Quando mio nonno è morto mi sono tenuta una vecchia macchina fotografica e la sua scrivania: l’una mi ricordava i tempi di scatto biblici – metafora della lentezza con cui affrontava la vita – e l’altra era la superficie su cui si ostinava a disegnare a matita anche se i programmi per disegnare al computer erano in circolazione da un decennio. Tutto il resto, la materialità del suo ricordo, aveva cominciato ad arrugginirsi negli oggetti che non interessavano più a nessuno. La vera erosione della nostra infanzia avviene così, nella concretezza dei ricordi che finiscono in vendita o nella sparizione delle tradizioni immateriali, del lessico familiare. Anna, Geoff e Bruno si ritrovano nella loro casa al mare, in una posizione pericolosa tra la crisi climatica e l’abbandono. Prima di venderla, decidono di tenere per sé dei ricordi del posto in cui hanno trascorso la loro infanzia di italoamericani di terza generazione. Gli oggetti scelti sono il pretesto per ripercorrere la stessa vicenda da tre prospettive diverse: il tempo si dilata e si contrae a seconda di ciò che proviamo nel viverlo, alcuni episodi lo accelerano, altri lo rallentano, a volte viviamo in un modo che sembra farlo sparire. Il nuovo romanzo di Lorenza Pieri, tenero e generazionale, racconta questo: il tempo come finiamo per ricordarlo. ◆
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Questo articolo è uscito sul numero 1470 di Internazionale, a pagina 92. Compra questo numero | Abbonati