Il 4 gennaio 2022 Chow Hang-tung, un’attivista per la democrazia di Hong Kong, è stata condannata a quindici mesi di prigione per aver scritto un articolo in cui invitava le persone ad accendere delle candele in casa per ricordare la repressione nel sangue delle proteste di piazza Tiananmen del 1989. Chow stava già scontando una condanna di un anno per aver infranto questo divieto. Dal banco degli imputati ha dichiarato: “L’unico modo di difendere la libertà di parola è continuare a parlare. Le parole hanno una vitalità intrinseca e non possono essere definite dal diritto o dall’autorità. I morti non sono un’invenzione, o un complotto delle potenze straniere, ma persone. La vera truffa è proteggere gli assassini in nome del diritto, e cancellare le vittime in nome di un paese che non rispetta neanche i morti”. Le parole di Chow mi hanno ricordato l’allarme lanciato dal filosofo tedesco Walter Benjamin. Mentre cercava di sfuggire all’occupazione nazista in Francia disse: “Neanche i morti saranno al riparo dal nemico, se vincerà”. Le dittature devono dominare il passato oltre che il presente. E lo strumento per farlo è controllare la storia. È quello che la Cina sta facendo a Chow Hang-tung, alle vittime del 1989 e a tutti gli avvocati, giornalisti e scrittori incarcerati perché hanno usato le parole sbagliate. E questo furto del passato sta diventando sistematico.
Nel novembre 2021 il Partito comunista cinese (Pcc) ha approvato una risoluzione sulla sua storia. È solo la terza in cento anni di esistenza. Il documento è un inno alla gloria del presidente Xi Jinping, posto sullo stesso piano di Mao Zedong, padre fondatore della Repubblica popolare, e di Deng Xiaoping, leader della Cina tra il 1978 e il 1989. Il testo contiene un ammonimento contro “l’influenza corrosiva del pensiero politico occidentale, come il cosiddetto costituzionalismo, l’alternanza e la separazione dei poteri”. E dà la colpa delle rivolte del 1989 alle “forze anticomuniste e antisocialiste straniere”. Il tutto, naturalmente, elogiando il partito per aver “difeso il potere dello stato socialista” uccidendo, incarcerando e torturando migliaia di manifestanti, e cancellando la memoria di chi li ha difesi.
Chiunque sia legato al Partito laburista britannico dovrebbe riconoscere le ingiustizie commesse in Cina
Nel Regno Unito chiunque sia lontanamente legato al Partito laburista dovrebbe riconoscere le ingiustizie commesse dal Partito comunista cinese. Ma non è il caso di Socialist action. Se non sapete cosa sia, significa che non avete seguito la politica laburista negli ultimi sei anni. Sotto l’ex segretario del partito Jeremy Corbyn, insieme ad alcuni nostalgici di Brežnev raggruppati intorno al quotidiano Morning star, il gruppo Socialist action è diventato molto influente nella segreteria del Partito laburista. Il 16 dicembre 2021 Socialist action ha pubblicato un commento sulla risoluzione del Pcc, firmato dall’economista John Ross dell’università di Renmin, in Cina. Il testo afferma che “le politiche intraprese da Pechino con la riforma economica voluta da Deng Xiaoping e dagli altri dirigenti del Pcc hanno salvato il socialismo mondiale… La Cina, giustamente, non ha mai proposto agli altri paesi di copiare il suo ‘modello’. Ma qualsiasi forza progressista dovrebbe studiare il suo successo”.
Abbandonando la proprietà statale e distruggendo lo stato sociale costruito sotto Mao, sostiene Ross, Deng Xiaoping ha inaugurato un periodo di crescita economica mai visto in altri paesi. Questo è vero. Il problema è che è stato ottenuto creando ampie disuguaglianze. L’élite del Partito comunista si è trasformata in un gruppo di miliardari, ha imprigionato e torturato decine di migliaia di dissidenti e poi – quando nel 1989 un movimento di massa di lavoratori e studenti ha chiesto più democrazia – li ha uccisi e ne ha sepolto la memoria.
Ross, quindi, non afferma semplicemente che la svolta verso il capitalismo della Cina dopo il 1978 ha portato a uno sviluppo spettacolare e alla riduzione della povertà, ma che è una forma di socialismo che i progressisti di tutto il mondo dovrebbero copiare. Per lui i successi della Cina sono stati “un trionfo del pensiero marxista”. Legittimando la finanza globale, i monopoli delle tecnologie di sorveglianza e i grandi gruppi industriali, in cui i lavoratori sono costretti a firmare contratti dove promettono di non suicidarsi se posti in condizioni di stress, Xi Jinping “ha portato la struttura economica della Cina più in linea con Marx”, scrive Ross.
Privatizzando e aprendo le porte alla finanza, Pechino non ha “salvato il socialismo”, semmai il capitalismo
Nessun socialista può negare il fatto che 850 milioni di persone siano uscite dalla povertà rurale attraverso un processo di rapida urbanizzazione e industrializzazione. Ma possiamo criticare il modo in cui è successo e sostenere il diritto degli operai e dei contadini cinesi di organizzarsi per una vita migliore e di affermarsi politicamente attraverso partiti e libere elezioni, come hanno fatto i lavoratori britannici dai tempi del massacro di Peterloo nel 1819. Deng, privatizzando gran parte dell’industria pesante e aprendo le porte alla finanza occidentale e agli investimenti stranieri, non ha “salvato il socialismo mondiale”. Semmai ha salvato il capitalismo, perché le importazioni cinesi a basso costo hanno eliminato l’inflazione in occidente, mentre milioni di posti di lavoro si sono trasferiti in Cina, dove il loro potere contrattuale è crollato.
Non c’è niente che il movimento sindacale occidentale possa fare al riguardo. Ma possiamo dire la verità. Possiamo mantenere viva la storia ed essere solidali con chi a Hong Kong lotta per tenere viva la democrazia. È questo che Ross, e quanti la pensano come lui nel movimento operaio britannico, si rifiutano di fare. Peggio ancora, sono ormai complici del tentativo del Pcc di riappropriarsi del marxismo. Quando i burocrati cinesi s’intrattenevano con i finanzieri occidentali negli strip club di Pechino, al Pcc la retorica marxista non serviva. Il partito era diventato il portavoce di “tutto il popolo cinese”, abbandonando la sua pretesa di rappresentare la classe operaia e, per la prima volta, ammettendo con entusiasmo l’ascesa della borghesia.
I burocrati che ho incontrato a Pechino negli anni duemila parlavano di Keynes e Hayek, non di Marx ed Engels. Alcuni erano pronti a tollerare una democrazia controllata e ristretta entro certi limiti. Ma quell’epoca è finita. Il malcontento suscitato da decenni di disuguaglianze è stato così forte che Xi è stato costretto a reprimere le strutture criminali e il malcostume che hanno segnato gli ambienti comunisti cinesi. Ha adottato il marxismo dei libri di testo di Mosca: il determinismo creato nell’accademia stalinista per giustificare carestie, incarcerazioni e omicidi di massa nel novecento.
Xi Jinping però è stato sfortunato. Stalin non ha dovuto fare i conti con alcuna forma alternativa di marxismo. Anche i suoi avversari all’interno della burocrazia sovietica, da Lev Trotskij a Nikolaj Bucharin, aderivano allo stesso rigido metodo che li stava uccidendo. Non sapevano nulla del Marx umanista, del Marx filosofo dell’alienazione ed ecosocialista. Ma l’adozione di Marx da parte di Xi avviene in un mondo in cui un marxismo critico, eterodosso e umanista fiorisce. Ogni studente di cinema, cultura o letteratura ha sentito parlare di Walter Benjamin. Ogni studente nero si è appassionato alle opere di Frantz Fanon. Ogni femminista ha dovuto confrontarsi con le idee di Silvia Federici. E ogni studente di politica conosce Gramsci. Negli Stati Uniti la tradizione del marxismo occidentale è così influente da spaventare la destra repubblicana. L’élite miliardaria comunista ha un problema. Non deve solo distruggere la verità su Tiananmen e riscrivere la storia. Non deve solo attaccare la democrazia e la libertà d’espressione. Deve attaccare anche il marxismo umanista insegnato nelle università occidentali, e tutte le voci anticapitaliste che criticano la dittatura di Pechino.
La Cina non è il nostro nemico. Il popolo cinese ha il diritto di essere orgoglioso del nuovo status del suo paese nel mondo. L’occidente deve trovare un nuovo equilibrio geopolitico con Pechino, non lasciarsi andare a fantasie di sottomissione alla ricerca di una nuova guerra fredda. Ma l’élite comunista è nemica dei lavoratori cinesi e delle nostre democrazie. Per questo dobbiamo criticare i suoi sostenitori occidentali ogni volta che ne abbiamo l’occasione.
In un mondo dominato dal marxismo di Xi Jinping, non è solo il massacro di piazza Tiananmen a scomparire dalla storia. Lo stesso succederebbe a Peterloo, a Benjamin, Fanon, Gramsci e Marcuse, oltre che al fondatore del comunismo cinese, Chen Duxiu. Di fronte a uomini come Xi Jinping neanche i morti sono al sicuro. ◆ ff
PAUL MASON
è un giornalista britannico. Collabora con il Guardian e con Channel 4. In Italia ha pubblicato Come fermare il nuovo fascismo. Storia, ideologia, resistenza (Il Saggiatore 2021). Questo articolo è uscito sul New Statesman.
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Questo articolo è uscito sul numero 1443 di Internazionale, a pagina 36. Compra questo numero | Abbonati