Quando ha sentito il grido disperato di suo figlio, un medico di 26 anni, che era al telefono con lei da un bagno dell’ospedale, ha avuto un chiaro segnale che qualcosa non andava. Pochi giorni dopo, le sue peggiori paure sono state confermate. Il 17 maggio 2022 il ragazzo si è tolto la vita.
Junko Takashima, sessant’anni, ricorda chiaramente i mesi che hanno portato alla morte del figlio Shingo. Nell’ambito del corso di specializzazione, dal febbraio 2022 Shingo era stato assegnato al reparto di gastroenterologia del Konan medical center, un ospedale di Kobe. Poco dopo, la sua salute aveva cominciato rapidamente a deteriorarsi, racconta la madre. Si lamentava di essere sovraccarico di lavoro, sempre sotto pressione e, secondo la famiglia, non riusciva mai a prendersi un po’ di tempo libero. Ad aprile, quando Junko Takashima aveva visitato l’appartamento del figlio, si era accorta che in cucina i rifiuti si stavano accumulando. Così quel giorno di maggio l’aveva chiamato per proporgli di prendersi una pausa e andare a mangiare qualcosa insieme. “‘Impossibile, al 100 per cento’, mi aveva risposto piangendo”, dice.
Dopo la morte di Shingo Takashima, l’ufficio comunale che vigila sulle condizioni di lavoro ha scoperto che lo specializzando aveva lavorato per più di cento giorni di fila senza riposo e che nel mese precedente alla sua morte aveva fatto 207 ore di straordinario. L’ufficio ha constatato che si trattava di un caso di karōshi, morte per superlavoro.
Ore di studio
Questa storia illustra le dure condizioni di vita dei giovani medici negli ospedali giapponesi, costretti a orari di lavoro estremamente lunghi, spesso al prezzo della loro salute. Ora la questione sta diventando cruciale in vista dell’introduzione, ad aprile, di un limite agli straordinari dei medici. Uno dei principali motivi del contendere è quanto del tempo che trascorrono in ospedale dovrebbe essere considerato lavoro e quanto studio autonomo e perfezionamento.
Il Konan medical center ha pagato alla famiglia di Shingo Takashima 1,3 milioni di yen (ottomila euro) per gli straordinari accumulati, ma ha dichiarato di non essere d’accordo con la valutazione fatta dall’ufficio comunale. L’ospedale sostiene che il giovane medico aveva usato la maggior parte delle ore extra nella struttura per perfezionarsi, come quando doveva prepararsi per una conferenza accademica, e che non gli erano state imposte da nessuno. L’ospedale, con 460 posti letto, ha aggiunto che le ore di straordinario lavorate da Takashima nel mese precedente alla morte erano state 30,5, non 207. L’istituto non ha risposto alle richieste della famiglia di prendere misure per evitare che avvengano altri casi simili e si è rifiutato di commentare la vicenda quando il Japan Times l’ha contattato, dopo che nel dicembre 2022 la famiglia ha sporto denuncia.
Professione sacra
Negli ultimi anni il governo ha introdotto dei limiti agli straordinari. Quello massimo per la maggior parte dei settori è di 360 ore all’anno (trenta ore al mese), escluse circostanze speciali in cui si può chiedere ai dipendenti di lavorare fino al doppio delle ore, anche se con varie limitazioni. I datori di lavoro che violano le norme possono essere puniti con una multa fino a 300mila yen (circa duemila euro) o sei mesi di carcere. Queste modifiche sono entrate in vigore nel 2019 per le grandi aziende e nel 2020 per le piccole e medie imprese. Ma ai medici e agli enti che assumono lavoratori edili e autisti di camion e autobus è stata concessa una moratoria di cinque anni, fino all’aprile 2024, nel tentativo di attenuare l’impatto della legge in questi settori.
Da aprile i medici potranno arrivare a un massimo di 960 ore all’anno di straordinari, cioè ottanta ore al mese. Ma alcuni ospedali saranno esentati e potranno chiedere ai medici fino a 1.860 ore di straordinario all’anno. Un gruppo di esperti che nel 2019 aveva discusso la riforma del carico di lavoro dei medici, ha fissato un limite eccezionalmente alto – il doppio di ore extra che si ritiene provochino il karōshi – pensando che una drastica riduzione degli straordinari avrebbe avuto un grave impatto sull’assistenza sanitaria a livello regionale, basata sul lavoro dei giovani medici inviati dai grandi ospedali.
Secondo il ministero della salute, attualmente il 10 per cento dei medici ospedalieri fa più di 1.860 ore di straordinario all’anno, e il 40 per cento più di 960. Le strutture per cui lavorano inviano medici negli ambulatori di campagna, offrono trattamenti oncologici di alto livello o cure mediche d’emergenza, oppure impiegano specializzandi. In base alla nuova legge, gli ospedali esentati dal nuovo tetto dovranno comunque non ammettere più di 960 ore di straordinario all’anno entro il 2035.
I medici in formazione e quelli dei reparti di pronto soccorso, ostetricia e chirurgia sono i più carichi di lavoro, dice il ministero. I giovani specializzandi sono anche mal pagati dalle università. Per compensare la bassa retribuzione molti cercano lavori part-time fuori dell’istituto in cui prestano servizio, spesso dove c’è una carenza cronica di personale.
Dovere e orgoglio
Date le esenzioni, una volta che le nuove regole saranno entrate in vigore, sarà necessario monitorare attentamente le strutture per assicurarsi che le applichino, dice Yoshie Komuro, presidente e amministratrice delegata di Work-Life Balance, una società di consulenza sugli stili di lavoro usata da circa tremila aziende di vari settori. Komuro spiega che il settore sanitario ha opposto resistenza più a lungo alle riforme, perché i medici sono orgogliosi del loro lavoro e lo considerano un dovere “sacro” che li distingue dagli altri professionisti. Il paese dipende da loro, approfittando dell’ōshō gimu, ovvero l’obbligo per i medici di accettare qualsiasi richiesta di assistenza a meno di riserve legittime, enunciato nella legge sul praticantato medico. “L’ōshō gimu è stato spesso usato per giustificare i lunghi orari di lavoro dei medici”, dice Komuro. “Il governo ha approfittato del loro orgoglio professionale”.
Di conseguenza i medici, soprattutto quelli in formazione, sono sfruttati al punto di non essere in grado di fare il loro lavoro in modo sicuro, dice Komuro, che cita un sondaggio del 2022 pubblicato da un sindacato di categoria, dove più del 30 per cento dei 7.558 intervistati dichiarava di aver pensato al suicidio. I pensieri suicidi erano diffusi soprattutto tra i più giovani: l’8,8 per cento affermava di aver pensato di togliersi la vita “più volte alla settimana”, e un altro 5,2 ci pensava “più volte al giorno”.
La definizione troppo soggettiva di “perfezionamento” – che non è considerato lavoro – è stata ampiamente criticata, perché rende difficile stabilire la quantità di lavoro effettivamente svolto. Komuro sottolinea che alcune strutture considerano le riunioni mattutine dei medici con il resto del personale, e i preparativi prima della visita come parte del “perfezionamento”. Mentre, per esempio, prepararsi per una conferenza dovrebbe essere conteggiato tra le ore di lavoro, perché le carriere dei medici dipendono dalla partecipazione a questi eventi, aggiunge. Allo stesso tempo abbondano le inefficienze e le abitudini antiquate: il personale si affida ancora ai fax, il famigerato simbolo della cultura aziendale analogica del Giappone, e deve partecipare a riunioni inutilmente lunghe, dice Komuro.
Fuminori Yamagishi, il direttore dell’ospedale generale di Itoigawa, nella prefettura di Niigata, 260 posti letto, è d’accordo. Fino a circa tre anni fa, non aveva la preoccupazione di regolamentare l’orario di lavoro dei sanitari. “Noi medici abbiamo sempre organizzato le nostre attività senza ritenerci persone che forniscono manodopera”, dice Yamagishi, che è un chirurgo gastrointestinale. “Nei miei quasi quarant’anni di pratica, fino a tre anni fa non avevo mai timbrato il cartellino, ‘perché il mio orario di lavoro dovrebbe essere controllato dal mio capo?’”.
Questi atteggiamenti non sono cambiati a causa del forte senso di responsabilità verso i pazienti, dice. Ma dopo aver appreso dell’alto tasso di insoddisfazione tra gli infermieri e aver cominciato ad applicare le nuove misure, si è reso conto che anche i medici avevano bisogno di un cambiamento, e si è rivolto alla Work-Life Balance.
Attraverso riunioni che hanno coinvolto medici e personale paramedico, l’ospedale ha sollecitato proposte di cambiamento dal basso. E queste nel tempo hanno ridotto le inefficienze e aumentato la sicurezza delle cure, spiega. Per esempio, i medici lavoravano anche nei fine settimana per seguire i loro pazienti, presentandosi nei reparti di degenza solo per controllare le loro condizioni. L’ospedale ha abbandonato questa pratica e ora ha una squadra che si prende cura delle persone ricoverate. Nei fine settimana un medico le visita, consentendo agli altri di riposarsi.
Yamagishi riconosce che anche i pazienti devono cambiare atteggiamento. “Un ospedale di provincia come il nostro è molto affollato perché è cronicamente a corto di personale”, dice. “Quindi la domanda che ci siamo posti è stata: è giusto che chi lavora sia costretto a portare i familiari al pronto soccorso di notte o durante i fine settimana perché non può farlo di giorno? Ed è giusto programmare i colloqui con i pazienti la sera per fare un piacere ai parenti che possono venire in ospedale solo dopo il lavoro?”. Secondo Yamagishi, i parenti dovrebbero prendere un permesso per andare in ospedale.
L’ospedale di Itoigawa ha anche aumentato le tariffe per chi chiede di essere visitato senza la prescrizione del medico di base, in modo da potersi concentrare su chi ha bisogno di cure specializzate. Inoltre ha ridotto gli orari di visita, vietandole soprattutto intorno alle 17, quando il personale ospedaliero è più impegnato e il rischio di errori è maggiore.
“Potranno esserci disagi per i pazienti, ma penso che dovranno accettarli per garantire l’equilibrio tra lavoro e vita privata del personale ospedaliero e anche la sicurezza delle cure”, afferma Yamagishi. E aggiunge che il governo non ha fornito indicazioni sufficienti su come gli ospedali potrebbero ridurre il sovraccarico di lavoro, perché limitarsi a mettere un tetto agli straordinari potrebbe causare ulteriore stress ai medici.
L’ospedale universitario di Nagasaki, nel frattempo, ha accelerato “la delega dei compiti”, con cui si sollevano i medici da mansioni che possono essere affidate ad altri. Ha incoraggiato cinque infermieri a frequentare un corso di specializzazione, così da poter eseguire determinate procedure in collaborazione con i medici, come i tamponi addominali e la gestione dell’anestesia. Gli infermieri specializzati sono rari in Giappone, e non sono istituzionalizzati, perché i corsi non sono autorizzati dal governo. In aprile solo 759 persone avevano ricevuto il certificato, rilasciato da una serie di università per infermieri in Giappone.
Dopo essere rimasto colpito dal lavoro di un infermiere specializzato reclutato da un altro ospedale, l’istituto di Nagasaki ha deciso di investire nella formazione di queste figure. Secondo il direttore dell’ospedale, Kazuhiko Nakao, l’infermiere, che era stato assegnato al reparto di chirurgia cardiovascolare, ha contribuito in modo significativo a ridurre gli straordinari dei medici, che erano particolarmente sovraccarichi di lavoro.
“A parte il loro compito specifico, che è quello di eseguire gli interventi, i chirurghi in passato erano occupati in attività che richiedevano molto tempo”, afferma Nakao. “Sollevati dalle cure postoperatorie, come per esempio la medicazione delle ferite, i chirurghi sono riusciti a ridurre gli straordinari e a concentrarsi sul loro compito principale. Inoltre, quando medici e infermieri sono in disaccordo, gli infermieri specializzati possono fare da intermediari e migliorare la comunicazione”.
L’aumento di queste figure è stato lento perché l’Associazione dei medici giapponesi (Jma), una potente lobby politica composta per lo più da professionisti indipendenti, si è opposta alla creazione di un sistema nazionale di licenze. La Jma è preoccupata per la potenziale perdita di onorari che i medici possono chiedere nell’ambito del programma di assicurazione sanitaria nazionale se alcuni dei loro compiti sono trasferiti agli infermieri, afferma Kenji Shibuya, un esperto di salute pubblica e direttore della ricerca alla Tokyo foundation for policy research.
“La riforma sul carico di lavoro riguarda soprattutto i giovani medici degli ospedali universitari e quelli che si occupano dei pazienti in terapia intensiva, che sono così sottopagati da dover accettare incarichi part-time altrove e lavorare fino a sfinirsi”, dice. “Non tocca i professionisti degli studi privati, come gli iscritti alla Jma. Ma questi temono che, una volta stabilito un precedente, possano arrivare altri cambiamenti a minacciare i loro interessi”.
La consulente del lavoro Komuro, tuttavia, afferma che il governo dovrebbe rendere quella degli infermieri specializzati una professione riconosciuta a livello nazionale, per garantirgli sicurezza e avanzamenti di carriera.
Oggi gli infermieri hanno paura di lasciare il lavoro per frequentare la scuola di specializzazione, perché non hanno garanzie di riavere il loro posto, dice Komuro. “Farne una professione riconosciuta a livello nazionale renderebbe più facile la loro assunzione”.
Una virtù discutibile
Il fratello maggiore di Shingo Takashima, 31 anni e anche lui medico, ha condotto un’intensa campagna a favore delle riforme del lavoro negli ospedali.
Un medico di terapia intensiva della prefettura di Osaka, che ha chiesto di rimanere anonimo, dice che dietro il karōshi di Takashima c’è una cultura, molto radicata in Giappone, che considera una virtù lavorare per molte ore e giudica male chi chiede un compenso adeguato. “Non sarebbe mai tollerato che un pilota facesse duecento ore di straordinario al mese”, dice. “Eppure alcuni medici le fanno. La sicurezza dell’assistenza sanitaria in Giappone si fonda su questi giovani sovraccarichi di lavoro”. ◆ bt
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Questo articolo è uscito sul numero 1548 di Internazionale, a pagina 54. Compra questo numero | Abbonati