Èun lunedì mattina di maggio e la dottoressa Anna Parzyńska è in ritardo. Entra a passo veloce nella clinica ginecologica di Varsavia in cui lavora due giorni alla settimana. Lo studio è elegante: parquet a spina di pesce, grandi finestre che arrivano fino a terra, pareti bianche e immacolate. Le strade di questo quartiere meridionale della capitale hanno nomi come Wy­nalazek e Postępu, scoperta e progresso. Parzyńska, 36 anni, si toglie il maglione verde e indossa il camice da medica. Poi entra in un ambulatorio in cui l’aspetta la prima paziente, che con una mano si tiene il pancione e con l’altra stringe quella del partner. Parzyńska l’assisterà durante la gravidanza.

Come quasi tutti i suoi colleghi in Polonia, al momento Parzyńska non pratica aborti. Ma nel suo caso non c’entra la legge, quanto il fatto che ha partorito da nove mesi e allatta. Non può ancora ricominciare i lunghi turni nell’ospedale di Bielany, a nord della città. Fino alla nascita di sua figlia però li praticava, per esempio nel caso di feti senza scatola cranica o affetti dalla sindrome di Down.

Anna Parzyńska a Varsavia, in Polonia, luglio 2022 (Alicja Lesiak)

Dall’ottobre 2020 in Polonia non è più legale abortire quasi in nessun caso, nemmeno in presenza di feti malati o malformati. La corte costituzionale, negli ultimi anni finita sotto il controllo del partito ultraconservatore Diritto e giustizia (Pis), ha stabilito che queste interruzioni di gravidanza sono contrarie alla costituzione. Anche prima la legge sull’aborto polacca era una delle più restrittive in Europa. “Nessuna mia paziente mi ha detto: ‘È cambiata la legge, non voglio più abortire’”, racconta Parzyńska. “Non credo che ci saranno meno interruzioni di gravidanza per via della sentenza”. È seduta dietro una scrivania dell’ambulatorio. È tranquilla, non tradisce alcuna emozione. La sentenza della corte riguarda da vicino il suo lavoro: prima della decisione dei giudici, praticava una buona parte dei pochi aborti legali in Polonia. Nel 2019 le donne che hanno interrotto legalmente la gravidanza sono state solo 1.100, di cui 1.074 a causa di malformazioni o malattie del feto. “Nell’ospedale in cui lavoro ho seguito in un anno circa 170 aborti insieme a due o tre colleghe”, dice Parzyńska.

Dopo la sentenza, le ginecologhe e i ginecologi polacchi si sono trovati ancora più divisi tra la salute delle loro pazienti e il rispetto della legge. Quasi tutti hanno scelto di obbedire alla nuova normativa per paura di compromettere la loro carriera o di finire in carcere per tre anni. Parzyńska è una dei circa dieci medici del paese che continuano a lavorare come prima. E tra le poche persone che parlano apertamente di quello che sta succedendo. Ovviamente ha paura delle conseguenze legali. “Ma anche quando vacillo per un attimo, poi penso ai diritti delle mie pazienti e vado avanti”, dice. “Credo che in un tribunale sarei in grado di difendermi”.

Parzyńska fa la ginecologa da undici anni. Ha scoperto la ginecologia all’ultimo anno degli studi di medicina. “Fare un’ecografia per la prima volta è stata una grande emozione, perché era misteriosa e all’inizio non riuscivo a capirci nulla”, dice, e per la prima volta durante la nostra conversazione sorride. “Il feto si muove, a differenza di un fegato o di uno stomaco, che restano sempre nello stesso posto”. Da sette anni lavora nell’ospedale di Bielany, il cui reparto di ginecologia è noto per la massima attenzione ai diritti delle pazienti, nonostante le possibili conseguenze legali. Parzyńska s’identifica completamente con il suo lavoro. Il suo profilo Instagram, @doctorashtanga, è seguito da circa trentamila persone. Lì mescola la sua vita professionale e privata, a volte condividendo le storie delle sue pazienti, a volte una foto di yoga.

Non appena potrà lavorare come prima, Parzyńska tornerà a praticare aborti

Un mese prima

Quando nell’autunno 2020 gli oppositori dell’aborto hanno occupato il centro della scena con manifestazioni e prese di posizione su mezzi d’informazione conservatori e sui social network, sul canale instagram di Parzyńska sono aumentati i post che parlavano d’interruzione di gravidanza. Il 20 settembre 2020, un mese prima della sentenza della corte costituzionale, la ginecologa ha caricato una foto che ha suscitato reazioni indignate: le sue braccia erano imbrattate di sangue, così come il collo. Sotto l’immagine ha raccontato la storia di una paziente che aveva voluto abortire nonostante fosse a uno stadio avanzato della gravidanza. La donna aveva già dovuto seppellire cinque figli e questa volta aveva deciso di abortire dopo aver scoperto che il feto era affetto da trisomia 13. “I bambini con questa malattia non sopravvivono al primo anno di vita, se non muoiono già nell’utero”, ha scritto Parzyńska nella didascalia della foto, riprendendo le parole degli attivisti antiabortisti polacchi, “la mancanza di rispetto verso la vita non c’entra niente”.

Poi, quattro settimane dopo, la corte costituzionale ha deciso che un’interruzione di gravidanza come quella avrebbe violato il diritto alla vita sancito nella carta. Per diventare esecutiva la sentenza doveva essere pubblicata sulla gazzetta ufficiale. “I tre mesi successivi sono stati intensi, perché molte cliniche che prima praticavano aborti hanno improvvisamente annullato tutti gli appuntamenti”, racconta Parzyńska. “Abbiamo dovuto sostituire il lavoro di diversi ospedali. Le donne arrivavano da tutto il paese”.

Parzyńska e i suoi colleghi hanno aspettato per giorni, mentre gli avvocati verificavano se i medici e l’ospedale potevano essere perseguiti. Hanno scoperto che se la sentenza fosse uscita di pomeriggio, con effetto retroattivo a partire dalla mezzanotte, un aborto praticato quella mattina avrebbe potenzialmente violato la legge. Parzyńska e altri medici dell’ospedale hanno corso il rischio. Ne hanno praticati tantissimi, come non mai: due, tre, quattro a settimana.

Una questione di salute

Il 27 gennaio 2021 la sentenza è stata pubblicata. Da allora le donne in Polonia possono abortire solo se la gravidanza mette in pericolo la loro salute o se è una conseguenza di stupro o incesto. Ma nelle settimane precedenti le organizzazioni che tutelano i diritti delle donne avevano cercato un modo per aggirare la legge.

Da quel momento l’associazione femminista Federa organizza incontri tra psichiatre e donne incinte i cui feti hanno malattie o malformazioni. Se le dottoresse dichiarano che la gravidanza mette in pericolo la salute psichica della donna, la Federa le manda da chi pratica aborti. Tra loro c’è Anna Parzyńska. “Questi ginecologi sono affidabili al cento per cento”, afferma Kamila Ferenc, avvocata di Federa. “Ma in generale è difficile trovare medici disposti a praticare le interruzioni di gravidanza”. Secondo Ferenc circa cinquecento donne polacche hanno fatto ricorso a questa possibilità nell’ultimo anno. Per capire a quanta pressione sono sottoposte le donne che interrompono la gravidanza in Polonia basta vedere un video su YouTube: il filmato mostra Parzyńska nel suo ambulatorio all’ospedale di Bielany, quando era ancora incinta. Sotto il camice indossa un abito attillato che sottolinea il pancione. Una donna seduta di fronte a lei piange e singhiozza. Il regista Marek Osiecimski ha girato la scena per un documentario che dovrebbe uscire alla fine di quest’anno. “Penso al suicidio, ma ci sono anche i miei figli”, dice la paziente. La sofferenza distorce la sua voce. “È orribile. I figli guardano la loro madre che si dispera e non capiscono perché”, dice la ginecologa. La donna ha incontrato Parzyńska per la prima volta quel giorno. Eppure ha la sensazione di poter finalmente parlare in modo libero. Nella sua pancia sta crescendo un feto malato che morirà prima o subito dopo la nascita. Il medico che le ha fatto la diagnosi le ha negato la possibilità di interrompere la gravidanza. La paziente racconta quello che il dottore le ha detto: “Non posso aiutarla perché la legge è cambiata e rischio il carcere”. Parzyńska invece ha accettato di farla abortire. “Le mie pazienti rischiano danni psicologici, soffrono di un disturbo dell’adattamento perché a causa della legge devono vivere una situazione stressante”, spiega nel video. “Non vogliono essere costrette a portare avanti la gravidanza solo per vedere il loro bambino morire dopo la nascita”. Oggi anche Parzyńska manda le sue pazienti dalle psichiatre che collaborano con Federa. Finora le cose sono andate bene, “ma è una situazione delicata, perché è difficile stabilire dove comincia il pericolo per la salute della donna incinta”, spiega la ginecologa.

L’incertezza e la paura paralizzano la maggior parte dei medici polacchi. Nel 2021 due donne incinte sono morte perché i dottori non avevano osato autorizzare un aborto e hanno aspettato che i feti malati morissero da soli. Stando alla legge polacca, una donna che abortisce non può essere punita, ma i medici e i loro collaboratori sì. Per anni non ci sono state azioni legali contro di loro. Poi all’inizio del 2022 c’è stato il caso di Justyna Wydrzyńska, un’attivista per i diritti delle donne che ha cofondato l’organizzazione Abortion dream team. Wydrzyńska ha spedito delle pillole abortive a una donna che voleva interrompere la gravidanza. Il partner della donna l’ha scoperto e ha denunciato Wydrzyńska. Ad aprile è cominciato il processo, che sta mettendo sotto pressione attivisti e medici in tutto il paese.

“Nell’ospedale in cui lavoro nessuno vuole avere problemi”, racconta una ginecologa di una città polacca, che preferisce restare anonima. Il primario del suo reparto dice che gli aborti non fanno parte del loro lavoro e che se ne devono occupare le cliniche di Varsavia. Prima, racconta la ginecologa, anche per loro era logico suggerire un’interruzione di gravidanza in caso di malformazioni nel feto. Ora quando una paziente vuole abortire la manda in Slovacchia o in Repubblica Ceca. “Vorrei aiutare quelle donne, ma la legge polacca mi lega le mani”, dice la dottoressa. Sembra sconvolta. “Ho paura. In Polonia ci sono campagne di odio contro i ginecologi”, conclude.

Anche l’ospedale di Bielany, in cui lavora Parzyńska, è stato preso di mira dalle associazioni cosiddette pro-vita quando si è saputo che lì alcuni medici continuano a praticare aborti. Una mattina dell’aprile 2021 davanti all’ingresso c’era un veicolo con attaccato un cartellone: “Nell’ospedale di Bielany nel 2017 gli abortisti hanno ucciso 131 bambini”. Azioni come queste non la lasciano indifferente. “Penso sempre che sto andando contro la politica, che il mio è una specie di lavoro clandestino”, dice. Di solito preferisce stare lontana dalla politica, ma aggiunge: “È difficile farlo, ora che la politica s’immischia pesantemente nella medicina”.

Dubbi e paure

All’inizio della sua gravidanza, Parzyńska era tormentata dai dubbi. “Mi sono chiesta se fosse saggio esporsi in questo modo”, dice. “Ma quando ho scoperto che sarebbe stata una femmina, tra me e me ho pensato: se mia madre si fosse confrontata con questioni del genere e si fosse fermata per proteggermi, non sarei stata d’accordo”. E poi stava difendendo anche i diritti della figlia: in futuro anche lei potrebbe trovarsi in una situazione simile.

Non appena potrà ricominciare a lavorare come prima, Parzyńska tornerà a praticare aborti. “I ragionamenti fatti durante la gravidanza mi hanno aperto ancora di più gli occhi. Anche se ho paura, il desiderio di lottare per i diritti delle donne polacche è più forte”. ◆ nv

Biografia

1986 Nasce a Cracovia, in Polonia.
2011 Si laurea in medicina, specializzandosi in ginecologia all’università Jagellonica della sua città.
2020 La corte costituzionale polacca dichiara illegale l’aborto nella quasi totalità dei casi, ma lei continua a praticare interruzioni di gravidanza. La legge entra in vigore nel gennaio 2021.
2022 Nasce sua figlia.


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Questo articolo è uscito sul numero 1480 di Internazionale, a pagina 78. Compra questo numero | Abbonati