In un villaggio vicino al confine tra Ucraina e Russia, durante una pausa tra le esplosioni e le sparatorie che si susseguono apparentemente senza fine nelle vicinanze, un soldato ucraino adolescente mi dice di non voler vivere sotto un presidente come Vladimir Putin, una persona “che crede di poter dire agli altri cosa devono fare”. Un altro combattente volontario, un ex allenatore di boxe tailandese, aggiunge che la Russia offre solo “stagnazione” mentre l’Ucraina è “un posto dove le cose stanno cambiando, sotto la spinta delle persone”. Lì vicino, un ex riparatore di elettrodomestici mi racconta la sua incredulità per il fatto che i soldati russi invadano “e uccidano persone innocenti, come se non avessero scelta”. Lui piuttosto preferirebbe andare in prigione, chiarisce.

In quanto giornalista di Kiev che lavora per i mezzi d’informazione ucraini e internazionali, rientro nella classe dei professionisti, quella che molti definiscono l’“élite progressista”. Nella mia cerchia di amici discutiamo di democrazia, responsabilità e stato di diritto, ma per molto tempo abbiamo creduto di essere una minoranza, e che alla maggior parte dei nostri connazionali questi termini astratti non interessassero. Invece, raccontando l’invasione di Putin e viaggiando per il paese, ho sentito persone spiegare, senza alcuna sollecitazione, questi monumentali concetti meglio di molti studiosi.

Ho ascoltato i combattenti in prima linea parlare della libertà di scegliere chi li governa e di cambiare rotta se necessario, e della libertà di tracciare il proprio percorso di vita. Ho sentito un sindaco dire che la sua città, vicino al confine con la Russia, difendeva la civiltà e combatteva per un mondo in cui le leggi contano. Un installatore di finestre di Odessa, sulla costa del mar Nero, mi ha detto di aver imparato a sparare per essere certo di non dover “vivere in un paese in cui Mosca mi dice chi devo eleggere”.

Episodi simili sono diventati così frequenti – nei villaggi bombardati come nelle città più animate – che ho cominciato a capire che stava succedendo qualcosa di più profondo. Ho osservato come gli ucraini spiegavano i loro valori e, sempre più spesso, ho prestato attenzione al modo in cui li mettevano in pratica, a come interagivano con lo stato e a come i suoi rappresentanti interagivano con loro.

La gente comune si è confrontata con l’autocrazia e ha scelto di contrastarla. Non si è limitata a prendere le armi, ma ha avanzato delle richieste ai suoi leader. I funzionari hanno risposto a queste richieste dei cittadini con un’attività di governo creativa e reattiva. Gli attivisti con cui ho parlato si lamentavano dei loro rappresentanti eletti, ma comunque collaboravano con loro, facendo dei compromessi. Con il governo centrale di Kiev spesso sovraccarico e senza risorse, gli amministratori locali, i sindaci e i governatori hanno dovuto unire le forze e trovare nuove soluzioni.

La gente comune si è confrontata con l’autoritarismo e ha scelto di contrastarlo

Con il passare del tempo ho capito che la guerra non solo ci ha costretti a difendere la nostra terra e la nostra libertà, ma ha accelerato il nostro progresso come democrazia. L’Ucraina era tutt’altro che perfetta quando il conflitto è cominciato: abbiamo lottato contro la corruzione, la cattiva amministrazione e la centralizzazione del potere. Rispondendo all’invasione di Putin, tuttavia, siamo diventati più democratici, meno centralisti, più progressisti. Gli sforzi di Mosca non stanno solo fallendo in senso stretto; hanno anche messo in evidenza quanto siamo diversi dalla Russia, e stanno avendo un effetto opposto a quello desiderato.

La casa delle Barbie

Pavlo Kushtym è cresciuto con il sogno di diventare un trombettista professionista, ma è finito a riparare mobili per sbarcare il lunario. Ha risparmiato abbastanza per comprare un appartamento alla periferia di Charkiv, dov’è nata sua moglie, vicino al confine russo. Ha convinto i funzionari locali a trasformare un piccolo appezzamento di terra in un parco, un’oasi di verde dove la gente potesse rilassarsi in estate, e aveva in mente altri piccoli progetti del genere. Ma questo succedeva prima della guerra. Il suo quartiere, nella parte nord di Saltivka, ora invece è uno dei luoghi più pericolosi del paese, colpito da bombardamenti incessanti durante le prime settimane di guerra e da allora balzato agli onori della cronaca per la gravità dei danni subiti. Kushtym mi accompagna a fare un giro nella zona, tra gli scheletri bruciati degli edifici – uno di loro è chiamato “casa delle Barbie” perché la facciata è stata distrutta e si possono vedere i mobili al suo interno.

Quando è cominciata la guerra, Kushtym è entrato in azione, all’inizio collaborando con i presidi delle scuole locali per riadattare un edificio a rifugio antiaereo, e poi chiamando i capi dei villaggi vicini più riparati per organizzare dei centri dove accogliere la comunità di sfollati. Alcuni non hanno accettato di andarsene, ma lui ha cercato di fare in modo che non fossero abbandonati. Una donna di 77 anni, che insisteva nel ritirare la pensione in contanti, oggi la riceve da poliziotti che, su richiesta di Kushtym, svolgono le mansioni del servizio postale nella zona. L’uomo ha convinto un’ex guardia di sicurezza a rimanere di pattuglia fuori dalla casa delle Barbie per evitare saccheggi.

Come molti ucraini, Kushtym era diffidente nei confronti dello stato, ma l’invasione non gli ha lasciato altra scelta che collaborare con i funzionari locali, e da allora ha una posizione più morbida. Ha ancora molte riserve verso il sindaco di Charkiv, ma ha solo parole d’elogio per i funzionari pubblici locali, tra cui ci sono uomini, dice con meraviglia, che hanno ripristinato le tubature dell’acqua sotto una pioggia di bombe. I suoi vicini, aggiunge, sono attivi e aiutano come possono. Molti li conosceva prima della guerra ed erano indifferenti o sospettosi nei confronti delle autorità. “La democrazia ucraina sta ancora evolvendo, ma come società siamo pericolosi per Putin”, continua Kushtym. “Siamo un ‘cattivo esempio’ per i russi: stiamo dimostrando che, anche in questa parte di mondo, le persone possono influenzare le decisioni. Quindi Putin vuole cancellarci”.

Gli ucraini hanno sempre diffidato dello stato, e a ragione. Per secoli non abbiamo avuto un paese nostro ma siamo stati governati da lontano, inglobati in imperi che ci perseguitavano, ci vietavano di parlare la nostra lingua e ci mandavano in prigione in massa. Negli anni trenta del novecento il regime sovietico sottrasse i raccolti ai contadini, scatenando una carestia che fece circa quattro milioni di vittime. Quando il nostro paese ottenne l’indipendenza, dopo il crollo dell’Unione Sovietica, la corruzione era ancora diffusa e i dirigenti servivano più gli oligarchi che i cittadini.

E così, dopo l’invasione russa del 2014 – quando Mosca ha annesso la Crimea e ha usato i suoi alleati per conquistare territorio nel Donbass – forse gli ucraini si sono sentiti in qualche modo vicini allo stato, hanno comunque riposto maggiore fiducia nello sforzo dei singoli. Poi i cittadini sono intervenuti, aiutando gli sfollati individualmente e, dove necessario, finanziando l’esercito con donazioni. Quando Volodymyr Zelenskyj è stato eletto presidente nel 2019, il governo e la società civile erano contrapposti. Gli attivisti e l’élite culturale che dominava i mezzi d’informazione hanno liquidato Zelenskyj con arroganza come un ex comico populista (e lo era); lui era infastidito dalle critiche provenienti da persone che non conosceva e che riteneva non si stessero assumendo la responsabilità di generare un vero cambiamento (anche questo era vero).

Oggi noto una vera collaborazione tra dirigenti eletti, funzionari pubblici e società civile. Se i funzionari non riescono a procurare, per esempio, giubbotti antiproiettile per le forze di difesa territoriale – la burocrazia ucraina arranca rispetto alla realtà della guerra – allora intervengono le aziende locali, dopo che le autorità gli dicono di cosa hanno bisogno. Questo vale non solo per le attrezzature militari, ma anche per i gruppi elettrogeni di ospedali e asili, per le ambulanze e i camion dei pompieri, tutte forniture che di solito sono consegnate con l’aiuto dell’esercito.

Anche se ha riserve verso le autorità, in molti casi è costretto a collaborare con loro

Prima dell’invasione la pizzeria di Oleh Bibikov a Chernihiv, un capoluogo di regione vicino alla Bielorussia, era un ritrovo per i funzionari locali, che, mi spiega Oleh, sembravano vivere “al di sopra delle loro possibilità”. Bibikov è il tipico giovane ucraino che s’incontrava spesso prima dell’invasione: prevalentemente apolitico e diffidente nei confronti delle autorità. La guerra non gli ha dato altra scelta che lavorare con loro. Per tutto il mese di marzo Chernihiv è stata di fatto inaccessibile, perché i ponti intorno erano stati fatti saltare e la città era accerchiata. Il suo ristorante, a pochi metri da un albergo in buona parte distrutto dai bombardamenti aerei, è diventato una mensa gestita da volontari, in cui quaranta persone cucinavano 22mila pasti al giorno per l’esercito e le forze di difesa territoriale. La rete elettrica della città era distrutta, ma i suoi frigoriferi erano pieni di carne e i residenti di Chernihiv avevano sempre più fame. “Ho chiamato il sindaco e lui ha chiamato il generale responsabile dell’area. Insieme siamo andati al più grande supermercato della città per prendere un generatore”, mi racconta Bibikov. Anche le tubature dell’acqua erano state gravemente danneggiate dalle esplosioni. Così lui ha chiamato il servizio geologico della città, che ha scavato un nuovo pozzo vicino al suo ristorante, permettendogli di fornire acqua potabile gratuita a chiunque ne avesse bisogno.

Storie simili – di aziende che collaborano con il governo locale e con l’esercito, senza alcuna direzione da parte di Kiev – sono molte.

Kostia Bielov, un attivista anticorruzione di Zaporižžja, insieme a un amico della comunità armeno-ucraina raccoglie le donazioni ricevute dall’estero in criptovaluta per comprare prodotti per l’igiene personale e nutrire i bambini e li distribuisce nei villaggi dove la gente non può più lavorare a causa del coprifuoco o dei limiti imposti ai trasporti pubblici. Anche se ha riserve verso le autorità, in molti casi è costretto a collaborare con loro. Conosce molte persone del governo, anche perché sono della sua generazione. Alle prime elezioni politiche dopo le proteste di Euromaidan del 2014, e poi di nuovo a quelle del 2019, i cosiddetti politici di professione, che dominavano il paese fin dall’indipendenza, sono stati cacciati (il partito di Zelenskyj è stato criticato per averli esclusi dalle sue liste). Oggi le persone di quella generazione si trovano fuori e dentro il governo: hanno frequentato le stesse scuole e lavorato insieme. Anche i vecchi rancori sono stati dimenticati. Dopo aver imposto la legge marziale, Zelenskyj avrebbe potuto nominare sindaci e governatori in tutto il paese, ma per lo più ha scelto di riconfermare quelli che erano stati eletti, compresi esponenti di partiti dell’opposizione e perfino figure di dubbia fedeltà all’Ucraina. Kryvyi Rih, la città dov’è nato il presidente, offre forse l’esempio migliore.

Borodianka, Ucraina, 8 luglio 2022 (Emile Ducke, The New York ​Times/Contrasto)

Questa e la vicina città di Dnipro hanno eletto sindaci avversari di Zelenskyj, anche se su fronti opposti del panorama politico: il leader di Dnipro era considerato più filoucraino, quello di Kryvyi Rih filorusso. In passato erano apertamente in lotta tra loro, e si scontravano pubblicamente con il presidente. Ora si parlano ogni giorno ed entrambi giurano assoluta fedeltà al governo Zelenskyj. O almeno lo faranno, così mi spiegano, finché la guerra non sarà finita.

Questo si deve in parte al fatto che la guerra ha unito la società contro l’aggressore esterno. Ma anche al fatto che Kiev è spesso presa da altre questioni e i dirigenti di livello più basso devono decidere collaborando tra loro. La guerra ha infatti costretto la democrazia ucraina a decentrarsi, avvicinando gli amministratori ai cittadini. I sindaci e i governatori del Donbass chiamano i loro colleghi dell’Ucraina occidentale per discutere dei trasferimenti degli sfollati. Dnipro fa da centro di smistamento per le merci e le persone che vanno e vengono da Charkiv; Zaporižžja fa lo stesso per Mariupol; Kryvyj Rih per Kherson; Odessa per Mykolaïv e così via. Il governatore di Charkiv chiama regolarmente il sindaco dell’omonima capitale, di un partito avversario, per prendere insieme decisioni cruciali, come quando imporre un coprifuoco o stabilire se sia sicuro o meno riaprire la metropolitana.

Un’idea di libertà

I leader russi, come altri leader autoritari, definiscono la democrazia “caotica”, ma questo decentramento del potere ha rafforzato l’Ucraina, consentendo ai cittadini di agire e di coprirsi l’un l’altro in caso d’emergenza. Questo comporta un rischio. Gli occupanti in Ucraina non capiscono che qui le autorità locali non seguono gli ordini del presidente o dei servizi di sicurezza, ma rappresentano le comunità o le loro opinioni. Centinaia di politici e funzionari locali sono stati rapiti, detenuti, torturati e perfino uccisi per essersi rifiutati di collaborare. Vicino a Kiev, una capo villaggio di nome Olga Sukhenko, il marito e il figlio sono stati torturati e uccisi. Nella regione ancora occupata di Kherson, nell’Ucraina meridionale, almeno 35 dei 49 capi villaggio sono stati arrestati.

Nel 2015 Liubov Zlobina era stata eletta nel comitato che governava il villaggio di Mala Rohan, nella regione di Kharkiv. Racconta con orgoglio come lei, una contadina, abbia sconfitto la “first lady”, la moglie di un ex capo villaggio. Dopo l’invasione, un abitante ha detto alle truppe russe che Liubov era una dirigente locale, e poco dopo la fattoria della donna ha subìto un attacco aereo che ha ucciso 160 capi di bestiame. Mala Rohan è anche citata in un rapporto di Human rights watch tra i primi luoghi in cui gli occupanti russi hanno violentato degli ucraini. I soldati che hanno occupato il villaggio volevano requisire la fattoria danneggiata di Liubov, ma lei si è rifiutata. I militari le hanno puntato contro le armi, ma non hanno aperto il fuoco. Facevano fatica a confrontarsi con questo tipo di risolutezza. “Noi ucraini non ci accontentiamo di una vita mediocre: vogliamo di meglio, vogliamo vivere con dignità”, mi confida Liubov. “Per questo combattiamo”.

Non arrivo a dire, come fanno molti, che la libertà è “parte del dna dell’Ucraina”. Credo che la storia non influenzi la società quanto il modo in cui è insegnata a scuola o discussa a tavola e nella vita pubblica. L’idea di libertà e la volontà di ribellarsi sono sempre state forti nel paese, ma i trent’anni dopo l’indipendenza sono stati più importanti per definirci. In questo periodo, nonostante i tentativi di truccare le elezioni, l’Ucraina è rimasta pluralista; la competizione politica tendeva a essere scorretta e violenta, ma c’era; i populisti ne hanno abusato, ma l’idea di libertà è rimasta parte della nostra cultura politica e della nostra educazione civica, ed è stata difesa con passione durante le rivolte di massa nel 2004 e nel 2014.

Ultime notizie
La situazione al fronte

◆ Nonostante la fine della “pausa operativa” annunciata da Mosca e la ripresa dei bombardamenti su vasta scala, che hanno provocato decine di vittime civili, negli ultimi giorni la linea del fronte non ha registrato movimenti significativi. Secondo alcuni analisti il rallentamento delle attività russe è dovuto anche agli effetti dei sistemi di artiglieria a lungo raggio che l’Ucraina ha ricevuto dai paesi della Nato. Gli attacchi ucraini hanno distrutto decine di depositi di armi e munizioni e alcune infrastrutture chiave, come il ponte sul fiume Dniepr, che collegava la città di Cherson alla Crimea. Il 15 luglio il ministero della difesa ucraino ha annunciato di aver ricevuto un numero imprecisato di lanciarazzi a lungo raggio M270, probabilmente forniti dal Regno Unito.

◆ Il presidente ucraino Volodymyr Zelenskyj ha rimosso dall’incarico il capo dei servizi segreti Ivan Bakanov e la procuratrice generale Irina Venediktova, accusati di non aver fatto abbastanza per limitare le infiltrazioni russe nelle istituzioni. Secondo Zelenskyj le autorità ucraine stanno indagando su 650 casi di sospetto tradimento e collaborazionismo.

◆ L’Unione europea ha annunciato altri 500 milioni di euro di aiuti militari a Kiev, che portano la somma totale a 2,5 miliardi di euro. Bruxelles ha inoltre proposto un settimo pacchetto di sanzioni contro Mosca, che proibisce l’importazione di oro dalla Russia ma non prevede nuove misure nel settore energetico.


Gli ucraini di oggi non stanno vivendo solo un capitolo di un libro di storia, ma anche le pagine di un manuale sull’espansione del sistema di governo democratico. Concetti come stato di diritto, diritti umani e responsabilità elettorale sono tradotti sul campo, mentre le vite delle persone sono messe in pericolo. È anche per questo che gli ucraini sono delusi dagli attori e dalle istituzioni internazionali che si mostrano scettici sulla forza di questi valori.

Stiamo dimostrando che la democrazia non è importante solo per una minoranza, ma per intere popolazioni. La nostra esperienza dimostra che vale la pena difenderla perché è meglio per chi ci vive, e perché le democrazie sono più resistenti nel lungo periodo, e offrono maggiori speranze per il futuro.

A più di quattro mesi dall’inizio della guerra, con molte ambasciate straniere che riaprono a Kiev, sento ripetere quanto l’occidente sia rimasto sorpreso dalla portata dell’unità ucraina, e mi viene chiesto se le lotte politiche degli ultimi anni torneranno. Allora la divisione politica era considerata uno dei motivi per cui l’Ucraina avrebbe potuto un giorno smettere di essere uno stato. Ma quando la minaccia contro di noi è stata più grande, il nostro paese ne è uscito rafforzato. Quelli che consideravamo i nostri punti deboli – le divisioni politiche, il multiculturalismo, la mancanza di gerarchie – si sono rivelati dei vantaggi. Putin potrebbe ancora avere ragione su una cosa, che essere ucraini sia una scelta politica. In effetti si è dimostrata una scelta consapevole di valori, credere che un popolo libero possa migliorare il suo paese. La grande preoccupazione del presidente russo è che questo possa ispirare altri. Quaranta milioni di ucraini sono stati allevati secondo questa scelta. E il processo non potrà essere vanificato, a meno di sterminarci come nazione politica. ◆ ff

Nataliya Gumenyuk sarà ospite al festival di Internazionale a Ferrara, in programma dal 30 settembre al 2 ottobre.

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Questo articolo è uscito sul numero 1470 di Internazionale, a pagina 22. Compra questo numero | Abbonati