Mercenari siriani filoturchi in Niger? La notizia, non ancora confermata da documenti ufficiali, circola dall’inizio di maggio, dopo che l’Osservatorio siriano per i diritti umani (Osdh) ha annunciato il rimpatrio delle salme di alcuni siriani morti mentre combattevano nel lontano Sahel per difendere gli interessi geopolitici della Turchia. Da allora l’Osdh, un’organizzazione legata all’opposizione siriana, ha più volte dato la notizia dell’arrivo in Niger di combattenti siriani – “più di un migliaio” – impiegati dalla Sadat, un’azienda di sicurezza privata vicina al presidente turco Recep Tayyip Erdoğan.

L’offensiva diplomatica della Turchia in Africa è storia nota, con collaborazioni nel campo della sicurezza, accordi economici, offerte di aiuti umanitari e la promozione di un islam ispirato alla dottrina dei Fratelli musulmani. Oggi, però, mentre francesi e statunitensi abbandonano il campo, il Sahel sembra attirare nuova attenzione.

“In Niger i mercenari siriani sorvegliano miniere, impianti petroliferi e basi militari”, spiega Rami Abdel Rahman, il direttore dell’Osdh. “Finiscono, però, coinvolti negli scontri con i jihadisti: finora ne sono morti nove”. Secondo l’Osdh questi miliziani si ritrovano a combattere a fianco dei “russi” degli Africa Corps (ex Wag­ner) o a rispondere ai loro ordini, mentre Mosca e Ankara sono ancora schierate su fronti opposti in Siria.

L’interesse militare di Ankara nel Sahel, se confermato, non sembra immotivato, se si tiene conto del modo di agire dei turchi. Secondo fonti nel settore della sicurezza dell’Africa occidentale, ci sono stati dei colloqui tra la giunta nigerina e la Sadat, che è diventata uno strumento della strategia d’influenza turca all’estero. Nell’autunno del 2020 la Sadat ha mandato dei mercenari siriani a combattere per l’Azerbaigian nel conflitto con l’Armenia sul Nagorno Karabakh. Nove mesi prima aveva svolto un’operazione simile nell’ovest della Libia per conto di Tripoli. Secondo un rapporto statunitense, l’intervento di cinquemila combattenti turchi aveva permesso al governo di Fayez al Sarraj, alleato della Turchia, di respingere l’offensiva del maresciallo Khalifa Haftar, sostenuto da miliziani russi della Wagner.

Esercito parallelo

La Sadat è stata fondata nel febbraio 2012 da Adnan Tanrıverdi, un generale turco che era stato destituito per le sue tendenze islamiste (oggi il gruppo è guidato dal figlio Melih). L’opposizione turca ha sempre considerato la Sadat come un “esercito parallelo” al servizio di Erdoğan. Negli ultimi anni “il gruppo si è specializzato nella gestione dei miliziani siriani e nell’invio di combattenti all’estero, in collaborazione con l’esercito”, spiega Yohanan Benhaïm, ricercatore all’Istituto francese di studi anatolici.

In Niger la giunta del generale golpista Abdourahamane Tiani si è avvicinata sia alla Turchia sia alla Russia, che ad aprile ha inviato nel paese africano i paramilitari degli Africa Corps. Alla fine dello stesso mese, dopo un incontro tra il ministro della difesa nigerino Salifou Modi e l’ambasciatore turco Özgür Çinar, Niamey ha annunciato il “rafforzamento della cooperazione in materia di difesa” con la Turchia. Gli armamenti turchi, meno costosi e più semplici da ottenere rispetto a quelli occidentali, sono apprezzati dai leader africani. Il prodotto di punta dell’industria bellica turca sono i droni armati prodotti dalla Bayraktar. Le giunte militari al potere in Niger, Mali e Burkina Faso ne hanno comprati vari modelli per combattere i gruppi jihadisti.

Anche in Mali comincia a circolare il nome della Sadat. Secondo diverse fonti, la missione dell’azienda turca a Bamako è garantire la sicurezza del colonnello Assimi Goita, presidente della transizione, che si sente minacciato dal ministro della difesa, Sadio Camara. Quest’ultimo è stato l’artefice dell’arrivo in Mali di circa duemila mercenari russi della Wagner alla fine del 2021. “Goita sta cercando di costruirsi una guardia pretoriana perché non si fida di Camara e della Wagner”, conferma una fonte nel settore della sicurezza dell’Africa occidentale. ◆ gim

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Questo articolo è uscito sul numero 1568 di Internazionale, a pagina 21. Compra questo numero | Abbonati