Quando in Italia c’è stato il primo lockdown, accanto a dolore e paura si è accesa anche una tenue speranza. Forse, si diceva, la lunga permanenza tra le mura domestiche contribuirà a migliorare il tasso di natalità, drammaticamente in calo.
Non avendo quasi niente da fare, gli italiani avrebbero dedicato più tempo a fare l’amore. Ovviamente questa previsione non teneva conto di una serie di variabili: non sempre una convivenza forzata favorisce l’intimità di coppia.
Lavori precari
Le statistiche relative al tasso di natalità in Italia, pubblicate nel dicembre del 2021, ci riportano alla cruda realtà: le donne italiane hanno partorito 1,17 bambini a testa. In nessun altro paese europeo il tasso è così basso. E per l’Italia, già da tempo fanalino di coda nella classifica europea, si tratta di un minimo storico. Dall’unità nel 1861, solo una volta il tasso di natalità è stato così basso: nel 1919, dopo la prima guerra mondiale e mentre era in corso l’epidemia di influenza, della cosiddetta spagnola. Secondo l’Istat, continuando così l’Italia avrà presto dieci milioni di abitanti in meno. Secondo altre stime la situazione sarebbe anche peggiore.
C’è chi si chiede se non sia un bene che la popolazione dei paesi ricchi cominci a diminuire, mentre quella dei paesi emergenti e dell’Africa continua a crescere. Un calo delle nascite permetterebbe all’occidente di pesare meno sull’ambiente. Nell’immediato, però, prevalgono le preoccupazioni. Come dopo ogni rapporto Istat sulle nascite, i titoli delle prime pagine dei giornali italiani sono allarmisti. Un titolo in particolare ha saputo sintetizzare in un’unica frase, piuttosto triste, questa tendenza demografica, in contrasto con un’immagine tipica del paese, quella di bambini che giocano a calcio in piazze piene di vita: “L’Italia non è un paese per bambini”. La pandemia è un fattore che peggiora lievemente la situazione, ma i demografi ritengono che la colpa del calo delle nascite sia quasi tutta dello stato.
I governi non hanno mai sostenuto sufficientemente le famiglie giovani, preferendo occuparsi dei pensionati. Nei sondaggi ragazze e ragazzi italiani dicono che farebbero volentieri dei figli, preferibilmente due. I nomi più gettonati sono Leonardo e Sofia. Ma la maggior parte dei giovani guadagna talmente poco e ha lavori così precari che in pochi possono permettersi di mettere su famiglia. Tre dati aiutano a capire la situazione: quasi il 60 per cento degli italiani sotto i 34 anni vive con i genitori. Nel 2019 nel paese si sono celebrati 3,1 matrimoni ogni mille abitanti, mentre nell’Unione europea la media era di 4,3. L’Italia è indietro anche per quanto riguarda le convivenze. In media nel 2020 le italiane hanno partorito il primo figlio a 31,4 anni, cioè tre anni più tardi rispetto alla media del 1995.
Certo, ci sono donne che preferiscono fare carriera prima di diventare madri. Ma in Italia è più difficile, rispetto ai paesi a nord delle Alpi, conciliare lavoro e famiglia. Mancano asili economicamente accessibili e senza l’aiuto dei nonni la situazione sarebbe peggiore. Per gli italiani la famiglia è tutto, ma la politica fa poco per sostenerla.
Nel 1946 in Europa l’Italia era in testa alla classifica delle nascite: in quell’anno nacquero duecentomila bambini in più rispetto alla Francia e trecentomila in più rispetto alla Germania Ovest. Con il Regno Unito il divario era ancora più grande. Durante il boom economico degli anni cinquanta e sessanta del novecento in Italia nacquero più o meno un milione di bambini all’anno.
Salvati dagli immigrati
Nel 2021 per la prima volta i neonati sono stati meno di quattrocentomila. La popolazione italiana, anche per colpa dell’emigrazione, è calata come non mai: dal 2015 il paese ha perso 1,5 milioni di abitanti. Come se in sei anni fossero sparite tre città poco più grandi di Firenze. E intanto cresce la percentuale di anziani, e di pensionati. Solo la popolazione giapponese è più anziana di quella italiana. Questa combinazione di fattori è un problema. La Banca d’Italia stima che, entro il 2065, l’Italia avrà tre milioni di occupati in meno. Significa che ci saranno meno contribuenti, meno finanziatori dello stato sociale, meno consumatori. E visto che l’Italia ha il debito pubblico più alto della sua storia, significa che se questo “inverno” durerà, la montagna di debiti rimarrà in piedi ancora per un po’.
Secondo il presidente del consiglio Mario Draghi ai giovani servono tre cose per mettere al mondo dei figli: un lavoro sicuro, una casa e uno stato sociale. “L’Italia è indietro su tutti e tre i fronti”. Nella legge di bilancio del 2022 il governo ha introdotto una riforma degli assegni familiari, l’assegno unico e universale, che lo stato la finanzierà con 18,2 miliardi di euro all’anno. È previsto un contributo per ogni bambino e l’ammontare dipende dal reddito. Le famiglie con un reddito inferiore ai quindicimila euro all’anno riceveranno il contributo più elevato, 175 euro al mese a figlio fino al diciottesimo anno d’età. Se i figli andranno all’università il contributo potrà essere prolungato per la durata degli studi. L’assegno unico e universale sostituisce un complesso sistema di bonus, aumentando notevolmente il contributo dato dallo stato alle famiglie. Ma ancora una volta non sono stati introdotti sgravi fiscali strutturali degni di nota e aiuti per le nuove famiglie. Insomma, è troppo poco per invertire il calo delle nascite e in altri paesi europei si fa di più. In Italia si cita sempre la Francia e la sua politica familiare, con l’idea che la cultura e la società francesi siano paragonabili a quelle italiane. Dopo la seconda guerra mondiale la popolazione italiana superava di tre milioni quella francese, oggi invece la popolazione francese supera di otto milioni quella italiana. Le famiglie numerose provenienti dalle ex colonie, che contribuirebbero ad alzare il tasso di natalità francese, non sono sufficienti per spiegare tutto questo, perché in Italia anche le coppie straniere fanno pochi figli.
Per frenare il calo demografico in Italia, nel breve e nel medio periodo, sembra esserci un’unica strada: più immigrazione. “È l’unica cura”, ha dichiarato al quotidiano La Stampa Massimo Livi Bacci, professore di demografia all’Università di Firenze. Ma Lega e Fratelli d’Italia evocano sempre lo spettro di una “invasione”: per questo in Italia è impossibile trattare con obiettività la questione.
Il paradosso è che già oggi gli immigrati pagano parte delle pensioni degli italiani: senza il loro contributo il sistema non reggerebbe. E gli imprenditori dell’Italia del nord, tra cui molti elettori leghisti, invocano più immigrati per mandare avanti l’economia. Ma discuterne serve a poco: mentre la natalità diminuisce i nazionalisti predicano l’isolamento. ◆sk
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Questo articolo è uscito sul numero 1442 di Internazionale, a pagina 30. Compra questo numero | Abbonati