Di recente il governo dello Sri Lanka ha annunciato che avvierà un processo di riconciliazione a lungo rinviato dopo la guerra civile che ha sconvolto il paese tra il 1983 e il 2009. La notizia è stata accolta con scetticismo da molti srilanchesi, ma intanto c’è chi sta provando ad affrontare le storiche e violente divisioni tra singalesi e tamil usando la cosiddetta “riconciliazione linguistica”.
Nello Sri Lanka la lingua ha sempre avuto un ruolo importante, anche prima della guerra civile. Appena affermata l’indipendenza, nel 1948 il singalese diventò l’unica lingua ufficiale, in base a una politica sconsiderata che ebbe un impatto negativo sullo status delle altre lingue minoritarie, soprattutto il tamil. La guerra dell’esercito contro il movimento indipendentista delle Tigri tamil si è conclusa nel 2009 e nella sua ultima fase è stata segnata da massacri di civili tamil.
Con la grave crisi economica che ha colpito il paese nel 2022, la questione dell’emarginazione linguistica è passata in secondo piano rispetto ai problemi della sanità o dello sviluppo economico. Al tempo stesso, però, le pesanti ingerenze statali nel campo della lingua e della cultura tamil rappresentano una grave minaccia per la pace. In un clima di forte sfiducia nelle capacità del governo di gettare le basi per una riconciliazione, sono spesso i singoli individui a cercare di rimediare alle ingiustizie del passato.
Tranello
Nel 1983 la madre di Sabitha stava tornando a casa a bordo di un furgone durante i disordini antitamil noti come luglio nero. Una folla di nazionalisti singalesi fermò il furgone e salì a bordo, agitando bottiglie di cherosene e ordinando all’autista di pronunciare la parola singalese per “secchio”. Era una parola innocua ma se una persona l’avesse pronunciata con l’accento tamil, rischiava l’aggressione o l’uccisione. Dopo quasi quarant’anni e un’infanzia trascorsa a nascondere la sua lingua madre e la sua identità, Sabitha ha cominciato a lavorare come insegnante di lingua tamil.
Sempre nel 1983 Manel, una ragazza singalese, nascondeva in casa la famiglia della sua migliore amica per proteggerla dalle folle che usavano le liste elettorali per attaccare le proprietà tamil. Alla fine, per sicurezza, la famiglia dell’amica si trasferì all’estero. Manel smise del tutto di parlare il tamil e solo quarant’anni dopo ha ricominciato a studiarlo.
Il segnale
Amita Arudpraga voleva migliorare il suo tamil e non trovando corsi di lingua per adulti nel 2019 ha aperto una scuola non profit. Negli anni si sono iscritti più di 250 studenti e insegnanti come Sabitha e Manel. Gli studenti sono sia tamil sia singalesi che, essendo cresciuti durante la guerra, non hanno potuto imparare a usare il tamil. Questo ha avuto gravi conseguenze per molti srilanchesi, dalla perdita della lingua madre e dell’identità per la minoranza all’impossibilità di comunicare tra le due etnie, passando per un accesso limitato alla letteratura, alle arti, ai mezzi d’informazione e alla cultura tamil.
La lingua tamil è stata censurata nei servizi pubblici, nelle chiese, nell’inno nazionale. Per le famiglie tamil era normale non usare la loro lingua fuori casa e preferire l’inglese per timore che i bambini fossero maltrattati. Come ha raccontato un’insegnante: “Sulla strada verso la scuola io e la mia amica parlavamo in tamil, ma quando ci avvicinavamo avevamo un segnale, io le stringevo la mano e passavamo all’inglese”.
La riconciliazione e la giustizia linguistica sono i principali motivi che spingono i singalesi a imparare il tamil. Molti di loro lavorano a progetti di ricostruzione nelle regioni del paese a maggioranza tamil colpite dalla guerra e non vogliono affidarsi a interpreti ma essere in grado di parlare la lingua per costruire relazioni di fiducia. Sono segnali del fatto che nel paese un sostegno alla riconciliazione esiste già, indipendentemente dal processo che lo stato vorrà avviare. ◆ gim
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Questo articolo è uscito sul numero 1552 di Internazionale, a pagina 26. Compra questo numero | Abbonati