Lo scorso ottobre una ragazza di nome Tara Hanlon si è presentata all’aeroporto londinese di Heathrow con cinque valigie. Quando l’agente della dogana le ha chiesto come mai avesse tanti bagagli, Hanlon gli ha spiegato che stava andando a Dubai con alcuni amici e non sapeva cosa avrebbe voluto indossare. I capelli lunghi, le labbra carnose e le sopracciglia scolpite la facevano somigliare vagamente a Kim Kardashian, ma la sua giustificazione da diva non ha convinto l’agente della dogana, che ha deciso di ispezionare i bagagli. All’interno ha trovato un’infinità di banconote – per la precisione 1.940.120 sterline, cioè 2.264.897 euro – cosparse di polvere di caffè, nel tentativo di confondere i cani poliziotto. In seguito le autorità britanniche hanno pubblicato una fotografia delle banconote impilate su un tavolo, con l’effige della regina visibile da angolazioni diverse. Si è trattato del maggior sequestro di contante dell’anno nel Regno Unito.
Quando ho saputo la notizia del sequestro, erano passati mesi dall’ultima volta che avevo usato una banconota. Ormai avevo quasi dimenticato la sensazione scivolosa che dà il biglietto plastificato da dieci sterline. Dall’inizio della pandemia di covid-19 i negozi del mio quartiere accettano solo pagamenti elettronici, preoccupati, come molte altre attività commerciali, della trasmissione del virus attraverso le banconote. Rispetto al 2019 i prelievi al bancomat si sono dimezzati, ma in realtà il declino del contante è cominciato prima della pandemia. Nel Regno Unito il numero di acquisti fatti di persona con pagamento elettronico ha superato quello delle transazioni in contanti già nel 2017. Il covid-19 ha solo accelerato la tendenza. Eppure, sembra che le banconote se la cavino bene anche senza consumatori mediocri come me. Anzi, stanno vivendo un boom. Secondo il National audit office, l’agenzia del governo britannico che monitora i conti pubblici, negli ultimi vent’anni il valore delle banconote in circolazione nel Regno Unito è triplicato, e oggi raggiunge i 75 miliardi di sterline.
Ma se volete trovare le cause di questo fenomeno nei dati ufficiali, siete fuori strada. Solo un terzo di questi 75 miliardi circola attraverso le transazioni quotidiane che i funzionari pubblici possono monitorare. I restanti 50 miliardi sono là fuori, da qualche parte, usati per fini sconosciuti. “La Banca d’Inghilterra non sa dove siano, chi li usi e a quale scopo, e non sembra troppo curiosa di scoprirlo”, spiega Meg Hillier, presidente della commissione parlamentare britannica che di recente ha studiato i possibili scenari futuri per il contante.
Questa strana assenza di curiosità non è limitata alla Banca d’Inghilterra. Anche le altre banche centrali sembrano poco interessate alle banconote mancanti. Nel 2020 il valore totale dei dollari americani in circolazione è aumentato del 16 per cento, superando per la prima volta i duemila miliardi, il quadruplo rispetto a vent’anni fa. In giro ci sono più di settemila dollari di banconote per ogni cittadino statunitense, e più di quattromila euro per ogni persona residente dell’eurozona. Eppure sia negli Stati Uniti sia in Europa, Regno Unito compreso, la maggior parte delle persone usa raramente il contante per acquisti più costosi di un caffè.
Il fatto che la quantità di banconote sia aumentata mentre il loro uso tracciato nel sistema si sia ridotto è un enigma su cui finora le banche centrali hanno avanzato solo congetture, tra l’altro senza mostrare alcuna preoccupazione di risolvere il problema. Eppure, come dimostra il caso di Tara Hanlon, le banconote mancanti sono sicuramente più di un fatto singolare. La polizia britannica sostiene che il sequestro di Heathrow rappresenta una piccolissima frazione del contante esportato illegalmente dal Regno Unito ogni anno. Allora forse bisognerebbe chiedersi non cosa succede a tutte quelle banconote, ma perché mai le persone che le stampano non sono interessate a scoprirlo.
Il capo cassiere
Il primo banchiere centrale ad ammettere che stava succedendo qualcosa di strano è stato nel 2009 l’attuale governatore della Banca d’Inghilterra, Andrew Bailey, che allora era chief cashier (capo cassiere, il responsabile delle emissioni di banconote) dell’istituto. Ogni banconota stampata dal 1853 porta la firma del capo cassiere, a cui spetta il compito di assicurarsi che il Regno Unito disponga di contante a sufficienza. Questo significa che Bailey aveva tutte le informazioni disponibili sulle banconote stampate. Nel 2009 il contante non era in cima ai pensieri della Banca d’Inghilterra. Dopo la crisi finanziaria del 2008 le banche centrali avevano immesso nel sistema molta liquidità con l’obiettivo di far ripartire il credito. Lo strumento principale era il quantitative easing (alleggerimento quantitativo), cioè l’acquisto di enormi quantità di titoli sul mercato. Spesso si pensa che il quantitative easing comporti la stampa di nuovo denaro, ma in realtà non c’è alcuna emissione di banconote di carta. Le banche centrali, infatti, comprano i titoli con addebiti elettronici a carico dei loro bilanci. Il quantitative easing non ha prodotto nuove banconote neanche in seguito alla pandemia, quando la Federal reserve (Fed, la banca centrale degli Stati Uniti) ha iniettato tremila miliardi di dollari nel sistema. L’aumento di denaro elettronico ha sovrastato quello delle banconote stampate, e tra i due non c’è un legame sostanziale. Tuttavia l’enorme quantità di nuovo denaro elettronico in circolazione potrebbe spiegare come mai così poche persone siano interessate al mistero delle banconote mancanti.
Le banche centrali lasciano che le istituzioni finanziarie ricevano tutto il contante richiesto dai loro clienti
Nonostante la crisi finanziaria e la grande quantità di denaro elettronico in circolazione, Bailey doveva comunque tenere d’occhio la situazione. Tutte le grandi banche centrali emettono banconote “elasticamente”, cioè lasciano che le istituzioni finanziarie ricevano tutto il denaro contante richiesto dai loro clienti. Una banca commerciale immette denaro elettronico nei conti della banca centrale, che in cambio le consegna lo stesso valore in banconote. A quel punto i soldi possono essere prelevati dai bancomat o distribuiti agli uffici di cambio. L’obiettivo è chiaro: chi ha bisogno di contanti dev’essere nelle condizioni di ottenerlo.
Per gran parte della sua esistenza la Banca d’Inghilterra si è dedicata a soddisfare le richieste di contante (i britannici hanno cominciato a fare acquisti con la carta di credito solo negli anni sessanta). Oggi l’istituto ordina le sterline a un’azienda privata, la De La Rue, che stampa banconote per diversi paesi di tutto il mondo. Quando Bailey intervenne a una conferenza organizzata a Washington nel 2009, i pagamenti contactless e online cominciavano a essere così diffusi che le banche centrali rischiavano di trovarsi di fronte a un nuovo problema: cosa farsene di tutte le banconote che non erano più necessarie? Nel suo intervento Bailey affrontò il tema davanti a una platea di esperti monetari e banchieri centrali, sottolineando che la percentuale di acquisti fatti con il contante si era dimezzata nei vent’anni precedenti. Ma aveva in serbo una sorpresa per quella che definiva “la lobby del contante morto”: nello stesso periodo di tempo la domanda di denaro contante era aumentata. Bailey definì quel fenomeno come “il paradosso delle banconote”. E propose una doppia spiegazione. Da un lato, disse, la crisi finanziaria aveva eroso la fiducia dell’opinione pubblica nelle banche, quindi molte persone pensavano che fosse più sicuro conservare il denaro in casa. Dall’altro il numero di bancomat stava aumentando, e questo significava che era necessaria una maggior quantità di contante per mantenere le riserve. Già all’epoca nessuna di queste due spiegazioni aveva molto senso, anche perché la tendenza era precedente sia all’avvento dei bancomat sia alla crisi finanziaria (anche se da quest’ultima è stata sicuramente accelerata). Oggi le spiegazioni di Bailey sono ancora meno convincenti: il numero di bancomat si sta riducendo e la crisi finanziaria è finita da tempo, ma l’aumento del volume e del valore delle banconote in circolazione ha subìto un’accelerazione ulteriore.
Anche la Fed aveva avanzato la propria interpretazione del paradosso: dato che l’inflazione era molto bassa, chi possedeva contanti non sentiva il bisogno di versarli sui propri conti bancari. Se il denaro manteneva il suo valore in forma cartacea, non c’era motivo di andare in una filiale e compilare un bollettino di versamento. Inoltre, sottolineava la Fed, dal momento che i tassi d’interesse erano rimasti incredibilmente bassi dopo il 2008, i risparmiatori guadagnavano poco dai conti: il denaro elettronico era una seccatura e non portava alcun beneficio.
Le due motivazioni erano collegate in modo elegante, e sicuramente risultavano persuasive per chiunque fosse ossessionato dall’inflazione e dai tassi d’interesse. Ma nel mondo reale risultano un po’ bizzarre. La maggior parte delle persone non considera un conto in banca in termini di profitti e perdite, ma di sicurezza: è uno strumento che impedisce ai nostri risparmi di essere cancellati da un incendio, da un furto o da un’invasione di roditori, oltre a impedirci di seguire l’istinto e puntare tutto sul nero alla roulette. Ottime regioni per mettere i propri soldi in banca a prescindere dai tassi d’interesse (solo il 5 per cento delle famiglie statunitensi non usa una banca, nelle maggior parte dei casi perché non ha abbastanza soldi per rispettare i requisiti minimi richiesti da molti istituti di credito).
Il rapporto della Bce
Altri economisti hanno avanzato soluzioni diverse, quasi sempre legate alle circostanze prevalenti in un certo periodo: il volume delle banconote stava aumentando perché le condizioni erano troppo stabili, perché erano troppo instabili, perché le persone non si fidavano del sistema finanziario o perché usavano troppi bancomat. Questi motivi non possono essere tutti reali, e molti sono in contraddizione tra loro. In ogni caso sono di gran lunga migliori rispetto alla spiegazione proposta dalla Banca centrale europea (Bce) a febbraio, quando l’istituto ha pubblicato un lungo rapporto sul cosiddetto paradosso delle banconote. Dopo aver analizzato le transazioni in contanti nei paesi dell’eurozona, la Bce ha concluso che solo il 20 per cento delle banconote in circolazione è stato usato in vendite e acquisti registrati, percentuale che si è ridotta dall’inizio della pandemia. Eppure durante il 2020 – l’anno della pandemia – la richiesta di banconote è stata così alta che le banche centrali dei paesi dell’eurozona hanno stampato 140 miliardi di euro di contante extra. Il valore complessivo delle banconote in circolazione si sta avvicinando ai 1.500 miliardi. “Questo paradosso, apparentemente controintuitivo, può essere spiegato dalla richiesta di banconote come bene rifugio nell’eurozona, abbinata alla domanda di banconote di euro fuori dall’eurozona”, si legge nell’analisi della Bce. Tradotto dal gergo tecnico: il motivo per cui le persone vogliono le banconote è che le persone vogliono le banconote.
Se davvero volete saperne di più, potete provare a rivolgervi a Kenneth Rijock. Veterano del Vietnam con la mascella quadrata, il sorriso sempre pronto e i modi gentili, oggi Rijock ha tutto il tempo per sedersi in un caffè e chiacchierare. Ma negli anni ottanta lavorava senza sosta riciclando denaro per i trafficanti di droga di Miami. Rijock ammassava le banconote in vecchie valigie e si presentava all’aeroporto con l’aspetto “del turista più scemo mai sceso da un aereo”. Poi partiva verso qualche piccolo stato dei Caraibi, dove le banche erano ben felici di immettere il contante nel conto di una società di facciata senza chiedere da dove provenisse. Una volta convertito il denaro in forma elettronica, Rijock lo trasferiva attraverso una serie di banche per confondere chiunque volesse seguirne le tracce, e poi lo riportava in Florida, dove i suoi clienti lo investivano in beni immobiliari.
Quell’epoca d’oro del riciclaggio non è durata a lungo. Alla fine degli anni ottanta i governi hanno costretto le banche a rafforzare i controlli sul denaro che trasferivano, e le norme sono diventate ancora più vincolanti dopo gli attentati dell’11 settembre 2001. Rijock è stato arrestato e poi condannato nel 1990, e oggi lavora come consulente della polizia.
Attualmente l’attività bancaria offshore è un’opzione molto rischiosa per i criminali che vogliono spostare i loro guadagni illeciti in un’altra giurisdizione. Le criptovalute, inoltre, non sono facili da usare, hanno un valore instabile e sono difficili da spendere nell’economia legale. Per questo i criminali sono tornati alla forma più antica di denaro, una forma anonima, affidabile e universalmente accettata. “Il trasferimento delle banconote è il metodo più rozzo e primitivo, ma anche il più efficace per nascondere il riciclaggio”, mi ha spiegato Rijock. Così mentre i banchieri centrali si chiedono dove siano finite le banconote, i funzionari che combattono il riciclaggio sono convinti di saperlo benissimo. Secondo alcune stime, circa la metà del contante in circolazione serve ai criminali per evadere i controlli sempre più rigorosi sul sistema finanziario.
Stampare un biglietto da cento dollari – un pezzo di carta decorato che vale tanto perché lo ha stabilito il governo – costa 14 centesimi
Le avventure di Tara Hanlon sono un ottimo esempio. Hanlon era stata pagata tremila sterline per trasportare le cinque valigie a Dubai, e in tre viaggi precedenti aveva già trasportato 3,5 milioni di sterline fuori dal paese. “Queste valigie sono pesantissime e nessuno mi aiuta. Stanno a guardarmi e non fanno niente”, aveva scritto in un sms alla donna che l’aveva reclutata. Hanlon faceva parte di una rete di corrieri che trasportavano i profitti delle attività criminali negli Emirati Arabi Uniti, dove il lassismo delle forze dell’ordine ha creato un ambiente ideale per il riciclaggio di denaro sporco.
La polizia britannica ha analizzato il numero di banconote stampate, la quantità usata nelle transazioni registrate e le dimensioni dell’economia criminale locale, concludendo che ogni anno viene esportata una quantità di contante tale che i trasferimenti devono avvenire per forza con mezzi pesanti. Per indagare sul flusso di contanti è stata fondata un’unità, il Project Plutus.
Funzionari corrotti
Il problema di ricostruire i movimenti illeciti di contante attraverso i confini non riguarda solo il Regno Unito. Miliardi di dollari in banconote circolano fuori dagli Stati Uniti, mentre 750 miliardi di euro si trovano fuori dall’eurozona. Non tutte le banconote sono usate per fini illeciti, ma è chiaro che esiste un sistema finanziario ombra a livello globale su cui le autorità non hanno alcun controllo. I funzionari corrotti, i capi del terrorismo e i boss mafiosi si affidano tutti alle valute forti per aumentare la propria influenza, spostare denaro e sostenere le loro organizzazioni. Ma mentre le forze dell’ordine e le autorità stanno progressivamente limitando l’accesso della criminalità al sistema bancario globale, chi ha il potere di fermare il flusso di contante verso le organizzazioni illecite non ammette neanche l’esistenza del problema.
Al centro del complicato rapporto tra le banche centrali e il contante c’è un concetto così datato che viene indicato con una parola derivata dal latino medievale: signoraggio, cioè “la prerogativa di un signore feudale”. Quando cominciarono ad affermarsi gli stati moderni, i sovrani rivendicarono il monopolio sulla stampa del denaro. I lingotti venivano portati alla zecca, dove erano pesati e analizzati prima di essere trasformati in monete con l’effige reale a garanzia della loro autenticità. Il signoraggio indicava la percentuale che il re incassava per il disturbo.
Quella procedura generava enormi guadagni, soprattutto dopo che i re capirono di poter ridisegnare le monete periodicamente, con la necessità ogni volta di fonderle e riconiarle. I profitti aumentarono ulteriormente quando cominciarono a essere usati altri metalli, anche se i monarchi insistevano affinché le nuove monete mantenessero lo stesso valore di quelle d’argento o d’oro emesse in precedenza.
Ma coniare tutte quelle monete era complicato, e questo limitava la quantità di soldi che era possibile ricavare creando denaro. Il vero balzo in avanti fu compiuto nel seicento, quando le banche centrali europee cominciarono a stampare banconote e successivamente stabilirono che nessun altro poteva farlo. Stampare una banconota non costava quasi niente, ma il suo valore era stabilito dal numero che era raffigurato. In questo modo gli introiti del signoraggio schizzarono alle stelle.
Calcolare il reddito del signoraggio nell’era del denaro elettronico è più complicato rispetto al medioevo, ma il concetto di fondo è lo stesso: si tratta del profitto realizzato grazie al monopolio della stampa di una valuta. Stampare un biglietto da cento dollari – un pezzo di carta decorato vale cento dollari solo perché così stabilisce il governo degli Stati Uniti – costa appena 14 centesimi. Ogni volta che la Fed fa uscire uno di questi biglietti dalla sua porta, può investire i residui 99,86 dollari in qualcosa che produca interessi.
La Banca d’Inghilterra ha guadagnato più di 1,5 milioni di sterline emettendo le 1.940.120 sterline che Hanlon ha trasportato all’interno di Heathrow. Parte dei ricavi di questo processo serve a saldare costi e spese amministrative. Il resto finisce nelle casse dello stato. Quindi il signoraggio è un’ottima fonte di reddito per un governo, soprattutto se si sceglie di non fare caso a quanto il crimine organizzato e l’evasione fiscale costino alla collettività. Nelle poche occasioni in cui si è aperto un dibattito pubblico sulle banconote mancanti in tutto il mondo, la redditizia pratica del signoraggio non è stata quasi mai citata. Kenneth Rogoff, economista di Harvard e autore del libro The curse of cash (La maledizione del contante), sostiene che gli economisti siano caratterialmente inclini a parlare di concetti d’avanguardia come il quantitative easing, ma molto meno disposti ad affrontare temi banali come la produzione delle banconote.
È probabile che anche questa specie di apatia abbia un ruolo nella disponibilità con cui i banchieri centrali continuano a emettere contante. La prospettiva d’introdurre riforme radicali nella fornitura di contante non è molto attraente, soprattutto quando ci sono altri problemi economici di cui preoccuparsi. In ogni caso, secondo Peter Sands, ex amministratore delegato della banca Standard Chartered, il signoraggio spiega almeno in parte perché nessuno fa niente. “Quando un farmaco produce effetti collaterali, l’azienda farmaceutica è costretta a fare una ricerca approfondita sull’incidenza, la gravità e i meccanismi alla base di questi effetti”, ha dichiarato Sands in occasione di una conferenza sul futuro del contante organizzata nel 2017. “Eppure quando le forze dell’ordine dichiarano che il contante ha un ruolo di primo piano nel finanziamento delle organizzazioni terroristiche, nel riciclaggio del denaro sporco e nell’evasione fiscale, le persone che producono il contante non si sognano neanche di raccogliere dati e fare analisi. Non voglio insinuare che all’origine ci sia esclusivamente la difesa dei propri interessi, ma va riconosciuto che esiste un conflitto d’interessi”.
Una goccia nel mare
Dopo la condanna di Tara Hanlon, la polizia britannica ha emesso un comunicato stampa autocelebrativo, con tanto di fotografie allegate. Ma la verità è che la rete criminale per cui lavorava Hanlon non si era sforzata più di tanto per nascondere il movimento di quei due milioni di sterline. E questo lasciava pensare che la somma fosse solo una goccia nel mare di contante che attraversava il confine. “Dobbiamo accettare il fatto che la criminalità non sposterebbe due milioni di sterline in questo modo se il rischio di perderli fosse una preoccupazione”, mi ha spiegato un agente delle forze dell’ordine. “Le dimensioni del sequestro dimostrano soprattutto quanto siano numerosi i carichi che non riusciamo a intercettare”.
Le autorità britanniche possono consolarsi con una notizia: la sterlina non è la valuta preferita delle reti criminali internazionali. Per capire il motivo basta dare un’occhiata alle pesanti valige di Henlon: all’interno c’erano quasi solo banconote viola da venti sterline, con qualche biglietto da dieci e solo un biglietto da 50, che è quello con il valore più alto emesso dalla Banca d’Inghilterra. Il rapporto tra spazio occupato e valore delle banconote nel caso delle sterline favorisce le forze dell’ordine contro i contrabbandieri, perché per raggiungere somme consistenti bisogna spostare una quantità enorme di banconote. Se Hanlon avesse trasportato biglietti da cento dollari avrebbe potuto racchiudere la stessa somma in una valigia e mezza. Se avesse usato i biglietti da 500 euro le sarebbe bastata una ventiquattrore. Per chi vuole trasportare denaro da un paese all’altro è più conveniente usare gli euro o i dollari.
Esistono ottime ragioni per cui le banche centrali continuano a stampare banconote, ma qualcuno mette in dubbio l’utilità di avere tante banconote di grosso taglio. Più dell’80 per cento dei dollari in circolazione è sotto forma di biglietti da cento: più di 16 miliardi di banconote in totale, abbastanza da permettere che tutti gli abitanti del pianeta ne abbiano due.
Inoltre esistono quasi 400 milioni di biglietti viola con la scritta “500 euro” (anche se la Bce ha smesso di stamparli nel 2016, su richiesta del governo francese che riteneva aiutassero a finanziare il terrorismo). Nell’eurozona sono state stampate 750 milioni di banconote da 200 euro e altri 3,5 miliardi di banconote da cento euro.
Perché i paesi ricchi non vogliono liberarsi delle banconote di grosso taglio? Dopo tutto l’India ha abolito i due “pezzi più grossi” nel 2016 (anche se con risultati incerti). La risposta, come succede spesso nel sistema finanziario internazionale, nasce dalla difficoltà di agire in modo coordinato. Se la Fed o la Bce si impegnassero ad abolire le banconote di grosso taglio, per esempio, i criminali internazionali passerebbero a un’altra valuta. In assenza di un miracoloso sforzo collettivo, tuttavia, è probabile che il sistema attuale sopravviva ancora per un po’.
A giugno Tara Hanlon ha partecipato in videoconferenza a un’udienza del processo a suo carico, dichiarandosi colpevole di riciclaggio di denaro. Il giudice l’ha condannata a quasi tre anni di prigione. Una settimana prima la De La Rue aveva reso pubblici i suoi risultati finanziari, confermando che la stampa di denaro procedeva a pieno regime. Il motivo? “Intensa domanda globale di contante”. ◆ as
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Questo articolo è uscito sul numero 1437 di Internazionale, a pagina 64. Compra questo numero | Abbonati