Dopo un rinvio di otto mesi a causa della pandemia, si è aperto il 16 ottobre a Ouagadougou il Fespaco, il festival panafricano del cinema e della tv. “Una 27a edizione in modalità covid-19, in un Burkina Faso colpito dal terrorismo”, scrive il quotidiano Aujourd’hui au Faso, sottolineando le difficoltà per gli organizzatori. Oltre all’instabilità diffusa, l’industria cinematografica locale soffre per la mancanza di finanziamenti e le sale delle principali città chiudono una dopo l’altra. Quest’anno il festival è dedicato ai nuovi sguardi e alle sfide del cinema dell’Africa e della sua diaspora, con ospite d’onore il Senegal. Dei 239 film in concorso, diciassette pellicole di sedici paesi si contenderanno il premio principale, l’Étalon d’or de Yennenga, che nel 2019 è andato al regista ruandese Joel Karekezi per The mercy of the jungle. Alla fine della manifestazione è stato annunciato un “mini Fespaco” itinerante nel nord del paese, la parte più colpita dagli attacchi dei gruppi jihadisti, che negli ultimi sei anni hanno causato duemila morti e 1,4 milioni di sfollati. ◆
La settimana del cinema
Imparare a perdere
Il voto del 10 ottobre ha premiato il movimento del leader sciita Moqtada al Sadr, che ha ottenuto 73 seggi su 329 nel parlamento iracheno. Le formazioni vicine all’Iran invece hanno perso molti consensi e hanno chiesto un riconteggio dei voti. Il quotidiano iracheno Azzaman critica la contestazione dei risultati elettorali, che hanno l’effetto di “bloccare il processo democratico”. Al contrario è ora che “i perdenti imparino a fare opposizione, qualcosa che non esiste in Iraq dai tempi del partito unico di Saddam Hussein”.
Un anno dopo la strage
Nell’ottobre 2020 la Nigeria scendeva in piazza contro le violenze della polizia e denunciava sui social network con l’hashtag #EndSars gli abusi della Special anti-robbery squad (Sars). Secondo Amnesty international, in quelle settimane 56 nigeriani morirono nella dura repressione delle proteste. Tra loro, dodici persone furono uccise il 20 ottobre 2020 al casello di Lekki, alle porte di Lagos, dove gli agenti spararono sulla folla di manifestanti. In vista dell’anniversario, il quotidiano Premium Times ha lanciato un appello alla polizia, chiedendo di “non riaprire vecchie ferite” e di lasciare in pace chi vuole commemorare gli eventi di un anno fa. Il giornale fa notare che da allora non è cambiato molto e che non sono state adottate le riforme chieste dai manifestanti. ◆ Il 15 ottobre l’esercito ha dichiarato di aver ucciso Abu Musab al Barnawi, il leader del gruppo Stato islamico in Africa occidentale (Iswap). L’organizzazione terroristica non ha reagito all’annuncio. Il 17 ottobre nello stato del Sokoto (nordest) un gruppo armato ha attaccato un mercato, uccidendo 43 persone.
Il momento più difficile
Il 17 ottobre, per la seconda notte consecutiva, centinaia di manifestanti hanno partecipato a un sit-in a Khartoum chiedendo che i militari rovescino il governo guidato da Abdallah Hamdok. Dalla rivolta popolare che nel 2019 ha messo fine alla dittatura di Omar al Bashir, il paese è guidato da un esecutivo di transizione di cui fanno parte militari e civili. Secondo il quotidiano Al Taghreer, il Sudan sta attraversando “il momento più difficile nella transizione verso la democrazia”. La crisi politica nell’est del paese, l’anarchia nella capitale e gli ostacoli alla produzione di petrolio nell’ovest sembrano mosse orchestrate per “strangolare il potere civile e favorire l’ascesa dei militari”.
Etiopia Dal 18 ottobre l’esercito ha condotto due raid aerei su Mekelle, il capoluogo del Tigrai, causando almeno tre morti.
Capo Verde Il candidato di sinistra, l’ex premier José Maria Neves, ha vinto le presidenziali del 17 ottobre al primo turno.
Eswatini Il regno ha chiuso le scuole il 16 ottobre per impedire le proteste degli studenti, che da settimane manifestano a favore della democrazia.
Iran Nazanin Zaghari-Ratcliffe, che ha la cittadinanza britannica e iraniana, ha perso l’appello contro una sentenza che ad aprile la condannava a un anno di carcere per “propaganda”.
In difesa delle olive
Da quando è cominciata la raccolta delle olive nella Cisgiordania occupata, i coloni ebrei portano avanti violenti attacchi quotidiani contro i villaggi palestinesi, danneggiando piantagioni e terreni e aggredendo gli abitanti. Su Haaretz Amira Hass scrive che “dall’inizio della stagione delle olive, il 3 ottobre, fino al 16 ottobre, i cittadini israeliani in Cisgiordania hanno sabotato i raccolti 18 volte colpendo direttamente i contadini o tagliando e rompendo gli alberi o rubando i raccolti”. Decine di volontari palestinesi partecipano alla campagna per proteggere i contadini e i loro campi.
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