Il presidente degli Stati Uniti Joe Biden ha messo a segno un nuovo successo nella sua politica industriale. Il più grande produttore di processori al mondo, la Taiwan Semiconductor Manufacturing Company (Tsmc), vuole triplicare i suoi investimenti negli Stati Uniti, portandoli a quaranta miliardi di dollari. L’azienda taiwanese l’ha annunciato il 6 dicembre durante la cerimonia d’inaugurazione della sua prima fabbrica di processori in Arizona.
Grazie ai nuovi investimenti, entro il 2026 sarà costruito un secondo impianto all’avanguardia, che produrrà processori con tecnologia a tre nanometri (il nanometro, cioè un milionesimo di millimetro, è l’unità di misura dei transistor, componente base dei processori). Più i transistor diventano piccoli, meno hanno bisogno di energia per fornire grandi prestazioni. Questi prodotti sono fondamentali per l’alta tecnologia, per esempio per gli smartphone. La fabbrica in Arizona, un progetto costato dodici miliardi di dollari, dal 2024 produrrà processori a quattro nanometri, quelli dell’iPhone 14, il modello di punta della Apple.
La decisione della Tsmc è una reazione alle crescenti pressioni del governo statunitense, che chiede alle aziende nazionali e straniere di produrre negli Stati Uniti più processori e altri prodotti chiave, come le batterie e le auto elettriche, e di non esportarli. Nell’intervento tenuto nel corso dell’inaugurazione, Biden ha ribadito le ambizioni alla base del Chips and science act, la legge con cui la Casa Bianca si propone di tenere a bada la concorrenza cinese, attirando i produttori di processori grazie a un programma d’incentivi da 53 miliardi dollari.
La delocalizzazione industriale ha fatto diminuire la quota statunitense nella produzione mondiale di processori dal 30 al 10 per cento, ha spiegato Biden. Gli Stati Uniti sono il leader mondiale nella ricerca e nello sviluppo delle nuove tecnologie alla base del settore. “Ma perché non possiamo tornare anche leader nella manifattura?”, ha chiesto il presidente. “Stiamo dimostrando che si può fare”.
Negli ultimi mesi Biden ha chiarito chi sono i nemici e chi gli alleati. La Casa Bianca ha minacciato di sanzionare duramente le aziende che continueranno a fornire alla Cina processori di ultima generazione. Nei grandi paesi esportatori, come la Germania, il Giappone e la Corea del Sud, è cresciuto il timore di dover rinunciare a un partner commerciale importante come la Cina. Allo stesso tempo, tuttavia, con il piano Chip 4 Biden ha creato una rete con le principali potenze asiatiche produttrici di processori – Giappone, Corea del Sud e Taiwan – affinché collaborino più strettamente con gli Stati Uniti.
La combinazione di minacce di sanzioni e aiuti finanziari funziona. La sudcoreana Samsung, una delle principali produttrici di chip di memoria, sta investendo 17 miliardi di dollari in uno stabilimento in Texas, mentre la statunitense Intel ha stanziato 40 miliardi di dollari per delle fabbriche in Arizona e Ohio. Inoltre, il governo giapponese ha siglato con la Casa Bianca un accordo per sviluppare insieme la tecnologia per i processori a due nanometri.
Un anello insostituibile
La Tsmc non vuole essere esclusa, dato che la maggior parte del suo fatturato è legata agli Stati Uniti. In un comunicato stampa il presidente del consiglio d’amministrazione del gruppo, Mark Liu, ha sottolineato che l’azienda sta creando l’impianto di produzione più ecologico e avanzato degli Stati Uniti. “Siamo grati per la continua collaborazione che ci ha portato fin qui e siamo felici di lavorare fianco a fianco con i nostri partner statunitensi per gettare le basi dell’innovazione dei semiconduttori”.
Quest’entusiasmo non è condiviso da tutti a Taiwan, un paese abituato a essere un anello insostituibile della filiera di approvvigionamento mondiale. Ma è proprio questo che spaventa i clienti di tutto il mondo: la Cina, infatti, minaccia d’invadere l’isola, e in quel caso l’occidente perderebbe il suo più importante fornitore di processori. L’Europa e il Giappone competono con gli Stati Uniti nell’offerta di finanziamenti capaci di attirare la Tsmc e altri produttori. Il Giappone ha già registrato un successo: i taiwanesi stanno costruendo nel paese asiatico una fabbrica da sette miliardi di dollari insieme alla Sony e al produttore di componenti automobilistiche Denso.
Morris Chang, il fondatore della Tsmc, ha criticato la delocalizzazione della produzione lontano da Taiwan, sostenendo che è inefficiente. Processori sempre più piccoli richiedono investimenti maggiori in fabbriche sempre più grandi, per mantenere bassi i costi unitari. Lo spostamento della produzione in altri paesi, sostiene Chang, rischia quindi di far aumentare i prezzi dei processori per i clienti. A Taiwan si teme che in questo modo la posizione dominante del paese possa indebolirsi. “La Tsmc è vista come uno ‘scudo di silicio’ e un pilastro della forza di Taiwan. Cosa succederà quando delocalizzerà altrove la maggior parte della sua produzione?”, ha chiesto in parlamento Lee Kuei-min, deputato del partito di opposizione Kuomintang.
Nel frattempo, però, Chang sembra aver alzato bandiera bianca di fronte al conflitto tra le grandi potenze. “La globalizzazione è praticamente morta, così come il libero scambio”, ha detto il 6 dicembre in una conferenza stampa in Arizona. “Molti vorrebbero poter tornare indietro, ma non credo che succederà”. ◆ nv
◆ L’Unione europea non vuole restare indietro nella corsa globale per dominare il settore dei processori. Quest’anno la Commissione europea ha deciso d’investire 43 miliardi di euro in un programma studiato per attirare i principali produttori mondiali. Il colosso statunitense Intel ha annunciato un investimento da 33 miliardi di euro, di cui 17 miliardi saranno destinati alla costruzione di un impianto in Germania. Produttori europei come la STMicroelectronics e l’Infineon stanno costruendo nuove fabbriche in Europa. Bruxelles sta anche cercando di attirare la taiwanese Tsmc. L’obiettivo è duplicare la quota europea nel mercato dei processori, passando dal 10 al 20 per cento entro il 2030, e allo stesso tempo ridurre la dipendenza dall’Asia. Secondo la Semi, un’organizzazione statunitense che rappresenta i produttori di processori, nei prossimi tre anni dovrebbero aprire nel mondo almeno 81 nuove fabbriche, di cui dieci in Europa, quattordici negli Stati Uniti e ventuno a Taiwan. Financial Times
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Questo articolo è uscito sul numero 1491 di Internazionale, a pagina 116. Compra questo numero | Abbonati