“Turetta viene spesso definito come mostro, invece mostro non è. Un mostro è un’eccezione, una persona esterna alla società, una persona della quale la società non deve prendersi la responsabilità. E invece la responsabilità c’è. I ‘mostri’ non sono malati, sono figli sani del patriarcato, della cultura dello stupro”.
Si apre così la lettera che ha scosso l’Italia, pubblicata il 20 novembre dal Corriere della Sera. L’ha scritta Elena Cecchettin il giorno dopo il ritrovamento del corpo di Giulia, sua sorella. Un omicidio che ha sollevato un’ondata di indignazione, in un paese che ha scoperto di non avere gli anticorpi per combattere la violenza di genere che negli ultimi undici mesi ha ucciso 106 donne, una ogni tre giorni.
L’assassino di Giulia è il suo ex fidanzato, che Elena Cecchettin cita nella lettera per cognome. Filippo Turetta è un coetaneo della vittima, uccisa la settimana in cui doveva laurearsi in ingegneria biomedica. “È stato il vostro bravo ragazzo”, ha scritto Elena sul suo profilo Instagram, riprendendo la definizione ripetuta per giorni da familiari e amici. Come lei stessa ha raccontato, Turetta non sopportava che la sua ex ragazza si laureasse prima di lui. Nella lettera Elena ha invitato le persone a non dedicare un minuto di silenzio alla sorella, ma a “bruciare tutto”, a fare molto rumore. Il 22 novembre sono stati pubblicati online i video degli applausi scroscianti degli studenti fuori dalle aule delle scuole superiori italiane, in quella che è sembrata una prova generale delle manifestazioni indette per il 25 novembre. “La mobilitazione di questi giorni si spiega con il fatto che l’omicidio di Giulia si aggiunge a una lista che nel 2023 è stata molto lunga. In un momento in cui in Italia diminuiscono le morti legate alla criminalità organizzata e a qualsiasi forma di violenza degli uomini sugli uomini, il numero dei femminicidi è in crescita. Inoltre si tratta di una serie di femminicidi atroci. Prima del caso di Giulia Cecchettin c’è stato quello di Giulia Tramontano, accoltellata quando era al settimo mese di gravidanza. Quest’ultimo delitto ci spinge a dire che non ne possiamo più”, afferma Celeste Costantino, vicepresidente della fondazione Una Nessuna Centomila, che si occupa di prevenzione e di lotta contro la violenza di genere.
Risposta inadeguata
È stato l’omicidio di Tramontano ad accelerare l’approvazione al senato del disegno di legge contro la violenza sulle donne. Costantino riconosce che la legge è un passo avanti, ma precisa che non affronta realmente la questione della prevenzione, in un paese in cui, secondo il rapporto Istat sugli stereotipi di genere pubblicato il 22 novembre, un uomo su cinque pensa che il modo in cui vestono le donne possa indurre la violenza sessuale e quasi il 40 per cento è convinto che una donna può evitare un rapporto sessuale se vuole. “Manca tutta la parte che riguarda la formazione, l’educazione all’affettività nelle scuole e l’aumento dei fondi per i centri antiviolenza, il cui finanziamento è ancora legato a progetti che devono essere approvati dalle regioni di anno in anno”, spiega Costantino. È stata lei, dieci anni fa, a presentare come deputata la prima proposta di legge per l’educazione all’affettività nelle scuole. Allora come oggi, dice, bisogna uscire dalla logica dell’emergenza. “Chi si è sempre occupato di questi temi sente la necessità di dare risposte non emergenziali, perché siamo davanti a un fenomeno che non può essere paragonato a una catastrofe naturale, a un evento straordinario. Chi è meno esperto, di fronte a una morte come quella di Giulia tende a gridare che bisogna prendere subito provvedimenti perché c’è un’emergenza. Purtroppo non è così. È un fenomeno strutturale”, continua Costantino, che considera il mancato intervento sulla prevenzione “un’occasione persa”, in un momento in cui la sensibilità e l’indignazione nella società sono altissime.
L’attuale governo di estrema destra si è limitato a predisporre un piano di “educazione alle relazioni”, presentato il 20 novembre dal ministro dell’istruzione e del merito Giuseppe Valditara, che prevede che le scuole possono organizzare su base volontaria dibattiti sul tema a patto di avere il consenso dei genitori. Il ministero aveva affidato l’incarico di elaborare il piano al consulente Alessandro Amadori, autore del libro La guerra dei sessi, in cui la violenza maschile è inquadrata in un generico “male”. “Parlando di male e di cattiveria, dovremmo concentrarci solamente sugli uomini? Che dire delle donne? Sono anch’esse cattive? La nostra risposta è sì, cioè che anche le donne sanno essere cattive, più di quanto pensiamo”, si legge in uno dei passaggi del libro. “Se il coordinatore del piano fosse davvero Amadori è un fatto grave”, commenta Costantino, “soprattutto considerando che sia lui sia il ministro che l’ha nominato sostengono che l’educazione all’affettività non può essere impartita nelle scuole per non avvicinare i giovani a una presunta ideologia gender”.
L’indignazione, che negli ultimi giorni si è trasformata in iniziative in tutto il paese, ha riempito le strade delle principali città italiane il 25 novembre, in occasione della giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne. La manifestazione più grande è stata quella di Roma: è partita dal Circo Massimo e ha riunito più di mezzo milione di persone convocate dal movimento Non una di meno. Negli slogan che si sono sentiti, il ricordo di Giulia Cecchettin era molto presente: “Siamo il grido altissimo e feroce di tutte quelle donne che più non hanno voce”. ◆ fr
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Questo articolo è uscito sul numero 1540 di Internazionale, a pagina 38. Compra questo numero | Abbonati