursula von der Leyen, secondo la quale l’Unione potrebbe imparare dall’esperienza italiana. Del resto, di fronte alle resistenze crescenti di molti paesi all’accoglienza, l’Unione europea si sta impegnando quasi disperatamente per respingere i migranti. A maggio, dopo molti sforzi, si è arrivati a un patto sul diritto d’asilo che detta regole più severe.

Questi sedici migranti non sono solo persone con la vita segnata dalla fuga, ma ora sono anche degradati a oggetti di una politica fallimentare. La selezione di questi pionieri forzati delle nuove politiche d’asilo europee è significativa: provengono dall’Egitto e dal Bangladesh, due paesi relativamente stabili. Meloni voleva essere sicura che non potessero presentare richiesta d’asilo, altrimenti il suo segnale avrebbe perso forza: non serve a niente che vi mettiate in viaggio, non entrerete in Europa, la vostra richiesta d’asilo sarà respinta in Albania e sarete rispediti a casa. Tuttavia, la corte di giustizia europea ha appena stabilito che i respingimenti si possono fare solo se il ritorno al paese d’origine è davvero sicuro. Ma un paese da cui le persone fuggono non può essere sicuro. È già successo che l’Italia sia riuscita a rimpatriare quattromila persone in un anno. Ma nei due centri albanesi dovrebbero arrivare tremila persone al mese, cioè trentaseimila all’anno. E il patto con l’Albania prevede che chi non viene rimpatriato entro diciotto mesi torni in Italia.

A guardare le immagini del centro nel villaggio di Gjader si può solo inorridire. L’Europa è ormai abituata a strutture in cui le persone sono costrette a vivere per un lungo periodo di tempo senza prospettive sicure, ma questo ha una dimensione diversa. Con le sue imponenti barriere protettive, ha l’aspetto di un carcere di massima sicurezza. Nuovo di zecca, ma inospitale e freddo. Le parole del ministro dell’interno italiano Matteo Piantedosi, che ha sottolineato l’assenza di filo spinato, suonano quasi come una presa in giro. Il progetto Albania non può essere la soluzione. È la prova tangibile dell’impotenza dell’Europa e della sua disumanità. ◆ ct

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Questo articolo è uscito sul numero 1585 di Internazionale, a pagina 19. Compra questo numero | Abbonati