Il capo del governo di Hong Kong John Lee ha annunciato un periodo di consultazioni pubbliche per una legge sulla sicurezza nazionale, che si aggiungerà a quella imposta da Pechino nel 2020. L’articolo 23 della mini-costituzione adottata dalla città nel 1997 prevede che Hong Kong proibisca atti che “mettano in pericolo la sicurezza nazionale”. Nel 2003, scrive The Diplomat, il tentativo di introdurre una norma simile fallì dopo le “proteste degli ombrelli”. Nel 2020, dopo grandi manifestazioni represse dalla polizia, Pechino ne impose una sua, citando “l’incapacità della città di tradurre in legge l’articolo 23”. La nuova norma introdurrà cinque reati: tradimento, insurrezione, spionaggio, attività che mettono in pericolo la sicurezza nazionale e interferenze esterne.
Una legge in più sulla sicurezza
Contro l’opposizione
La corte costituzionale tailandese ha dichiarato incostituzionale la promessa del partito Move forward, all’opposizione, di riformare la legge sulla lesa maestà e ha vietato qualunque comunicazione sul tema.
Un sovrano a rotazione
La Malaysia ha incoronato il miliardiario Sultan Ibrahim Sultan Iskandar ( nella foto ) 17° re . “La monarchia svolge un ruolo prevalentemente cerimoniale nel paese”, spiega il Jakarta Post, “ma la sua influenza negli ultimi anni è cresciuta, spingendo il sovrano a esercitare poteri in passato raramente usati per far fronte all’instabilità politica”. La Malaysia ha un sistema unico al mondo: ogni cinque anni il capo di una delle nove famiglie reali del paese ricopre la carica di sovrano. Sultan Ibrahim ha detto che vuole essere un re attivo e ha proposto che la compagnia statale Petroliam Nasional e l’agenzia anticorruzione facciano rapporto a lui.
Lavoratori in guerra
All’inizio di gennaio nello stato indiano dell’Haryana si sono aperte le selezioni per operai da inviare in Israele. I candidati erano migliaia, scrive Nikkei Asia. I timori per la guerra in corso tra Israele e Hamas evidentemente sono superati da considerazioni più pratiche, come trovare il modo di mantenere le famiglie. Israele si è rivolto all’India e allo Sri Lanka per far fronte alla carenza di manodopera nei cantieri e nell’agricoltura provocata dalla scelta di Tel Aviv di revocare i permessi di lavoro ai palestinesi dopo l’attacco di Hamas del 7 ottobre. New Delhi è stata criticata dai sindacati sia perché manda i lavoratori indiani in una zona di conflitto sia perché in questo modo aiuta indirettamente Tel Aviv a togliere lavoro ai palestinesi, continua il settimanale. Il settore israeliano delle costruzioni impiegava circa 90mila palestinesi prima che scoppiasse la guerra. Il governo indiano risponde alle critiche dicendo che l’accordo con Tel Aviv è stato firmato molto prima del recente conflitto. ◆
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