Negli ultimi anni aziende cinesi come Shein e Temu, che offrono prodotti a basso costo, hanno conquistato il mondo del commercio online. L’anno scorso è stata lanciata una campagna per cercare di convincere il congresso degli Stati Uniti a vietare Shein mentre i deputati stavano valutando provvedimenti simili contro TikTok, una piattaforma paragonata a una droga di cui i consumatori sarebbero diventati dipendenti. Temu è arrivata dopo, ma negli Stati Uniti ha già più clienti abituali di eBay o Amazon.
Il modello di Shein e Temu si fonda su prezzi bassissimi e spedizioni incredibilmente veloci per prodotti realizzati in Cina da un’ampia gamma di fornitori. Nel corso del tempo le due aziende hanno ampliato ancora la loro offerta andando oltre i prodotti di base come i vestiti e diventando competitive in più settori.
Il modello di Shein e Temu si fonda su prezzi stracciati e spedizioni velocissime per prodotti realizzati da fornitori in Cina
Per giganti come Amazon però la concorrenza non è una novità. In passato l’azienda di Jeff Bezos ha battuto Diapers.com e Wayfair nelle loro nicchie di mercato e ora sta elaborando un piano per rispondere ai concorrenti cinesi. Negli ultimi mesi ha cercato di migliorare ulteriormente la velocità delle spedizioni e di rafforzare l’immagine di venditore affidabile, due cose in cui pensa di avere un vantaggio rispetto a Shein e Temu. Ma potrebbe essere più difficile di qualche anno fa, viste le crescenti proteste per la scarsa qualità dei prodotti di marchi cinesi sconosciuti venduti sulla piattaforma, per non parlare dei libri generati dall’intelligenza artificiale che riempiono il suo catalogo.
È difficile immaginare che questi problemi si risolveranno quando l’azienda statunitense lancerà il suo piano per affrontare la concorrenza. Dai documenti mostrati ad alcuni suoi fornitori cinesi, sembrerebbe che Amazon stia pensando d’introdurre una “sezione discount” in cui le aziende potranno spedire la merce direttamente dai loro magazzini in Cina ai clienti statunitensi, con tempi leggermente più lunghi. La nuova offerta dovrebbe partire in autunno, ed è indicativa della continua corsa al ribasso nel settore della vendita al dettaglio.
Amazon non è certo un campione dei diritti dei lavoratori o dell’ambiente. Le sue iniziative per distruggere i sindacati sono famose, così come le pessime condizioni in cui devono lavorare i magazzinieri, tra cui si registrano tassi d’infortunio superiori alla media, e gli autisti impiegati per le consegne, che non hanno pause sufficienti neanche per andare in bagno. Il modello dell’azienda si basa sulla riduzione dei costi della manodopera e fa di tutto affinché i lavori in settori tradizionalmente sindacalizzati come quello delle consegne e della logistica siano svolti da persone con meno tutele. Questo schema si estende a tutte le sue attività.
Alcune inchieste hanno rivelato che nelle fabbriche della Foxconn erano impiegati centinaia di cinesi in età scolare, sottoposti a straordinari illegali e turni di notte per costruire i dispositivi Alexa di Amazon. L’azienda di Bezos ha mantenuto rapporti con i fornitori legati allo sfruttamento degli uiguri costretti ai lavori forzati anche dopo aver saputo della situazione e di recente ha versato 1,9 milioni di dollari per risarcire i migranti vittime di tratta che lavoravano nei suoi magazzini sauditi. Sono solo alcune storie che illustrano i danni provocati da Amazon, anche se non è stata l’azienda a dare il via a queste dinamiche.
Oggi le due aziende fanno concorrenza ad Amazon non perché sono cattive, ma perché hanno cercato un modo per tagliare ancora i costi e conquistare clienti attenti alle spese
Alla fine degli anni settanta e negli anni ottanta negli Stati Uniti ci fu una svolta politica: bisognava contenere i salari e attaccare senza pietà i sindacati. Ma visto che la paga dei lavoratori era troppo bassa, il suo potere d’acquisto sarebbe stato mantenuto inondando il mercato di prodotti a basso costo provenienti da paesi che pagavano i lavoratori ancora meno come la Cina. Fu un regalo ai capitalisti statunitensi. Queste politiche neoliberiste si sono poi diffuse in tutto il mondo occidentale, producendo effetti simili in altri paesi ricchi. Ecco perché, anche se la produttività negli Stati Uniti è aumentata del 64,7 per cento tra il 1979 e il 2022, nello stesso periodo i salari sono cresciuti solo del 14,8 per cento.
È per queste politiche che negli ultimi decenni città grandi e piccole hanno visto le loro industrie fallire e gli abitanti fare la spesa in grandi magazzini come Walmart o in negozi “tutto a un dollaro” ancora più economici, mentre le alternative a prezzi più alti sparivano a causa dell’erosione del potere d’acquisto. Questo è anche il motivo per cui l’inflazione degli ultimi anni è stata avvertita in modo così pesante: dopo decenni in cui i salari stentavano a salire e le disuguaglianze crescevano, la gente non è più riuscita a far fronte a ulteriori aumenti dei prezzi. La maggior parte della gente oggi è costretta ad andare a caccia dei prezzi più bassi, chiudendo un occhio sulla qualità, o sulle violazioni dei diritti dei lavoratori e sui danni ambientali che li rendono possibili.
Se vogliamo analizzare lo stato del commercio al dettaglio o online, è inutile farlo usando la contrapposizione tra Stati Uniti e occidente da una parte e Cina dall’altra, perché il settore da tempo dipende dai prodotti cinesi. Amazon si è basata su un modello anticipato da aziende come Walmart per importare prodotti a basso costo fabbricati principalmente in Cina ed esercitare un potere immenso sulla catena di approvvigionamento, fidelizzando i clienti grazie ai prezzi bassi.
Oggi Shein e Temu fanno concorrenza ad Amazon o ai marchi del fast fashion non perché sono le aziende cinesi cattive, ma perché hanno cercato un modo per tagliare ancora i costi e conquistare così una clientela attenta ai prezzi, proprio come altre aziende hanno fatto con chi le aveva precedute. La campagna “Shut down Shein” (Chiudiamo Shein) del 2023 ha dipinto la piattaforma cinese come il male. Ma, anche se sarà messa al bando, le sue innovazioni nella vendita al dettaglio non spariranno. Se ne approprieranno le concorrenti, come abbiamo già visto fare ad Amazon.
Questo non vuol dire che Shein o Temu siano eticamente migliori di altre aziende: se Amazon ha trovato nuovi modi per tagliare i salari dei lavoratori e limitare la loro capacità di sindacalizzarsi, Shein, con le sue dimensioni e la sua dipendenza dalla plastica nella fabbricazione e nell’imballaggio, ha un impatto sul lavoro e sull’ambiente ancora peggiore. Ma anche marchi come H&M non hanno una buona reputazione, visto che esternalizzano il processo produttivo e commerciano merce di scarsa qualità che dev’essere regolarmente smaltita e sostituita.
Sarebbe fantastico se la soluzione fosse semplicemente vietare Shein e Temu, ma le radici del problema vanno molto più in profondità. Mettere al bando queste due piattaforme e andare avanti come se niente fosse significa ammettere che il problema non sono le condizioni dei lavoratori e i danni all’ambiente, ma il fatto che le aziende cinesi possano superare i marchi occidentali.
Per affrontare veramente le sfide presentate da Shein e Temu dobbiamo riconoscere che molte altre aziende si stanno comportando nello stesso modo, pur di offrire ai consumatori prezzi sempre più convenienti. La corsa al ribasso a un certo punto si dovrà fermare, e la crisi dell’inflazione degli ultimi anni ha dimostrato che la maggior parte delle persone è ormai al limite. Le cose che compriamo non possono essere più economiche di così e sembra che il compromesso raggiunto all’inizio degli anni ottanta non funzioni più.
Bisogna stabilire delle regole per impedire a queste aziende di devastare l’ambiente e violare i diritti dei lavoratori.
Ma questo da solo non basta. Avere lavoratori sindacalizzati e ben retribuiti e processi produttivi che riducono al minimo i danni all’ambiente potrebbe far aumentare i prezzi. Ed è necessario che le persone possano pagarli. Un passaggio simile richiede una trasformazione economica molto più profonda, che affronti la povertà e metta in discussione un sistema di vendita al dettaglio basato su merce di scarsa qualità prodotta da manodopera sfruttata. Ma è un discorso che pochi di quelli che hanno potere vogliono affrontare. ◆ gim
Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it
Questo articolo è uscito sul numero 1571 di Internazionale, a pagina 37. Compra questo numero | Abbonati