Filomena Quarta, ex giornalista pugliese trapiantata a Milano, vuole trasformare la villa di famiglia in un b&b. Dopo la morte del padre torna a Palude del Salento, il paese in cui è cresciuta, additata dagli abitanti come “la bambina che vede i morti”. Molti personaggi affollano da subito le pagine di Gotico salentino: il nonno Giovanni, detto Nino, il bisnonno Giuseppe e il trisavolo Oronzo; Alba, “forma umana più prossima a una sorella”; Antonio, ex compagno di classe e unico amico che Filomena possa dire di avere tra i paludati. La villa però è abitata: non dai vivi, ma dallo spirito di una suora. È la malumbra, motivo anche del soprannome della protagonista. Il romanzo si sviluppa in una forma epistolare: è Filomena che indirizza il racconto delle vicende alla propria psicoterapeuta. Quasi ci si dimentica che ogni capitolo è una lettera finché non finisce e comincia quello successivo. Mi colpisce invece la vicinanza sintattica e la distanza lessicale tra alcune parole, come “turbamenti” e “gaslighting”; oppure tra “perturbante” e “meccanismo di coping”: forse inquadrano bene come l’autrice tenga il romanzo sospeso fra tradizione letteraria e ritmo contemporaneo. L’esordio di Marina Pierri ha una lingua molto curata che, cedendo a tratti il passo al dialetto, ammanta le belle descrizioni della macchia mediterranea e dell’architettura del suo gotico salentino. ◆
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Questo articolo è uscito sul numero 1603 di Internazionale, a pagina 106. Compra questo numero | Abbonati