Un anno e mezzo dopo aver vinto le elezioni politiche, Giorgia Meloni dovrà affrontare un altro voto: il suo nome sarà nella scheda che gli italiani riceveranno per le elezioni europee a giugno.

Tuttavia, dato che il regolamento vieta di svolgere insieme un mandato nazionale e uno europeo, è molto improbabile che Meloni lascerà l’incarico di presidente del consiglio per sedersi insieme agli altri 719 europarlamentari.

Sembra strano, ma candidarsi pur sapendo che non si accetterà l’incarico in Italia è un’abitudine. Cominciò Silvio Berlusconi nel 1994, ma poi anche altri leader politici hanno approfittato spesso delle elezioni europee per dare una prova di forza e aumentare i voti della propria lista. “Si candidano, vengono eletti e poi disertano il seggio europeo. È una truffa nei confronti degli elettori, un modo pessimo di fare politica”, spiega Gianfranco Pasquino, professore emerito di scienze politiche dell’università di Bologna.

Nel 2019 Matteo Salvini, all’epoca ministro dell’interno, si è candidato al parlamento europeo garantendo alla Lega il primo posto, con il 34 per cento dei voti e 28 seggi. Poi ha rinunciato all’incarico e ha continuato a fare il ministro.

Meloni si è già candidata due volte alle europee: nel 2014 Fratelli d’Italia non ha superato la soglia di sbarramento del 4 per cento, mentre cinque anni dopo ha ottenuto il 6,5 per cento e cinque seggi, uno dei quali assegnato a Meloni. Lei però è rimasta a Roma in parlamento. Ora si ripete da capo del governo: “Lo faccio perché voglio chiedere agli italiani se sono soddisfatti del lavoro che stiamo facendo in Italia e in Europa”, ha dichiarato annunciando la propria candidatura. Oltre a essere presidente di Fratelli d’Italia, Meloni è anche leader del partito dei conservatori e dei riformisti europei, e la presenza del suo nome in lista potrebbe far guadagnare voti all’estrema destra. Quando ha annunciato di candidarsi sono subito apparsi evidenti due elementi portanti. Il primo è lo slogan della campagna elettorale “l’Italia cambia l’Europa”, scelto per convincere gli italiani che con Meloni al governo gli interessi nazionali sono difesi meglio, a cominciare dall’inasprimento delle politiche migratorie. Il secondo è il tentativo di personalizzare le elezioni: “Se gli italiani pensano che stia governando bene, chiedo loro di andare a votare, di scegliere Fratelli d’Italia, e di scrivere il mio nome, solo Giorgia, il mio nome di battesimo. Sono fiera di essere una del popolo”, ha dichiarato Meloni. Gli elettori italiani riceveranno una scheda su cui segnare il simbolo del partito o del gruppo politico scelto. Inoltre sarà possibile, ma non obbligatorio, indicare fino a tre nomi di una lista. Il sistema è proporzionale, quindi se un partito riceve il 10 per cento dei voti otterrà il 10 per cento dei seggi assegnati al suo paese. All’Italia spettano 76 seggi, alla Germania 96 e alla Francia 81.

Meloni non è l’unica leader italiana a presentarsi alle europee. Ci sono anche la parlamentare Elly Schlein, segretaria del Partito democratico, e il vicepremier Antonio Tajani, di Forza Italia. Presumibilmente neanche loro, se saranno eletti, andranno a Strasburgo. Il nome di Giorgia Meloni comparirà nel simbolo di Fratelli d’Italia, al contrario di quelli di Schlein e Tajani. Nel logo di Forza Italia ci sarà il nome di Berlusconi, morto nel 2023.

Banco di prova

Tra i capi di governo dei 27 paesi dell’Unione europea, Meloni sarà l’unica in carica a presentarsi alle europee. L’esempio più vicino al suo è quello del croato Andrej Plenković, presente nelle liste europee. Plenkovic ha vinto le elezioni nazionali di aprile. Ma non è ancora riuscito a formare un governo, quindi attualmente non è premier. “È un’abitudine solo italiana”, spiega Lorenzo De Sio, professore di scienze politiche all’università Luiss Guido Carli di Roma. In caso di rinuncia, il seggio viene assegnato al primo dei candidati non eletti del partito.

Per Meloni le europee sono il primo banco di prova dopo le elezioni del 2022: “È una scommessa sicura. L’unico dubbio riguarda le proporzioni della vittoria: sarà larga o appena sufficiente?”, si chiede Pasquino. ◆ as

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Questo articolo è uscito sul numero 1565 di Internazionale, a pagina 34. Compra questo numero | Abbonati