Quando Taddeo Romano viene arrestato, la sua casa nel quartiere romano (inventato ma realistico) di Torricella è invasa dalla confusione e ospiti sconosciuti si accumulano nelle vite dei suoi familiari. Ci sono la madre Viviana, il padre Camillo, la sorella Aurora, il nonno Settimo: tutti reagiscono nel loro modo bizzarro per colmare l’assenza sentimentale e fisica di Taddeo, rinchiuso a Rebibbia. Poi c’è Diego, un suo amico, che si trasferisce nella casa-torre dei Romano per colmare quel vuoto, aggirandosi per lo più “ubriaco e insoddisfatto”.
L’esordio di Andrea Cappuccini, nato a Roma nel 1991, è curioso come la sua biografia, letta sulla quarta di copertina, che è proprio il dettaglio che mi ha spinto a scegliere di recensire Grande nave che affonda. Ne è valsa la pena. I suoi numerosi personaggi – sarà per i nomi (Tramontana, Lupo, Luchetto) o per lo sguardo nostalgico verso le generazioni passate, quando tutto sembrava più semplice e quindi più autentico – hanno un che di Stefano Benni. Una lingua intrigante (che ha la cadenza del parlato) racconta le stagioni di Torricella, il suo tempo che si stringe impetuoso, poi si allarga lento, e infine come un fiume “si insacca e ristagna, e diventa una pozza di zanzare”. ◆
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Questo articolo è uscito sul numero 1501 di Internazionale, a pagina 82. Compra questo numero | Abbonati