È un dramma che sembra non avere fine: il 2 e 3 aprile, nel nordest della Repubblica Democratica del Congo (Rdc), una trentina di persone sono state uccise brutalmente dopo essere state catturate dai ribelli delle Forze democratiche alleate (Adf). La notizia è stata diffusa dalla Monusco, la missione delle Nazioni Unite nel paese, che finora è stata incapace d’impedire queste stragi. Un rappresentante della società civile della provincia dell’Ituri ha spiegato che le vittime erano “contadini impegnati a lavorare nei campi”, che sono stati “catturati, legati” e infine uccisi.
Il 9 marzo lo stesso gruppo aveva massacrato una quarantina di persone nella vicina provincia del Nord Kivu. Dall’inizio dell’anno i morti negli attacchi delle Adf sarebbero più di duecento. Dal 2019 le Adf sono affiliate al gruppo Stato islamico e adottano i suoi codici di abbigliamento e i rituali. Per esempio, pubblicano video, con canti di preghiera in sottofondo, per rivendicare i loro innumerevoli attacchi e rapimenti di civili. Lo fanno in nome di un jihad che ha ormai raggiunto i confini delle foreste congolesi, seminando terrore e distruzione. Dopo essere stata allontanata dall’Uganda, dove si era formata alla fine degli anni novanta, questa milizia ricorre a violenze sempre più estreme. Il 7 aprile di un anno fa ha portato a termine il suo primo attentato con una bomba in un bar di Goma, il capoluogo del Nord Kivu: una donna si è fatta esplodere, uccidendo sei persone.
La capacità delle Adf di nuocere è rimasta nel complesso intatta, nonostante il dispiegamento, nel novembre 2021, di un’operazione chiamata Shujaa.
Regione martire
Quest’intervento militare prevede la collaborazione inedita tra le forze ugandesi e quelle congolesi per tentare di sradicare uno dei gruppi armati più letali tra i circa 140 che proliferano nelle province orientali dell’Rdc, un territorio grande due volte l’Irlanda. Il 6 aprile l’operazione Shujaa è entrata nella sua quarta fase, dopo aver “ridotto le capacità belliche delle Adf” attraverso lo smantellamento di alcune roccaforti. Le forze dell’Adf, ormai ridotte a piccolo gruppi, hanno mostrato una grande mobilità e hanno continuato a colpire. In realtà l’operazione Shujaa è stata penalizzata dalle scelte strategiche del governo di Kinshasa, che ha preferito concentrarsi sulla lotta contro i ribelli del Movimento 23 marzo (M23), che si dice sia sostenuto dal vicino Ruanda. Per contrastare questi ribelli, considerati dal governo la principale minaccia nell’est del paese, i soldati congolesi inizialmente assegnati all’operazione Shujaa sono stati trasferiti nel Nord Kivu.
In questa provincia sono presenti anche le forze inviate dalla Comunità dell’Africa orientale (l’organizzazione regionale), che hanno completato da poco il loro dispiegamento e creato una sorta di zona cuscinetto tra l’esercito congolese e i ribelli man mano che si ritirano dai territori sotto il loro controllo. La prospettiva è quella di avviare un dialogo, che è invocato da tutti i paesi della regione ma che finora ha faticato a concretizzarsi.
Le Adf, insieme ai ribelli di un’altra milizia chiamata Codeco, attiva sempre nell’Ituri, sono stati denunciati dalla comunità internazionale per i loro massacri. Il 2 marzo gli Stati Uniti hanno annunciato una ricompensa di cinque milioni di dollari per chi darà informazioni su Seka Musa Baluku, il leader ugandese delle Adf. Nel suo ultimo rapporto sulla Rdc, l’Onu ha evidenziato che “l’attività delle Adf è stata la principale causa dell’insicurezza” e del terrore che continuano a regnare nel Nord Kivu. ◆ gim
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Questo articolo è uscito sul numero 1507 di Internazionale, a pagina 24. Compra questo numero | Abbonati