“Il 25 aprile le autorità cinesi hanno deciso di sottoporre al test per il covid-19 gli abitanti di Pechino”, scrive il Wall Street Journal. La misura è stata presa in seguito alla scoperta di poche decine di nuovi contagi. I test sono partiti dal quartiere di Chaoyang, il più popoloso della metropoli e sede di ambasciate e multinazionali straniere, dove in una settimana 3,7 milioni di persone faranno un tampone tre volte. Non sono state ancora decise restrizioni severe come quelle che hanno riguardato Shanghai, ma intanto in un’area di circa 6,5 chilometri quadrati è stata imposta la chiusura delle attività d’intrattenimento. I test saranno gradualmente estesi agli altri quartieri. Intanto alcuni cittadini hanno preso d’assalto i supermercati per fare scorte di prodotti alimentari e di altri beni essenziali, temendo di dover restare chiusi in casa come a Shanghai. “Nella capitale cinese i contagi sono ancora bassi”, aggiunge il quotidiano statunitense, “ma la velocità con cui sono cresciuti a Shanghai dimostra quanto l’elevata contagiosità della variante omicron del sars-cov-2 possa mettere in difficoltà la politica dello ‘zero covid’, che prevede l’isolamento e test a tappeto appena compare un focolaio”. Il 25 aprile a Shanghai i contagi erano scesi a 19.455, secondo i dati forniti dal governo. Ma dopo quattro settimane di lockdown, test di massa e quarantene, le nuove infezioni in città erano cento volte quelle registrate nella regione vicina più colpita dal covid-19, la provincia di Jilin. ◆
Test di massa a Pechino
I limiti di un’alleanza
Finora la Cina ha tenuto una posizione neutrale sull’invasione russa dell’Ucraina. Ma mentre rifiuta di criticare il Cremlino per aver violato il territorio e la sovranità di un altro paese, Pechino accusa gli Stati Uniti e la Nato di aver provocato il conflitto. L’alleanza strategica siglata tra la Russia e la Cina nel 2019 e confermata all’ultimo vertice bilaterale del 4 febbraio ha resistito alla guerra, scrive The Diplomat, ma è davvero “senza limiti”, come assicurano sia il presidente cinese Xi Jinping sia quello russo Vladimir Putin? Pechino ha molto da guadagnare dall’invasione dell’Ucraina: punta soprattutto su una Russia che dipenda di più, economicamente e politicamente, dalla Cina. Ma allo stesso tempo deve fare attenzione ai danni d’immagine provocati dalla sua alleanza con il Cremlino e ai problemi che la guerra sta causando anche alle aziende cinesi. Soprattutto, Pechino teme che la vicinanza a un regime imperialista e fonte di disordini contrasti con il suo bisogno di un ordine mondiale stabile. ◆
Investimenti per il Kashmir
Il 24 aprile il primo ministro Narendra Modi è intervenuto a una manifestazione nella parte indiana del Kashmir, la regione dell’Himalaya contesa da anni da India e Pakistan. Si tratta della visita più importante di Modi da quando, nel 2019, New Delhi ha revocato lo statuto speciale della regione, accentuando il controllo del governo centrale, scrive Al Jazeera. Modi ha dichiarato che gli investimenti decisi per il Kashmir negli ultimi due anni hanno raggiunto il valore di cinque miliardi di dollari e includono progetti finanziati dalle autorità e dalle aziende degli Emirati Arabi Uniti, con cui l’India ha stretto un’alleanza strategica.
Debiti pesanti
Molti sudcoreani fanno fatica a ripagare i loro debiti. Secondo un’indagine realizzata dal governo di Seoul e dalla banca centrale della Corea del Sud, scrive il quotidiano Hankyoreh, i più colpiti sono i cittadini tra i trenta e i quarant’anni, che spendono fino al 34,8 per cento del loro reddito per rimborsare il capitale e pagare gli interessi.
Ancora processi per Suu Kyi
Il 25 aprile Aung San Suu Kyi, la leader dell’opposizione alla giunta militare birmana, era in tribunale a Rangoon per un nuovo processo in cui è accusata di aver realizzato investimenti immobiliari usando dei fondi raccolti per scopi benefici, scrive la Reuters. Secondo i magistrati, Suu Kyi ha ricevuto 11,4 chili di oro e soldi in contanti, per un valore complessivo di circa seicentomila dollari, da Phyo Min Thein, ex primo ministro birmano ora diventato suo accusatore. Si tratta di una delle numerose azioni legali intentate dai militari contro la leader dell’opposizione. Suu Kyi, che si trova agli arresti domiciliari dal golpe militare del 1 febbraio 2021, a dicembre era già stata condannata a quattro anni, poi ridotti a due, e a gennaio aveva ricevuto una nuova condanna a quattro anni per importazione e possesso illegale di walkie-talkie e per violazione delle regole anti-covid. A causa dei numerosi procedimenti giudiziari rischia una lunga pena detentiva. Quello in corso potrebbe concludersi con una condanna a quindici anni. Le accuse mosse contro Suu Kyi potrebbero raggiungere complessivamente una pena di 190 anni. Tutti i processi si svolgono a porte chiuse.
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