Marta è una ragazza con i genitori separati e con entrambi ha un rapporto complicato. È intelligente ma non le va di studiare. Così abbandona l’università a Messina per tornare alla vita quotidiana di Taranto, uno spazio a metà tra limbo e carcere. Marta non osa vivere, ma sopravvive – impassibile, quasi suo malgrado – a tutto quello che le capita, in bilico tra il prendere e il non prendere una decisione, tra l’azione e l’inerzia. Sembra aver già raggiunto, in contrasto con la sua età anagrafica, quel momento in cui ci si rende conto che la gioventù è un cimitero di sogni irrealizzati ed è meglio immaginarla, se si hanno le forze e le opportunità, piuttosto che sperimentarla: “Una volta che ti disincanti tutto diventa impossibile”. Corpomatto è un libro senza speranza, come la generazione che vuole raccontare, ed è coerente fino in fondo. È un romanzo diverso da quelli letti quest’anno. Cristina Venneri ha una scrittura che spezza e spiazza quelle lineari e ben punteggiate. Con una lingua fredda e oggettiva, a tratti assume lo stile obsoleto di un documento formale, utile a distanziare l’io narrante dai fatti. Le pagine dell’autrice, nata a Taranto nel 1986, sono composte da frasi lunghissime, corredate da una punteggiatura minimalista: non lasciano prendere fiato, neanche alla fine. ◆
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Questo articolo è uscito sul numero 1461 di Internazionale, a pagina 90. Compra questo numero | Abbonati