Bernardo Zannoni
25
Sellerio, 192 pagine, 16 euro

Gero è un ragazzo che vive in una non ben specificata città di mare. Abita da solo nella casa che fu di suo nonno, mangia dalla zia che è l’unica persona che s’interessa a lui (e per questo sembra una creatura irreale, addirittura gli dice che la fotografia è “un lavoro serio”), esce di notte e dorme di giorno, non ha un lavoro, e il suo migliore amico ha appena tentato di suicidarsi. Il nuovo libro di Bernardo Zannoni è un secondo romanzo, figlio del successo di I miei stupidi intenti, che l’anno scorso ha vinto il premio Campiello. Ne replica lo stile minimalista, rendendolo ancora più asciutto per raccontare la quotidianità di una settimana qualunque di un venticinquenne qualunque. “Erano tutti perduti. Andavano a vuoto. Occupavano solo spazio”. È forse un romanzo meno composto e composito del precedente, si porta dietro il pessimismo e lo usa per scavare nelle vite svuotate di giovani quasi adulti. Ne viene fuori a mani vuote, ma con frasi che ben cesellano quel galleggiare. Intorno a Gero, la vita si presenta incerta, sbilanciata verso nuove responsabilità: un ragazzo che scivola verso la morte, una ragazza che deve partorire, un pappagallo di cui prendersi cura, un nuovo lavoro. Eppure sono ombre fugaci, sfiorano tutto, non toccano nulla, nemmeno chi legge. ◆

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Questo articolo è uscito sul numero 1530 di Internazionale, a pagina 88. Compra questo numero | Abbonati