Meno di una settimana dopo che l’azienda OpenAi ha mostrato una versione provvisoria del suo Gpt-4o (un’evoluzione del sistema d’intelligenza artificiale pensata per fare da assistente vocale agli utenti), con una voce così simile a quella dell’attrice Scarlett Johansson che il fondatore Sam Altman ha perfino twittato “her” (in riferimento all’omonimo film di Spike Jonze del 2013), abbiamo scoperto che quella non era una coincidenza. Secondo una dichiarazione rilasciata da Johansson, già a settembre Altman aveva cercato di convincerla a dare al prodotto la sua voce. Pare volesse disperatamente trasformare il suo film preferito in realtà, o almeno in una versione della realtà in grado di offrire l’estetica di cui il fondatore della OpenAi aveva bisogno per alimentare il sogno di una coscienza basata sui large linguistic model (modelli linguistici di grandi dimensioni, Llm, una tecnologia avanzata basata sull’ia).

L’attrice ha raccontato che Altman aveva provato a convincerla dicendo che la sua voce nel chatbot avrebbe “colmato il divario tra aziende e creativi e avrebbe contribuito a rasserenare i consumatori rispetto al terremoto innescato dall’intelligenza artificiale”. Cosa probabilmente ancora più importante per il fondatore della OpenAi, la voce di Johansson sarebbe stata “di conforto per le persone”, o se non altro per i nerd che cercavano di ricreare il film Her. Alla fine, lei aveva rifiutato l’offerta. Ma Altman non si è arreso.

Dal 2022 le aziende nel settore dell’intelligenza artificiale, come la OpenAi, hanno giocato d’anticipo sulle regole che disciplinano il diritto d’autore e i dati personali

Due giorni prima di lanciare la nuova versione di ChatGpt, Altman ha contattato di nuovo l’agente dell’attrice per chiederle di ripensarci. Ma non ha neppure aspettato una risposta. L’azienda è andata per la sua strada e ha diffuso la versione provvisoria di Gpt-4o: molti hanno subito sottolineato quanto la voce del chatbot fosse simile a quella di Johansson; la cosa è stata ripresa in alcune battute durante la trasmissione Saturday night live; gli amici intimi dell’attrice le hanno scritto per chiederle se fosse coinvolta. Adesso la OpenAi ha ritirato la funzionalità “sky”, quella che imitava la voce Johansson. Ma la vicenda solleva domande importanti.

Mettendo per un momento da parte l’OpenAi, va notato che Johansson finisce spesso nei tentativi delle aziende tecnologiche di sfruttare l’immagine di persone famose, e deve quindi farsi portavoce delle campagne contro questo fenomeno. Nel 2021 aveva fatto causa alla Disney che, senza consultarla, aveva deciso di rendere disponibile il film della Marvel Black widow sul servizio di streaming Disney+ lo stesso giorno in cui usciva nelle sale. Una parte del compenso di Johansson era legata agli incassi al botteghino: a causa di quella decisione, sosteneva giustamente l’attrice, lei sarebbe stata pagata di meno. Quella storia però aveva toccato anche problemi più generalizzati.

La WarnerMedia, per esempio, nel 2021 aveva messo online in streaming i suoi film in contemporanea con l’uscita al cinema senza prendersi la briga di parlare prima con gli attori e i registi coinvolti nei progetti. Queste decisioni hanno accentuato l’insoddisfazione dei lavoratori di Hollywood nei confronti di un sistema basato sullo streaming e delle decisioni prese dagli studi cinematografici.

Alla fine Johansson ha trovato un accordo con la Disney, ma la sua scelta di farle causa è considerata un passaggio importante in una contrapposizione sempre più aspra tra chi svolge un lavoro creativo e gli studios. L’anno scorso questa lotta è culminata con lo sciopero, andato avanti per mesi, degli attori e degli sceneggiatori che chiedevano contratti migliori. Forse Johansson si era preparata a questa battaglia legale grazie alla lunga lotta contro lo sfruttamento digitale della sua immagine.

Spesso Scarlett Johansson finisce nei tentativi delle aziende tecnologiche di sfruttare l’immagine di persone famose e deve farsi portavoce delle campagne contro questo fenomeno

Quando all’inizio del 2024 su X sono state diffuse immagini pornografiche realizzate al computer della cantante Taylor Swift, molte persone si sono rese conto del problema delle foto e dei video falsi ma apparentemente realistici (in gergo si chiamano deep­fake), che oggi sono molto più facili da fare grazie agli strumenti d’intelligenza artificiale generativa (un tipo di tecnologia che è in grado di creare testi, immagini, video, musica o altro).

Il problema, però, non è cominciato con l’ia generativa. Nel 2018 Johansson aveva parlato dei deepfake dopo la pubblicazione di alcuni video in cui il suo volto era stato inserito in scene di sesso che avevano fatto milioni di visualizzazioni. All’epoca aveva dichiarato con disprezzo che la rete era “un grande buco nero che divora se stesso”.

“Il punto è che cercare di proteggersi da internet e dalla sua depravazione è una causa persa”, aveva scritto l’attrice all’epoca. “Naturalmente se una persona dispone di molte risorse può metterle in campo per innalzare un muro più alto intorno alla propria identità digitale. Ma niente può impedire a qualcuno di ritagliare e incollare la mia immagine o quella di chiunque altro su un corpo diverso e farla apparire realistica”.

Internet ha i suoi vantaggi, ma continua ad avere un lato oscuro che spesso è sminuito dai suoi più accaniti difensori.

Nel 2018 Johansson era già consapevole dei modi in cui si poteva usare la rete per perseguitare più facilmente le donne, che si tratti di celebrità come lei o di gente comune. Anni prima, alcuni uomini avevano creato un robot a grandezza naturale usando il suo volto senza chiederle il permesso. Anche il suo account di posta elettronica era stato hackerato ed erano state scaricate delle foto di lei nuda successivamente pubblicate online (alla fine l’hacker è stato condannato a dieci anni di carcere). Con i progressi dell’intelligenza artificiale l’attrice ha dovuto affrontare di nuovo la questione. Johansson aveva già fatto causa all’app Lisa Ai, che aveva usato le sue sembianze per promuovere i propri prodotti. Adesso è costretta a occuparsi dell’OpenAi.

Da quando l’intelligenza artificiale generativa ha cominciato a decollare nel novembre 2022, aziende come l’OpenAi hanno giocato d’anticipo sulle regole che disciplinano l’uso di opere protette dal diritto d’autore e dei dati personali. Abbiamo visto parecchi software che producono foto molto simili a grandi film di successo o agli stili di alcuni artisti, o che rubano le voci dei doppiatori. Il 16 maggio è stata lanciata una proposta di class action contro un’azienda chiamata Lovo, accusata di fare proprio questo. Di nuovo, Johansson è tra quelli a cui è stata rubata la voce.

Le foto esplicite di Taylor Swift hanno acceso i riflettori sul problema. Adesso il tentativo fallito di Altman di costruire un’assistente con la voce di Johansson avrà lo stesso effetto su una serie di altre violazioni da parte di aziende come la sua. Lo scandalo ha spinto altri artisti a schierarsi con Johansson e ha costretto la politica a considerare l’argomento. In realtà questa è solo la punta dell’iceberg. Una volta passata la bufera, il caso potrebbe diventare un momento importante per sgonfiare la bolla dell’intelligenza artificiale.

Nelle sue recenti dichiarazioni Johansson ha detto: “In un momento in cui siamo alle prese con i deep­fake e la protezione della nostra immagine, del nostro lavoro e della nostra identità, questi temi meritano chiarezza”. In sostanza l’attrice chiede trasparenza alla OpenAi e chiede alle istituzioni di passare all’azione con leggi che proteggano i diritti degli individui di fronte alle aziende che li calpestano.

Tutelare le voci e le sembianze delle persone è importante, ma si può fare anche di più: per esempio, si possono affrontare le aziende che addestrano le loro intelligenze artificiali appropriandosi del lavoro altrui senza chiedere il permesso, e contrastare le forme di persecuzione permesse dai loro strumenti. È il momento di smettere di credere alla truffa di Altman e fare ordine nel caos che l’intelligenza artificiale sta creando. ◆ gim

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Questo articolo è uscito sul numero 1565 di Internazionale, a pagina 43. Compra questo numero | Abbonati