La mattina del 18 aprile 2023, il grande maestro di scacchi Ding Liren, il giocatore cinese con il punteggio più alto di tutti i tempi, stava discutendo di tattiche con il suo allenatore. Quel pomeriggio avrebbe affrontato Ian Nepomniachtchi (conosciuto dagli appassionati come Nepo) nell’ultima partita del match per il titolo mondiale. Il primo a raggiungere sette punti e mezzo avrebbe conquistato la corona, lasciata vacante da Magnus Carlsen, che aveva deciso di non difendere il titolo. La partita sette era cruciale: vincere voleva dire guadagnare un enorme vantaggio psicologico. Il secondo di Ding era Richárd Rapport, un ungherese dai capelli lunghi, il quinto giocatore più forte del mondo in quel momento e grande maestro dall’età di tredici anni. Mesi prima, Ding aveva scherzato sull’idea di provare la difesa francese al campionato del mondo, una mossa che avrebbe potuto sorprendere Nepo e metterlo in difficoltà. Rapport, famoso per il suo stile audace, aveva detto che quel momento era arrivato.

La difesa francese ha origini antiche, ma il suo nome deriva da una partita per corrispondenza tra i club di scacchi di Parigi e Londra nel 1834. In risposta alla prima mossa del bianco, che spinge il pedone su e4, il nero avanza il proprio solo di una casella, fermandosi a e6. È una strategia insidiosa fin dall’inizio, come un pugile che entra nel ring già con i pugni alzati. Ma proprio come un pugile che abbassa la guardia per colpire, la difesa francese si espone a debolezze man mano che avanza. Il nero concede inizialmente spazio al centro, con l’intento di riconquistarlo più avanti. Tuttavia, deve fare i conti con un problema immediato: il suo alfiere di regina resta bloccato. E in un gioco dalle infinite possibilità, si aprono una serie di varianti complesse: Winawer, Burn, McCutcheon, Steinitz, Rubinstein e molte altre. Per questa ragione, la francese è raramente consigliata ai principianti.

Il mio modo di giocare a scacchi è rudimentale, ma per le prime due settimane della carriera di Charlie riuscivo ancora a batterlo. Poi, dalla terza, ho cominciato a perdere

Nelle ore successive si è consumata una delle disintegrazioni mentali più sorprendenti mai viste nel circuito dei grandi maestri. Nepo ha aperto con e4, come previsto, ma Ding ha impiegato 55 secondi per rispondere con e6. Perché, se aveva già deciso di giocare la francese, ha esitato così a lungo? Era paralizzato dal dubbio? Dopo questa pausa, la partita si è stabilizzata. A metà gioco, alcuni scambi hanno messo Ding in difficoltà, ma è riuscito sempre a trovare la mossa migliore, secondo i commentatori online e i computer che analizzavano in sottofondo. Un avanzamento del suo alfiere ha messo Nepo sotto pressione e, dopo quattro ore di gioco, Ding sembrava avere un leggero vantaggio. Ma il tempo scorreva. I giocatori dovevano raggiungere la quarantesima mossa entro due ore, dopo di che avrebbero ricevuto altri trenta minuti, con incrementi di trenta secondi per mossa. Negli scacchi classici, la gestione del tempo è cruciale.

Alla mossa 32, con meno di sei minuti rimasti sul suo orologio, Ding si è bloccato. Nepo si è alzato e ha fatto due passi, mentre Ding restava immobile alla scacchiera, il mento appoggiato alla mano, l’orologio che scorreva inesorabile. Online, il mondo degli scacchi tratteneva il fiato. I commentatori urlavano verso lo schermo: “Muovi, Ding, muovi!”. Finalmente, dopo quattro minuti e 54 secondi, ha mosso la torre a d2 (considerata da tutti la mossa sbagliata). Ora aveva solo 45 secondi per completare otto mosse e rimanere in partita. Si è perso del tutto e non è passato molto prima che allungasse la mano in segno di resa.

Mio figlio, Charlie, aveva scoperto gli scacchi due anni prima di quel campionato del mondo. A dieci anni si era imbattuto su YouTube in Levy Rozman, noto come GothamChess, un russo-statunitense idolatrato dai giovani appassionati di tutto il mondo. Il mio modo di giocare a scacchi è rudimentale, quasi imbarazzante, ma nelle prime due settimane della sua carriera scacchistica riuscivo ancora a battere Charlie. Mi dava una segreta soddisfazione. Poi, dalla terza, ho cominciato a perdere. Quando Ding e Nepo si sono affrontati in Kazakistan, un mese dopo, ho dovuto accettare che non avrei mai più battuto mio figlio a scacchi.

Charlie respirava scacchi. Dopo la scuola correva nella sua stanza per giocare su chess.com. Abbiamo seguito insieme il campionato del mondo online, condividendo parte dell’esasperazione collettiva mentre imploravamo Ding di muoversi. Charlie si è iscritto al club di scacchi locale, dove ha trovato tanti nuovi amici, quasi tutti di trenta o quarant’anni più di lui. Ha imparato le aperture, studiato libri sui finali, affinato il suo gioco con esercizi di enigmi e ha guardato ripetutamente un documentario su Magnus Carlsen. Una scena gli è rimasta impressa: nel 2013, Carlsen, bendato, sfidò simultaneamente dieci avvocati laureati a Harvard, tutti giocatori amatoriali di scacchi, annunciando le sue mosse ad alta voce, tenendo in testa tutte le dieci scacchiere con le loro evoluzioni di 32 pezzi. Vinse tutte e dieci le partite.

Verso la fine del 2023, Charlie ha fatto i suoi primi timidi passi nel circuito dei tornei under 12. È cominciata una nuova routine: lunghe giornate in gelide chiese, palestre scolastiche nei sobborghi di Londra, treni per Ealing, Potters Bar, Catford, Richmond, Cheam. La maggior parte dei bambini giocava da anni, molti con degli allenatori alle spalle, ma Charlie progrediva rapidamente. Una volta, al Coulsdon community centre, dove nel 1946 il maresciallo Montgomery tenne una conferenza su “L’uomo e la bomba atomica”, Charlie è uscito visibilmente scosso da una partita contro il primo classificato. Senza sapere bene come, era riuscito a sacrificare una torre per creare una rete di scacco matto, bloccando ogni via di fuga per il re avversario. Quel pomeriggio aveva sperimentato la bellezza degli scacchi, un picco di calcolo mentale che finalmente dava senso alle centinaia di ore trascorse a studiare. Ne ha parlato per giorni e io ho capito che gli scacchi non sarebbero stati una moda passeggera.

Beatrice Bandiera

Charlie giocava istintivamente in uno stile che uno dei suoi nuovi amici al club definiva romantico. Nel corso dei secoli, la scacchiera si è evoluta attorno a diverse strategie condivise. Nel settecento, l’era di Philidor, ci si concentrava sulla mobilità dei pedoni e sulle loro diverse strutture. Poi arrivò la scuola modenese, che si sviluppò in Italia e puntava sul rapido sviluppo dei pezzi. Gli scacchi romantici nacquero nell’ottocento, uno stile audace caratterizzato dall’uso di colpi di scena e trappole. Vincere con stile è la priorità, perdere con stile è perfettamente accettabile. Una delle partite più famose, l’emblema degli scacchi romantici, è quella tra Adolf Anderssen e Lionel Kieseritzky a Londra nel 1851. Anderssen vinse sacrificando i suoi pezzi migliori a favore dello sviluppo di uno schema di matto con quelli minori. La partita, riprodotta in Blade runner quando Sebastian dà scacco matto a Tyrell, contiene strategie che oggi sono disapprovate, anche se ammirate. C’era qualcosa dello spirito di quella partita immortale che fluiva in Charlie quel pomeriggio a Coulsdon.

Lo stile romantico fu “soppresso” 150 anni fa, quando Wilhelm Steinitz, il primo campione del mondo riconosciuto ufficialmente, cominciò a battere gli avversari con una tecnica più posizionale. Il gioco ha continuato a evolversi – dalla scuola classica alla ipermoderna fino a quella sovietica – e oggi siamo nell’era del supercomputer. Stockfish e altri potenti motori scacchistici sono strumenti indispensabili per ogni giocatore, che sia Ding Liren o un ragazzino nella biblioteca di Streatham, dove Charlie passava ogni martedì sera.

Durante la primavera e l’estate del 2024, Charlie ha continuato a migliorare. Le gite giornaliere sono diventate interi fine settimana in alberghi economici fuori Londra. Alle finali dei campionati nazionali giovanili a Nottingham, cinque partite di scacchi classici in due giorni e mezzo, è riuscito a classificarsi terzo, due posti dietro Ruqayyah Rida, una delle giocatrici britanniche di maggior talento. In realtà, c’era un abisso di abilità tra lui e Rida, Charlie era semplicemente entusiasta di poter giocare vicino a lei. Ma stava anche sviluppando una nuova soglia di pazienza: una delle sue partite a Nottingham ha superato le quattro ore. Anche a questi livelli, gli scacchi sono rigorosamente regolamentati e ai genitori non è permesso entrare nella sala da gioco. A volte riesco a scorgerlo da una finestra, accasciato sulla scacchiera, totalmente concentrato. Cerco di leggere il suo linguaggio del corpo, ma non rivela molto. In Players and pawns, Gary Alan Fine suggerisce che “una parte della bellezza degli scacchi è la sua qualità esperienziale, la capacità delle persone di concentrarsi su un’attività tanto da perdere la consapevolezza del tempo, dell’ambiente esterno e della coscienza di sé. Queste esperienze diventano autoteliche, perché i confini tra il sé e l’attività svaniscono”. Quando, che vinca o che perda, Charlie e io ci riuniamo dopo una partita di torneo, lui ha lo sguardo stordito di un subacqueo che riemerge dalle profondità.

Nonostante la sconfitta contro Nepo nella partita sette, la settimana successiva Ding si è ripreso. Con il punteggio di parità, 7-7, è stato necessario un giorno decisivo di rapidplay, una serie di partite veloci dove l’istinto riprende il sopravvento sul calcolo profondo. Ding ha trionfato. Ma a novembre dello scorso anno, quando si è seduto a Singapore per difendere il suo titolo contro uno dei grandi calcolatori del gioco, il diciottenne indiano Gukesh Dommaraju, la situazione era diversa. Non aveva vinto nessuna delle sue ultime venti partite e aveva perso la posizione tra i primi venti nel ranking mondiale. In alcune occasioni si era trovato in posizione favorevole, solo per commettere errori e finire in pareggio o perdere. Aveva detto di aver perso la gioia di giocare a scacchi, ammettendo di lottare con la sua salute mentale. Il campionato del mondo è sempre una sfida tra il campione in carica e il miglior sfidante; la maggior parte dei fan pensava che la finale del 2024 fosse scontata. Quando si parlava delle possibilità di Ding, i grandi maestri di scacchi – Carlsen, Nakamura, Caruana – storcevano il naso e scuotevano la testa. Ding è rispettato e amato (Rapport lo chiama il “guerriero pacifico”), ma molti erano preoccupati per lui. In una delle interviste, aveva ammesso che una pesante sconfitta contro Gukesh era una possibilità concreta.

Gukesh ha imparato a giocare quando aveva sette anni, spinto dell’interesse per gli scacchi in India dopo il successo di Viswanathan Anand nei primi anni duemila. Suo padre ha rinunciato alla carriera di chirurgo per dedicarsi al sogno del figlio, accompagnandolo ai tornei in giro per il mondo. Nel 2019, a soli dodici anni, Gukesh è diventato il secondo più giovane grande maestro della storia. Cinque anni dopo, ha conquistato il diritto di sfidare Ding vincendo il durissimo Torneo dei candidati, dove i futuri sfidanti si battono per il diritto di affrontare il campione del mondo.

Dopo aver stretto la mano a Ding, Gukesh si è messo subito al lavoro, spostando il pedone del re in e4 e premendo il suo orologio. Ding ha aggrottato la fronte in concentrazione. Ha allungato la mano e mosso il suo pedone in e6: la francese. In 138 anni di scacchi del campionato mondiale, la francese è stata scelta solo tre volte come mossa di apertura e quaranta volte in totale. In queste quaranta partite il nero, svantaggiato perché non muove per primo, ha vinto solo tre volte. Ding non giocava la francese dalla partita del campionato diciotto mesi prima. I fan degli scacchi trattenevano il fiato.

Nelle due ore successive, Ding è rimasto accasciato sul tavolo. L’ansia e il turbamento che avevano segnato il suo gioco dalla finale precedente sembravano riaffiorare. Non si è fermato neanche per bere un sorso d’acqua o alzarsi per sgranchirsi le gambe. Gukesh, al contrario, muoveva i suoi pezzi con calma e sicurezza. Il campionato era appena cominciato, ma lui aveva già l’aria di un campione in attesa. I commentatori ammiravano il suo provocatorio spostamento del pedone in g4, un’innovazione che doveva essere frutto di un’accurata preparazione, dato che aveva impiegato solo venti secondi per realizzarla, mettendo rapidamente il suo avversario sotto la pressione del tempo. Ding sembrava sempre più paralizzato, quasi desolato, cercava nella sua memoria la mossa successiva scuotendo la testa, mentre il tempo scivolava via. Alla mossa 14, era quasi un’ora indietro sull’orologio.

Poi, lentamente, il suo linguaggio del corpo ha cominciato a cambiare. È diventato meno agitato, un segno che la sua mente si stava schiarendo e aveva finalmente trovato un equilibrio tra intuizione e calcolo profondo. Si è sollevato sulla sedia. La posizione sulla scacchiera si stava equilibrando, e alla mossa 17 i motori scacchistici online mostravano che la situazione era leggermente più pericolosa per Gukesh. Anche gli orologi hanno cominciato a pareggiare: Gukesh ha impiegato 35 minuti per decidere una sola mossa, la sedia gli tremava sotto le gambe. Ding sembrava concentrato. Le sue mosse erano precise. Considerando le difficoltà degli ultimi due anni, questa sequenza è stata una delle migliori della sua carriera.

Ma la sua posizione è rimasta ancora precaria. Non ha arroccato fino alla mossa 31, straordinariamente tardi. E poi la sua attenzione è tornata alla colonna e, dove quattro ore prima aveva avviato la francese con quel coraggioso spostamento del pedone. Ha fatto avanzare di nuovo il suo pedone, l’unica mossa, suggerivano i computer, che gli avrebbe impedito di perdere. Ora, con solo 24 secondi per fare sei mosse, Gukesh aveva poco tempo per i calcoli. È riuscito a fare la mossa 40 con appena un secondo di margine, ma ora era lui a essere accasciato sul tavolo, la testa tra le mani. Per la prima volta in più di quattro ore, Ding si è alzato dalla sua sedia e si è allontanato per fare uno spuntino con delle noci. Pochi minuti dopo, Gukesh ha offerto la mano in segno di resa. Il campionato, di colpo, si è infiammato.

L’immagine di una scacchiera con i pezzi in gioco è carica di suggestioni simboliche, molte delle quali violente. I freudiani leggono gli scacchi come un’arena di pulsioni edipiche: la protezione del re simboleggia una paura di castrazione, la libertà della regina sulla scacchiera indica la sua dominanza e potere sessuale. Gli scacchi che ho osservato nei tornei di preadolescenti certamente portano con sé questioni relazionali. Mi sembra che alcuni dei ragazzi, e sono per lo più ragazzi, portino nel gioco le vite scacchistiche spettrali dei loro padri. Voglio che Charlie vinca, naturalmente, ma quello che gli succede quando la porta della sala da gioco è chiusa, anche se lui lo racconta dopo, per me è un mistero. Sono un osservatore confuso, incapace di analizzare le partite con lui come fanno molti degli altri padri, che sono bravi giocatori. Gli scacchi ci hanno avvicinati, passiamo moltissimo tempo insieme nel circuito, ma con un po’ di malinconia. Lo vedo scomparire attraverso la scacchiera sempre di più, in un piano privato di ordine sociale e minacce annesse, finte e trappole, eleganza fugace, soddisfazioni ordinate e delusioni schiaccianti, un mondo nella sua testa che rispecchia il mio, ma al quale non riesco ad accedere. Mentre gioca, lo sento allontanarsi da me.

A Singapore, Gukesh è tornato a vincere nella partita tre, e Ding è sembrato di nuovo smarrito. Nei quindici giorni successivi ci sono stati vari pareggi fino alla partita undici, quando, anche se Gukesh aveva impiegato più di un’ora su una singola mossa, Ding ha commesso un errore mettendo la sua regina sulla settima traversa, un passo falso da cui non è riuscito più a riprendersi. Gukesh è passato a condurre per 6 a 5, un vantaggio che molti critici giudicavano decisivo. Era un territorio familiare per Ding, che nel 2023 aveva inseguito Nepo nelle ultime partite. Il giorno successivo, anche se era in ritardo sulla preparazione già dalla mossa sei, Ding ha giocato delle mosse tra le più sublimi che avesse fatto negli ultimi anni. Lentamente, inesorabilmente, ha migliorato la sua posizione, stringendo la presa finché Gukesh non ha avuto altra scelta che arrendersi.

L’apertura della partita tredici ci ha riportato dove era cominciato tutto quasi tre settimane prima: la francese. Questa volta Gukesh ha scelto una linea di sviluppo insolita con il bianco e di nuovo Ding si è immerso in un profondo calcolo. All’ottava mossa era già un’ora indietro sull’orologio. Il vantaggio è passato avanti e indietro tra i due avversari, e a un certo punto Ding è sembrato disperato. Ma Gukesh ha sprecato delle occasioni, Ding si è ripreso e si è raggiunto un pareggio.

Con il campionato in parità 6,5-6,5, una vittoria nella quattordicesima partita avrebbe deciso tutto. Si pensava che Ding difficilmente avrebbe perso con i pezzi bianchi, ma molti prevedevano un pareggio, il che significava che il titolo sarebbe stato di nuovo deciso dal rapid­play. Ding sembrava avere la posizione migliore nella fase centrale del gioco, ma temendo di esporsi ha giocato timidamente, e scambiando i suoi pezzi ha diluito qualsiasi piccolo vantaggio avesse. Quando ha scelto di entrare in un finale di torre e alfiere sotto di un pedone, gli osservatori non si sono preoccupati troppo, pensando che il pareggio fosse quasi certo. Ma il suo orologio era basso, come lo era stato per gran parte del torneo. E poi, alla mossa 55, ha fatto la mossa di torre in f2.

Quella torre f2 ha perseguitato Ding per il resto della sua vita. Per un momento Gukesh non si è reso conto di cosa fosse successo (ha ammesso poi che stava già preparando mentalmente il playoff). Ma improvvisamente si è alzato dalla sedia. Le sue mani si sono alzate come in preghiera, un’espressione di stupore sul suo viso, uno sguardo che Ding ha registrato con orrore. Gukesh poteva semplicemente scambiare le torri e subito dopo gli alfieri, lasciando il re di Ding senza difesa contro il pedone in più. Gli scambi sono stati fatti e Ding si è arreso e ha abbandonato. Gukesh è rimasto al tavolo sbalordito, il più giovane campione del mondo di sempre.

Dopo il campionato, Charlie e io non siamo riusciti a parlare di nient’altro se non di quella mossa di torre. Anche se entrambi siamo fan di Gukesh, avevamo seguito così da vicino le difficoltà di Ding che ci è sembrato insopportabile vederlo commettere un errore in quel momento cruciale. Tutti e due potevamo immaginare cosa doveva aver provato. Anche per un giocatore al livello di Charlie, un ragazzo che risponde bene alla sconfitta, capisco come un tipo particolare di errore possa perseguitarlo, minando la sua fiducia. Continuava a discutere di torre f2 come se stesse cercando di decifrare la ragione di quel gesto.

La terza sera, Charlie è entrato nell’ultima partita quasi certo di potersi piazzare tra i primi dieci, se l’avesse vinta. Aveva giocato molto bene durante tutto il torneo: quel giorno aveva vinto una partita particolarmente soddisfacente con una variazione Steinitz della francese, e ora aveva sessanta punti. Ma era esausto e aveva di fronte Kai Beattie, un giocatore astuto che spesso fa una mossa estremamente rara in apertura con la speranza di destabilizzare il suo avversario. Charlie e Kai non si erano mai affrontati prima. Speravo tantissimo che vincesse, ma non volevo mostrarlo. Un punto finale lo avrebbe reso un candidato per la squadra dell’Inghilterra.

Charlie è emerso dalla sala due ore dopo. Nel momento in cui ho visto la sua faccia, ho capito che aveva perso. Kai aveva effettivamente giocato una mossa di apertura sorprendente: a6. I motori di scacchi mostravano che Charlie aveva reagito bene e, infatti, aveva avuto la meglio nelle prime fasi della partita. Ma nel gioco medio, Kai ha aumentato la pressione e Charlie ha cominciato a cedere, arrendendosi alla mossa 33. Abbiamo camminato insieme verso la stazione della metropolitana. “Lo so che non mi dovrei arrabbiare”, ha detto, seppellendo la faccia nella sciarpa. ◆ svb

Nicholas Pearson è uno scrittore ed editor britannico. Questo articolo è uscito sul giornale letterario britannico London Review of Books con il titolo “On the chess circuit”.

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Questo articolo è uscito sul numero 1606 di Internazionale, a pagina 88. Compra questo numero | Abbonati