Finora la Germania ha speso 260 miliardi di euro per ridurre le difficoltà procurate alle famiglie e alle aziende tedesche dalla crisi energetica. Ma il conto da pagare per raggiungere gli obiettivi della transizione energetica, cioè per eliminare l’uso dei combustibili fossili, sarà molto più salato. Berlino spenderà mille miliardi di dollari entro il 2030. Questa cifra include investimenti per potenziare la rete elettrica, chiudere le centrali nucleari e quelle a carbone, soddisfare l’aumento della domanda di elettricità proveniente dalle auto con motore elettrico e dalle pompe di calore, e in generale per raggiungere gli obiettivi climatici fissati dall’Unione europea. “La transizione”, scrive Bloomberg Businessweek, “richiederà ogni giorno l’installazione di 1.600 pompe di calore e di pannelli solari su una superficie grande come 43 campi da calcio. Sarà necessario inoltre costruire 27 nuovi parchi eolici su terraferma e quattro offshore ogni settimana”. Il ministro dell’economia Robert Habeck l’ha definito “un progetto audace”, probabilmente il più impegnativo dalla ricostruzione della Germania nel secondo dopoguerra. Entro il 2030 Berlino dovrà installare 250 gigawatt di nuova potenza per soddisfare una domanda di elettricità che per quell’anno dovrebbe essere cresciuta di un terzo, secondo le stime del centro studi Agora Energiewende. Il paese, conclude il settimanale, punterà sulle fonti rinnovabili e su centrali elettriche alimentate a gas naturale, che con il tempo sarà sostituito dall’idrogeno. ◆
Quanto costa la transizione
Il futuro presidente
Il 23 febbraio l’amministrazione statunitense guidata da Joe Biden ha candidato Ajay Banga (nella foto), manager di origini indiane a lungo amministratore delegato della Mastercard, alla presidenza della Banca mondiale come successore di David Malpass. La candidatura, spiega il New York Times, è destinata a cambiare profondamente l’istituto, rafforzando il suo impegno contro la crisi climatica. Il manager, infatti, è noto per il suo impegno a favore delle questioni ambientali. La decisione finale sul prossimo presidente è attesa per la fine di marzo. “Non è chiaro se altri paesi presenteranno un loro candidato. Ma tradizionalmente la Banca mondiale è guidata da una persona scelta dagli Stati Uniti”, che sono il principale azionista dell’istituto. Se diventerà presidente, “Banga metterà a disposizione la sua esperienza nelle grandi organizzazioni e la sua profonda conoscenza dell’economia digitale, unita alla capacità di comprendere le sfide dei paesi in via di sviluppo”. ◆
La strategia del petrolio
La decisione dei paesi del G7 di mettere un tetto di sessanta dollari al barile al prezzo del greggio russo, unita all’embargo totale voluto dall’Unione europea, sembra dare i risultati voluti: sta riducendo le entrate del Cremlino senza soffocare l’offerta globale di petrolio e farne salire troppo il prezzo, scrive il Wall Street Journal. Questo almeno confermano i primi dati sulle esportazioni energetiche russe e sui prezzi fissati da Mosca. Lo stesso annuncio del Cremlino del taglio del 5 per cento alla produzione di greggio, suggeriscono gli analisti, è una mossa per far salire i prezzi, ma anche un segnale che la Russia ha difficoltà a trovare compratori.
Gli ambientalisti denunciano Bnp
Il 23 febbraio le associazioni Notre affaire à tous, Oxfam e Friends of the Earth hanno denunciato il gruppo bancario francese Bnp Paribas per costringerlo a tagliare i finanziamenti alle fonti d’energia fossili, scrive Le Monde. Le associazioni si richiamano a una legge che impone alle aziende di prevenire i rischi ambientali e rispettare i diritti umani.
I profitti prima della sicurezza
“Per molti anni gli interessi degli abitanti della provincia olandese di Groningen sono stati sistematicamente trascurati. La loro sicurezza è stata messa in secondo piano rispetto all’obiettivo di realizzare profitti”. Questa è la durissima conclusione, scrive Die Tageszeitung, a cui è arrivata la commissione del parlamento olandese che ha indagato sull’attività di estrazione nel giacimento di gas naturale di Groningen, il più grande d’Europa, gestito dai colossi Shell ed ExxonMobil. L’attività ha causato nella zona circa 1.600 scosse di terremoto che hanno danneggiato numerosi edifici. “Il consolidamento strutturale degli immobili è stato insufficiente e le procedure per i risarcimenti sono lente e inadeguate”.
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