Il 16 novembre nella capitale ugandese Kampala due esplosioni simultanee, una vicino al parlamento, l’altra al commissariato centrale di polizia, hanno causato almeno tre morti e 36 feriti, scrive il quotidiano Daily Monitor. Gli attacchi sono stati compiuti da tre attentatori suicidi che viaggiavano a bordo di due moto. In città sono stati trovati altri ordigni non esplosi e un quarto attentatore è stato arrestato. Nelle ore successive gli attacchi sono stati rivendicati dal gruppo Stato islamico (Is). La polizia li aveva da subito attribuiti alle Forze democratiche alleate, una milizia ugandese affiliata all’Is. ◆
Uccisa una giornalista
Rasha Abdullah al Harazi, una giornalista di 26 anni al nono mese di gravidanza, è morta nell’esplosione della sua auto ad Aden il 9 novembre. Il marito Mahmoud al Otmi, giornalista anche lui, è ferito. L’attentato non è stato rivendicato, ma Al Otmi ha detto di essere diventato un obiettivo per aver denunciato la repressione dei ribelli sciiti huthi. Intanto gli scontri si sono intensificati intorno ad Al Hodeida, dove l’avanzata degli huthi ha costretto alla fuga seimila persone, e a Marib, l’ultima roccaforte governativa nel nord.
In piazza senza paura
Abdel Fattah al Burhan, capo della giunta militare che ha preso il potere in Sudan il 25 ottobre, ha nominato l’11 novembre un nuovo consiglio di sovranità. È composto in parte da civili, nessuno dei quali faceva parte della coalizione che guidava il paese prima del golpe. Due giorni dopo otto persone sono state uccise nelle manifestazioni contro la giunta. Il 17 novembre è stata organizzata una nuova protesta nella capitale Khartoum, dove due civili sono morti. “I sudanesi continuano a scendere in piazza nonostante la repressione”, scrive il quotidiano Al Taghyeer.
Si riaccende il conflitto
Il conflitto decennale tra il Marocco e il Fronte Polisario, che lotta per l’autodeterminazione dei sahrawi, si sta riaccendendo, scrive l’Economist. Rabat nell’ultimo anno ha riportato un migliaio di “incidenti” tra le sue forze e quelle del Fronte Polisario. All’inizio di novembre un camion che viaggiava sulla strada tra Nouakchott, in Mauritania, e Ouargla, in Algeria, è stato colpito da un bombardamento e tre camionisti algerini sono morti. Il governo di Algeri, principale sostenitore del Fronte Polisario, ha parlato di “terrorismo di stato”, scrive il quotidiano Liberté. Ad agosto l’Algeria aveva rotto le relazioni diplomatiche con Rabat, e il 22 settembre aveva chiuso lo spazio aereo ai voli marocchini. Secondo Liberté, oltre alla disputa sul Sahara Occidentale, ci sono due ragioni per la rottura. Una è la scoperta che Rabat usava il software spia Pegasus contro cittadini algerini. L’altra è che il Marocco ha normalizzato i rapporti con Israele, uno “shock per l’Algeria”.
La diplomazia africana
“L’Unione africana e i paesi vicini possono svolgere un ruolo importante da mediatori nel conflitto in Etiopia e convincere le parti in guerra a un cessate il fuoco”, scrive Al Jazeera. Il 14 novembre il presidente keniano Uhuru Kenyatta ha incontrato il primo ministro etiope Abiy Ahmed ad Addis Abeba per fare pressioni in questo senso. L’Unione africana, attraverso il suo inviato, l’ex presidente nigeriano Olusegun Obasanjo, ha intensificato gli sforzi diplomatici nell’ultima settimana. Gli Stati Uniti il 12 novembre hanno imposto sanzioni contro l’esercito e il partito al potere in Eritrea, accusandoli di aver alimentato la guerra. I soldati eritrei hanno combattuto per Addis Abeba.
Sudafrica L’11 novembre Frederik de Klerk (nella foto), l’ultimo presidente bianco del Sudafrica, è morto a 85 anni a Città del Capo. Arrivato al potere nel 1989, ordinò la liberazione di Nelson Mandela e guidò la transizione verso la democrazia, ma non chiese mai scusa per i crimini del regime dell’apartheid.
Burkina Faso Il 16 novembre a Ouagadougou ci sono state proteste contro il governo, incapace di fermare il terrorismo jihadista. Il 14 novembre a Inata, nel nord, almeno 32 persone erano rimaste uccise nell’attacco di un gruppo armato a una sede della gendarmeria.
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