Quando ha presentato domanda per ottenere la cittadinanza statunitense, nel maggio 2020, Shawntel Went aveva messo in conto che ci sarebbero stati ritardi per via della pandemia. Ma i mesi passavano senza che la pratica si sbloccasse, mentre i suoi amici che avevano inoltrato la richiesta dopo di lei ricevevano risposte positive. Così Went ha cominciato a preoccuparsi. Finalmente, all’inizio del gennaio 2022 i Citizenship and immigration services (Uscis), l’agenzia statunitense che esamina le richieste di cittadinanza, le hanno comunicato quale era il problema: i documenti necessari per completare la sua pratica erano bloccati in uno dei depositi dei federal records centers, gli archivi dei registri federali. Queste strutture, che compongono una gigantesca rete di spazi sotterranei nell’area metropolitana di Kansas City, in Missouri, sono rimaste chiuse a causa del covid-19 e difficilmente riapriranno in tempi brevi. Senza quei documenti – in cui è raccontata tutta la storia personale di Went dopo il suo arrivo negli Stati Uniti dalle Barbados, nel 2011 – le autorità non possono approvare la sua richiesta. Il governo ha spiegato a Went che una soluzione al momento non esiste. “Non vogliono aprire quell’ufficio e andare a prendere i documenti. Non ha nessun senso”, dice la donna esasperata.
Went non è l’unica persona a trovarsi in questo limbo burocratico. Al momento più di 350mila richieste che hanno a che fare con l’immigrazione sono bloccate presso la National archives and records administration (Nara), l’agenzia che gestisce i magazzini dei registri federali di Kansas City. La situazione ha cominciato ad attirare l’attenzione di alcuni politici, tra cui il parlamentare repubblicano Ted Budd, che a dicembre del 2021 ha detto di aver ricevuto nove segnalazioni su richieste di cittadinanza bloccate e ha chiesto all’amministrazione Biden di intervenire. “Non è normale”, ha detto Budd in un’intervista. “Ormai la maggior parte degli statunitensi è tornata a lavorare”.
Il blocco delle richieste di cittadinanza è l’esempio più eclatante di un problema che affligge da tempo il sistema dell’immigrazione degli Stati Uniti: si basa tutto ancora sulla carta. I documenti, in totale circa ottanta milioni, occupano tanto spazio che gli Uscis hanno affidato parte dell’attività di archivio alla Nara. Quest’agenzia dovrebbe recuperare le pratiche delle persone che presentano richiesta di cittadinanza, ma a causa della pandemia ha dovuto chiudere gli archivi e occuparsi solo dei casi urgenti. Quindi i documenti necessari per approvare alcune richieste sono irraggiungibili.
Dopo diverse sollecitazioni del Wall Street Journal, la Nara ha dichiarato che nella struttura di Kansas City il personale è ridotto al 25 per cento perché gli archivi sono “in un’area con un alto numero di contagi”. L’agenzia ha aggiunto di aver aumentato i turni per far fronte alle richieste e permettere ad alcuni dipendenti degli Uscis di cercare autonomamente i documenti. Inoltre, la Nara ha invitato l’agenzia per la cittadinanza ad accelerare la digitalizzazione dei documenti.
Incubo burocratico
Susan Cohen, avvocata di Boston specializzata nei casi d’immigrazione, si è imbattuta in questo problema qualche mese fa, quando ha depositato una richiesta di cittadinanza per conto di una coppia di medici israeliani che lavorano nell’area di Boston. Marito e moglie hanno presentato i documenti nello stesso giorno, a settembre del 2020, e hanno ricevuto un appuntamento per lo stesso giorno, cinque mesi dopo. Ma poi la pratica del marito è andata avanti, mentre la moglie non ha più ricevuto notizie. “È diventato un incubo burocratico kafkiano”, dice Cohen. “Chi chiede la cittadinanza merita di meglio”. L’avvocata ha contattato i dirigenti degli Uscis e ha scoperto che i documenti della sua cliente sono conservati nei magazzini sotterranei di Kansas City, mentre quelli del marito erano altrove. Non è chiaro perché alcuni documenti siano accessibili e altri no. Cohen ha parlato con dei colleghi scoprendo decine di casi in cui le richieste di cittadinanza erano bloccate in altri depositi sparsi in tutto il paese.
Questi ingorghi sono uno dei motivi principali per cui i tempi d’attesa per le richieste di cittadinanza sono cresciuti durante la pandemia, da una media di nove mesi nel 2019 ai più di dodici mesi attuali. Cohen e altri avvocati credono che il problema sia stato scoperto solo ora perché gli utenti non possono chiedere informazioni sulle procedure che li riguardano fino a quando non sono scaduti i tempi previsti per ogni pratica, che a Boston possono raggiungere i quindici mesi. Went, che vive nel Rhode Island e lavora come cuoca a Boston, dice di aver atteso anni prima di chiedere la cittadinanza a causa dei costi proibitivi (725 dollari più la rappresentanza legale). Nel 2020 ha deciso di procedere dopo aver conosciuto in una biblioteca pubblica un volontario di Project citizenship, un’organizzazione non profit per l’assistenza legale di Boston.
Per lei il ritardo ha pesanti conseguenze economiche. A settembre del 2020 la sua green card (il documento che permette di risiedere permanentemente negli Stati Uniti) è scaduta e ha dovuto pagare 455 dollari per rinnovarla. Intanto suo figlio ha compiuto 18 anni, quindi non può più ottenere la cittadinanza attraverso la richiesta della madre ma sarà costretto a presentarne una separata, spendendo altri soldi. “Questo dovrebbe essere uno dei paesi più moderni del mondo”, sottolinea Went. “E invece il documento che mi serve sta dietro una porta chiusa”. ◆ as
Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it
Questo articolo è uscito sul numero 1446 di Internazionale, a pagina 24. Compra questo numero | Abbonati