Non si dovrebbe leggere un libro per il nome dell’autrice. Eppure l’ho fatto perché Janice Pariat è una scrittrice e poeta indiana, e di rado mi capitano tra le mani testi contemporanei del subcontinente. _Le nove stanze del cuore _sembra un’opera con un potenziale enorme: un romanzo in seconda persona, formato da dieci capitoli e raccontato attraverso nove sguardi diversi sulla stessa donna, in momenti differenti della sua vita. Una struttura che avrebbe potuto mettere al centro i personaggi, la loro evoluzione, il rapporto tra ciò che siamo e come appariamo. Invece la protagonista senza nome ha sempre le stesse caratteristiche (volubile, schietta, con una propensione al consumo di alcol, un animo artistico e vagamente edonistico) agli occhi dei suoi amanti e amati. E, anche se il narratore cambia a ogni capitolo, lo stile resta inalterato, finendo per diventare monotono. L’insieme è definito come un romanzo, ma potrebbe essere una raccolta di racconti. Certo, emerge un sottotesto sull’abbandono, sul lasciare e l’essere lasciati, eppure non è abbastanza per scavare nei rapporti quasi solo fisici tra i personaggi. Una nota positiva: è difficile scrivere di sesso senza o essere cerebrali o finire sullo scaffale dell’erotico, ma è un equilibrio che a Pariat
riesce bene. ◆
Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it
Questo articolo è uscito sul numero 1448 di Internazionale, a pagina 86. Compra questo numero | Abbonati