A dieci anni dalla campagna Fight for $15, lanciata da un gruppo di dipendenti dei fast food che chiedeva un salario minimo di 15 dollari all’ora, negli Stati Uniti i lavoratori del settore sono ancora alle prese con paghe inadeguate, condizioni di sicurezza precarie e casi di molestie sessuali. Ma ora la loro situazione potrebbe migliorare, almeno quella dei 550mila impiegati in California, dove il 29 agosto i legislatori hanno approvato una nuova legge, scrive il New York Times. Il provvedimento, che deve essere ancora reso effettivo dal governatore democratico Gavin Newsom, è stato fortemente osteggiato dalle catene di fast food, soprattutto perché promuove una contrattazione per stabilire salari e condizioni di lavoro validi per tutti i dipendenti californiani del settore. Il sistema attuale, invece, prevede la contrattazione su base aziendale. La legge istituisce una commissione, composta da lavoratori, aziende e rappresentanti dello stato, che discuterà i salari e le misure di sicurezza per l’intero settore della ristorazione. Inoltre stabilisce che ogni anno, a partire dal 2024, i salari d’ingresso delle aziende siano adeguati all’andamento del costo della vita.
Una legge per i fast food
I generici non convengono
Il gruppo svizzero Novartis vuole vendere la Sandoz, il suo ramo d’azienda che produce farmaci generici. Da tempo, spiega la Neue Zürcher Zeitung, “gli affari con questi prodotti non garantiscono più profitti elevati, perché i prezzi diventano sempre più bassi. “L’azienda preferisce concentrarsi sui farmaci più redditizi, come quelli per la cura dei tumori”. I loro costi elevati, però, mettono in difficoltà i bilanci delle aziende sanitarie e delle compagnie di assicurazione. Per questo motivo i governi cercano di strappare condizioni migliori per l’acquisto dei generici. In alcuni casi, conclude il quotidiano svizzero, le case farmaceutiche scelgono di bloccare la produzione dei generici perché non riescono a coprire i costi.
Segnali positivi
A sei mesi dall’invasione russa dell’Ucraina il mondo è alle prese con il vertiginoso aumento dei prezzi di molti prodotti, in particolare dell’energia, ma in un settore essenziale, quello alimentare, la situazione sembra tornare sotto controllo, scrive l’Economist. Il costo dei cereali e di vari tipi di olio “è tornato ai livelli registrati prima del conflitto”. A metà agosto alla borsa di Chicago i contratti per l’acquisto di grano con consegna a dicembre valevano 7,70 dollari il bushel (27,216 chili), ben al di sotto dei 12,79 dollari di maggio e in linea con le quotazioni di febbraio. Anche il mais è tornato ai livelli precedenti alla guerra, mentre l’olio di palma vale addirittura di meno. Il recente accordo raggiunto dalle Nazioni Unite per esportare il grano ucraino, osserva il settimanale, spiega solo in parte la svolta. Conta di più l’aumento delle esportazioni russe, ma soprattutto il fatto che quest’anno sono previsti raccolti record, in parte grazie a condizioni meteorologiche favorevoli. ◆
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