Febbraio è stato un mese positivo per le sanzioni contro la Russia: il divieto di importazioni nell’Unione europea e il tetto al prezzo del greggio russo voluto dai paesi del G7 è stato esteso anche ai prodotti petroliferi raffinati. Bruxelles ha inoltre varato un decimo pacchetto di sanzioni. Ma mentre tutti si concentrano sui flussi economici da e verso la Russia, si parla poco dei beni del Cremlino che si trovano all’estero, in particolare delle riserve della Banca centrale russa congelate un anno fa. Quando ho cominciato a occuparmi di questo tema, ero ingenuamente convinto che esistesse una lista delle riserve dell’istituto. Si sente spesso dire che si tratta di più di trecento miliardi di dollari. Non capivo perché non l’avessero pubblicata. Alla fine è venuto fuori che non esiste. L’Unione europea non sa quanti sono i beni della banca centrale russa depositati nei paesi dell’area, non sa dove si trovano né in che consistono. Lo ha ammesso la stessa presidente della commissione europea, Ursula von der Leyen. Sotto la presidenza della Svezia, inoltre, è stato istituito un gruppo di lavoro per capire cos’è possibile fare con le riserve russe. Secondo Anders Ahnlid, direttore generale della camera del commercio svedese, che presiede il gruppo, conoscere “la natura e la collocazione dei beni presenti in Europa è un compito importante”. Questo significa però che a un anno dalle sanzioni non è ancora successo.
Allora da dove viene la cifra di “più di trecento miliardi” di cui si parla? Dalla Russia. In particolare dall’ultimo rapporto pubblico della banca centrale russa sulla gestione delle riserve di oro e valuta estera. Il documento, del gennaio 2022, suddivide le riserve internazionali per tipologia, giurisdizione e valutazione del rischio. Tra il 55 e il 66 per cento dei fondi era in paesi che ne avrebbero di lì a poco bloccato la disponibilità. Quando la Russia ha invaso l’Ucraina, le riserve ammontavano a 629 miliardi di dollari. Da questo si deduce che la banca centrale russa possiede riserve fra i 345 e i 415 miliardi di dollari che non può usare.
Perché i governi occidentali abbiano fatto affidamento, almeno in pubblico, sui dati russi invece che sui loro resta un mistero. Ogni banca centrale conosce l’importo dei depositi di altre banche centrali al suo interno, e i loro governi possono richiedere questi dati e imporre gli stessi obblighi ai fornitori di servizi di custodia per i loro titoli di stato, che rappresentano il grosso delle riserve di valuta straniera della banca centrale russa. Ma è evidente che non c’è una condivisione sistematica di queste informazioni tra i governi che hanno stabilito le sanzioni. Altrimenti l’Unione europea non sarebbe all’oscuro dell’ammontare delle riserve russe che ha bloccato. L’unico stato che, a quanto ne so, ha reso pubblico il totale dei beni della banca centrale russa nel suo territorio è la Francia. L’anno scorso il ministero delle finanze di Parigi ha affermato che nel paese erano stati congelati 22 miliardi di euro.
Perché non sappiamo tutto? La risposta ha a che fare con un altro fatto poco noto. I beni della banca centrale russa non sono tecnicamente congelati. I politici possono anche scivolare sulle definizioni: la stessa Ursula von der Leyen ha usato il termine “congelato” nelle dichiarazioni a cui accennavo prima. Ma la banca centrale russa non figura nella lista delle sanzioni europee, quindi non è sottoposta alle norme sul congelamento dei beni.
Secondo gli esperti, le riserve dell’istituto sono immobilizzate o bloccate, ma non congelate. Nell’Unione europea questo avviene attraverso un divieto imposto ai suoi residenti d’intraprendere qualsiasi transazione “connessa alla gestione di riserve o beni della banca centrale russa”. Nel caso delle sanzioni alle riserve, inoltre, gli obblighi di rendicontazione sono diventati più stringenti solo con le misure contenute nel decimo pacchetto di sanzioni. Mi è stato spiegato che le riserve ufficiali della Russia non possono essere trattate come normali beni congelati perché le leggi internazionali le conferiscono una specie d’immunità sovrana. Tuttavia, questo non giustifica requisiti di rendicontazione così permissivi.
Ma è davvero importante conoscere certi dettagli? Lo è, perché è in corso un dibattito molto acceso sull’opportunità di confiscare le riserve per finanziare la ricostruzione dell’Ucraina. Inoltre, la trasparenza è un ottimo strumento per ridurre al minimo il rischio di errori e discrepanze. Torniamo all’esempio francese. Se dovessimo credere alla banca centrale russa, le sue riserve in Francia si aggirerebbero sui settanta miliardi di euro, una cifra molto diversa dai 22 miliardi di euro resi noti da Parigi. Forse il dato francese riguarda solo il denaro depositato presso la banca centrale francese. Quella russa afferma infatti che in media colloca due terzi della sua valuta straniera in titoli.
Aggirare i divieti
Se non sappiamo quali sono le riserve è difficile sapere se i divieti sono stati aggirati. Per esserne certi si dovrebbe compilare una lista completa dei beni della banca centrale russa e controllare periodicamente che continuino a restare al loro posto. Io ho indicazioni di come la Russia potrebbe aver aggirato le sanzioni. Un esperto mi ha suggerito che potrebbe usare le sue riserve come garanzia per ottenere liquidità da banche centrali di paesi che non partecipano alle sanzioni. Questo naturalmente sarebbe rischioso, perché la banca centrale amica potrebbe avere difficoltà a riscuotere la garanzia in caso d’insolvenza e quindi imporrebbe di sicuro un tasso d’interesse molto alto.
Ci sarebbe anche la possibilità che il Cremlino intesti proprietà all’estero ad aziende prestanome. È improbabile. Secondo gli esperti, da tempo la banca centrale russa opera in modo professionale, e le persone con cui ho parlato non hanno mai avuto sentore che usi certi metodi. Ma il modo migliore per saperlo sarebbe confrontare i dati pubblicati dall’istituto con quelli dei paesi che partecipano alle sanzioni.
Sul piano pratico, tutto questo potrebbe essere irrilevante. La paura degli Stati Uniti potrebbe bastare a scoraggiare qualsiasi tentativo di aggirare i divieti. E, come mi ha detto l’esperto di finanza Brad Setser, la Russia non ha bisogno di mobilitare le sue riserve bloccate, perché ha accumulato molto denaro non sanzionabile. Per il momento, la sensazione è che l’imprecisione dei paesi occidentali sia stata compiacente. E la mancanza d’interesse nel rendere pubbliche queste informazioni è anche peggio. ◆ gim
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Questo articolo è uscito sul numero 1502 di Internazionale, a pagina 100. Compra questo numero | Abbonati