L’agricoltore palestinese Abd al Sattari aveva due case a Rafah, nella Striscia di Gaza. Per nove mesi, da quando le forze israeliane hanno invaso la città meridionale, le ha dovute abbandonare. Al Sattari, 53 anni, ha vissuto con la speranza che se una casa fosse stata colpita dagli attacchi israeliani, che hanno raso al suolo più del 70 per cento del territorio, l’altra sarebbe rimasta in piedi per accogliere la sua famiglia a guerra finita.

Il 19 gennaio, prima ancora che il cessate il fuoco entrasse in vigore, Al Sattari ha preso con sé il figlio maggiore Mohammed, lasciando il resto della famiglia in una tenda ad Al Mawasi, sulla costa sudoccidentale della Striscia. È andato a controllare i due edifici, ma entrambi erano ridotti in macerie. Il cessate il fuoco tanto atteso è cominciato la mattina del 19 gennaio. I palestinesi sperano sia la fine di una guerra che ha ucciso più di 46.900 persone, ha demolito gran parte del territorio e ha costretto più di due milioni di persone a lasciare la loro casa. Prima ancora dell’inizio della tregua, centinaia di famiglie sfollate sono tornate a Rafah, con i pochi averi ammassati su auto, carri trainati da animali e biciclette. Le forze israeliane hanno continuato a bombardare la Striscia, uccidendo altri palestinesi fino a poco prima dell’inizio della tregua. Ma questo non ha fermato le persone, alcune delle quali, percorrendo le strade piene di crateri, cantavano: “Ricostruiremo. Torneremo a vivere”.

La gioia però si è trasformata in angoscia quando si sono trovate di fronte la devastazione. Seduto tra le rovine di una delle sue case, Al Sattari ha chiamato la moglie e le ha detto che gli edifici erano inabitabili. Lei è scoppiata a piangere. “La Rafah che conoscevamo non c’è più”, si rammarica Al Sattari. “Le strade in cui siamo cresciuti sono irriconoscibili”. L’uomo, che ha sei figli, dovrà ripartire da zero. “Pensavamo che avremmo finalmente lasciato le tende per tornare tra le mura di casa. Ma questa sembra una nuova forma di annientamento, non più con le bombe ma con l’assenza delle cose essenziali per vivere”, dice Al Sattari.

Lavori in corso

Nei giorni precedenti al cessate il fuoco i palestinesi a Gaza si sono preparati a quella che speravano sarebbe stata la fine dei loro tormenti: più di 1,8 milioni di persone hanno sofferto la fame e centinaia di migliaia hanno vissuto in tende fragili che a malapena le hanno protette da un inverno in cui diversi bambini sono morti d’ipotermia. Famiglie come quella di Nasim Abu Alwan hanno deciso di vivere tra le macerie. “Trasporteremo l’acqua anche da molto lontano se necessario”, afferma. “Basta tende. Restiamo a Rafah, costi quel che costi”.

Secondo le Nazioni Unite più del 60 per cento degli edifici e il 65 per cento delle strade della Striscia di Gaza sono stati distrutti dall’inizio della guerra, il 7 ottobre 2023. “Ci sono più di 42 milioni di tonnellate di macerie, dove sono seppelliti corpi e ordigni inesplosi, amianto e altre sostanze pericolose”, afferma un rapporto dell’ufficio dell’Onu per gli affari umanitari (Ocha). Altri abitanti di Rafah, come Amjad Abdullah, hanno scelto di restare a Khan Yunis. “È impossibile vivere a Rafah”, dice. “La città è diventata un cimitero di edifici”.

Secondo Mohammed al Sufi, sindaco di Rafah, la distruzione della città è “impressionante”. Gli operai sono al lavoro per liberare le strade, ripristinare la fornitura d’acqua e occuparsi degli ordigni inesplosi. Ma il comune sconsiglia i ritorni affrettati. “Bisogna farlo un po’ alla volta, con prudenza. Senza i servizi essenziali, la vita non può ricominciare”, conferma un operaio. Nonostante la devastazione, gli abitanti di Gaza restano tenaci. Le famiglie si aggrappano al legame con la città, determinate a riprendersi il poco che rimane. Come ha detto un padre di famiglia: “Abbiamo sofferto troppo in esilio. Rafah è casa, e ricostruiremo, anche se ci vorrà una vita intera”. ◆ fdl

Mohamed Solaimane è un giornalista della Striscia di Gaza.

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Questo articolo è uscito sul numero 1598 di Internazionale, a pagina 16. Compra questo numero | Abbonati