Il giorno dopo il Thingyan, la festa dell’acqua che segna il capodanno birmano, Win Ko Ko Aung è scivolato attraverso il confine per entrare in Thailandia, nascosto in un gruppo di lavoratori migranti. Non aveva il passaporto – i lavoratori stavano comunque entrando illegalmente – perché l’aveva lasciato a Rangoon quando era scappato dalla città in fretta e furia all’inizio di aprile. Da allora si era trasferito di città in città, senza mai rimanere nello stesso posto per più di pochi giorni.

Poco prima della festività, celebrata tra il 13 e il 16 aprile, una fonte interna alla giunta militare che ha preso il potere dopo il golpe del 1 febbraio aveva avvertito Ko Ko Aung che il suo nome era stato inserito nella “lista 505A”, un registro che prende il nome dalla sezione del codice penale che criminalizza il dissenso online. La tv di stato avrebbe presto dato la notizia che era ricercato e sarebbe stato arrestato. Anche se avesse avuto il passaporto, non sarebbe mai riuscito a lasciare il paese passando per un aeroporto o un posto di frontiera. “Potevo rimanere in Birmania e muovermi continuamente da un posto all’altro, fino a quando un giorno mi avrebbero arrestato, o rischiare e lasciare il paese”, ci dice durante una telefonata via Telegram da Bangkok, dove ha fatto richiesta d’asilo. “Ho scelto la seconda opzione, ho deciso di sopravvivere”.

Prima del golpe, Ko Ko Aung era uno scrittore, un autore di contenuti digitali e un imprenditore sociale. Con più di 485mila follower, il suo account Facebook era un mix di selfie, consigli di libri da leggere, citazioni interessanti e informazioni su come prendersi cura della pelle. Non è mai stato particolarmente interessato alla politica, ma come è successo a molti giovani birmani, gli ultimi mesi lo hanno scosso dall’indifferenza. “Non lo accetto, è un’ingiustizia”, dice.

Il giorno in cui l’esercito è subentrato al governo, Ko Ko Aung ha postato su Facebook una sua foto con il saluto a tre dita, che è diventato il simbolo della protesta contro i militari. Poi ha cominciato a pubblicare immagini di manifestazioni di massa e messaggi di denuncia. Tre mesi dopo, è stato costretto a rifugiarsi in un altro paese.

Ko Ko Aung ha capito che era ora di andarsene quando due dei suoi amici più stretti – Win Min Than, truccatore e blogger, e Mae Toe Khaing, modella e influencer di moda – sono stati rapiti e accusati di sovversione. Un altro amico è stato arrestato e picchiato e il suo volto insanguinato è stato mostrato in tv. “Gira voce che ti arrestino di notte e il giorno dopo facciano trovare il tuo cadavere. È spaventoso”, dice Ko Ko Aung. “C’è un grande caos”.

La comunità di attivisti, imprenditori e operatori digitali di Rangoon è stata traumatizzata dal recente colpo di stato e dalle violenze che sono seguite. Molti dei suoi esponenti si sono trovati letteralmente in prima linea, di fronte a soldati che usano pistole e granate contro i manifestanti pacifici. Dopo aver fatto piazza pulita dei politici dell’opposizione e dei dissidenti, la giunta ha cominciato a prendere di mira i giovani utenti di internet, prelevandoli per strada e nelle loro case e riscrivendo le leggi per criminalizzare le loro attività online. Ogni notte la tv di stato annuncia i nomi delle persone che compaiono nella lista 505A, che ora include blogger di cucina, makeup vlogger, influencer, attori, reginette di bellezza, imprenditori del settore tecnologico, attivisti e leader dell’opposizione, praticamente chiunque abbia un profilo digitale e un’opinione. Molte delle persone che operano nel settore della tecnologia e dei mezzi d’informazione digitali più importanti del paese sono in fuga o in carcere.

Tutte le luci accese

Gli attacchi diretti della giunta ai mezzi d’informazione liberi, agli attivisti e alle infrastrutture usate per comunicare hanno scoraggiato una generazione che aveva appena cominciato ad affermarsi politicamente, socialmente ed economicamente. Nell’ultimo decennio di governo a guida civile, i giovani birmani avevano imparato a sfruttare la nuova apertura e la disponibilità di internet nel paese per difendere i propri diritti, costruire imprese e chiedere riforme politiche. In poco più di tre mesi, i militari hanno demolito tutto ciò che avevano costruito.

“La nostra emancipazione è durata un attimo”, dice Nandar, un’attivista per i diritti delle donne e podcaster che è fuggita da Rangoon e ora vive nascosta. “Ci sono tante attiviste come me che vengono arrestate, imprigionate, aggredite. Molte di loro stanno lasciando il paese. Tanta gente è morta e tanta è in lutto”. Nel 2011, quand’era caduto il governo militare, a Rangoon era stato come se tutte le luci si fossero accese. Per i cinquant’anni precedenti l’esercito, o Tatmadaw, aveva cercato di mantenere il controllo del paese sigillandolo ermeticamente. Le telecomunicazioni, i mezzi d’informazione e internet erano rigidamente controllati. Tutte le notizie dovevano essere approvate da un censore prima della pubblicazione. Internet era limitata, e comunque pochi potevano accedervi, perché le connessioni erano rare e avevano costi proibitivi.

Manifestanti con scudi di metallo per ripararsi dai colpi della polizia, Rangoon, 9 marzo 2021 - The N​ew York Times/Contrasto
Manifestanti con scudi di metallo per ripararsi dai colpi della polizia, Rangoon, 9 marzo 2021 (The N​ew York Times/Contrasto)

Poi, davanti alle pressioni di un risorto movimento per la democrazia guidato da Aung San Suu Kyi, l’esercito aveva dovuto cedere parzialmente il potere a un governo civile. Le restrizioni alle libertà d’espressione erano state allentate ed era stato consentito alle aziende straniere di entrare nel paese e creare reti di telefonia mobile. La percentuale di persone con l’accesso a internet è passata dall’1 per cento del 2011 al 43 per cento del 2021. I birmani più istruiti, molti dei quali erano fuggiti all’estero dopo che la rivolta studentesca del 1988 era stata brutalmente repressa, sono tornati. Attraverso i social network i giovani hanno assorbito in massa la cultura globale. Queste forze si sono unite per creare un fiorente ecosistema digitale in cui imprenditorialità, attivismo, cultura pop e informazione si sovrapponevano e si alimentavano a vicenda.

Impero editoriale

L’ambiente era tutt’altro che libero e aperto: le minoranze etniche erano ancora perseguitate, i diritti delle donne limitati e i giornalisti erano regolarmente minacciati e arrestati per aver fatto il loro lavoro. Ma all’improvviso il cambiamento sembrava possibile, e questo è bastato per convincere Thin Thin Aung a tornare. Da studente, Thin Thin Aung aveva fatto parte del cosiddetto movimento 8.8.88, che prendeva il nome dalle manifestazioni dell’8 agosto 1988 contro il governo militare. Quando le proteste erano state represse nel sangue, era fuggita nello stato indiano di Mizoram. Lì ha studiato economia, si è laureata e ha cominciato a lavorare come giornalista per la Bbc, pur continuando a battersi per la democrazia e i diritti delle donne. Nel 1998, mentre era ancora in esilio, lei e un altro attivista, Soe Myint, crearono Mizzima, uno dei primi mezzi d’informazione digitali birmani. “Ha continuato a lottare per la democrazia e i diritti umani, in particolare per l’uguaglianza di genere”, dice Naw Hser Hser, un’amica di Aung e segretaria generale della Women’s league of Burma, un gruppo che difende i diritti delle donne. “Ancora oggi combatte per questo”. Dopo la transizione a un governo semicivile, Thin Thin Aung e Soe Myint sono tornati in Birmania e hanno aperto una sede di Mizzima a Rangoon. “Era evidente che era solo l’inizio di una lunga strada”, dice Soe Myint. “Eravamo rientrati perché pensavamo che ci fosse uno spazio limitato in cui avremmo potuto continuare la lotta per la democrazia, la libertà d’informazione e i diritti umani”.

Da un sito lanciato in India su un unico portatile ricevuto in regalo, hanno creato un impero editoriale. Hanno assunto e formato reporter locali ed esperti di tecnologia informatica e hanno creato due canali tv, uno sulla rete nazionale e un altro sul satellite. Stampavano giornali in birmano e in inglese. Poi si sono avventurati nel campo dell’intrattenimento, importando film e serie tv da Bollywood. Hanno preso in prestito diversi milioni di dollari e li hanno investiti in attrezzature e personale. Su tutte le loro piattaforme, Soe Myint stima di avere un pubblico di circa venti milioni di persone. “Abbiamo dedicato a Mizzima le nostre vite e quelle dei nostri colleghi e delle loro famiglie”, dice. “A ciò che è stato Mizzima fino al 1 febbraio 2021”. Non sono stati gli unici. Nello stesso periodo stavano nascendo in tutto il paese altri mezzi d’informazione indipendenti, grandi e piccoli. Dopo essere stati privati della libertà d’espressione per tanto tempo, giornalisti e attivisti erano improvvisamente ovunque per dare voce alle persone messe a tacere sotto il regime della giunta.

“Vogliono metterci a tacere. Vogliono farci fuori. Ma siamo ancora qui”

Nandar, l’attivista per i diritti delle donne fuggita dopo il colpo di stato, è stata tra le persone che hanno usato internet per costruire comunità digitali e affrontare questioni considerate tabù dalla società birmana, patriarcale e spesso apertamente misogina. Il suo Purple feminists group ha lanciato una campagna per mettere fine allo stigma delle mestruazioni, oggi ancora tanto forte che le manifestanti appendono degli assorbenti alle loro barricate improvvisate per spaventare i soldati, perché secondo la superstizione le donne con le mestruazioni diminuiscono la virilità. Nadar ha tradotto e rappresentato I monologhi della vagina di Eve Ensler a Rangoon. Nel suo podcast, G-taw zagar wyne, ha ospitato discussioni sul consenso e sull’aborto, che in Birmania è illegale. “In generale, siamo stati in grado di esprimere tutto ciò che pensavamo, ad alta voce, senza paura di essere arrestati, uccisi o rapiti”, dice del periodo precedente al colpo di stato. “So che ad alcuni giornalisti è successo, ma come attivista non mi sono mai sentita minacciata”.

L’accesso a internet senza restrizioni ha reso le donne birmane più consapevoli delle norme internazionali sui diritti. Nel 2018 e nel 2019 il paese ha anche avuto il suo silenzioso movimento #MeToo, sostenuto da campagne sui social network e amplificato da un documentario trasmesso su Mizzima tv. “Quel momento di apertura al mondo esterno attraverso internet, e non solo per il lavoro che stavamo facendo, ci ha fatto capire che i diritti contano, che le nostre voci contano, che dobbiamo farci sentire”, dice Nandar.

Dopo il colpo di stato, Nandar racconta di essere rimasta “immobile” per una settimana, incapace di elaborare emotivamente quello che stava succedendo. Ha solo 25 anni e non era ancora nata l’ultima volta che l’esercito aveva represso un movimento di protesta. Ma quando ha parlato per la prima volta con noi nel fine settimana successivo al colpo di stato, era esultante, parlava di un’atmosfera quasi carnevalesca per le strade, dove centinaia di migliaia di persone scendevano a manifestare. “Questo senso di forza, anche se per poco, mi ha aiutato. Sembrava che potessimo fare qualcosa, che potessimo vincere”, ricorda durante un’intervista all’inizio di maggio.

Ma non è durata. La giunta ha ripetutamente interrotto l’accesso a internet e bloccato i social network, limitando la capacità degli attivisti di organizzarsi. Il 9 febbraio Mya Thwe Thwe Khaing, una ragazza di 19 anni, è stata colpita alla testa durante una manifestazione. È morta dieci giorni dopo, diventando la prima martire del movimento contro il golpe. Da allora più di 850 persone sono state uccise e quasi cinquemila arrestate. “Stiamo concentrando le nostre energie esclusivamente su quello che ci hanno portato via”, dice Nandar. “Come potremo dedicarci a creare e produrre altro, se siamo così pieni di rabbia?”. La licenza di Mizzima è stata revocata l’8 marzo insieme a quella di altri quattro siti d’informazione. Molti siti internazionali e indipendenti sono ufficialmente bloccati. La giunta ha confiscato le loro attrezzature e chiuso gli uffici. I giornalisti continuano a lavorare, per lo più in clandestinità. Alcune pubblicazioni si sono trasferite interamente su Facebook, a cui, anche se ufficialmente è messo al bando, è possibile accedere attraverso reti virtuali private. Altre persone sono tornate alla radio o alla carta stampata. Almeno quaranta giornalisti sono in custodia, molti accusati ai sensi della legge 505A, che dopo il colpo di stato è stata ampliata per criminalizzare chiunque critichi il regime e inviti alla disobbedienza civile.

La tv di stato, l’unica ancora visibile sui canali ufficiali, ha un nuovo palinsesto fatto di storie su come “va tutto bene”, goffe chiacchierate sullo stato dell’economia, immagini di prigionieri brutalizzati e liste delle persone ricercate dal regime. Gira la voce che la giunta stia preparando un nuovo firewall e potrebbe perfino cominciare a stilare una lista di siti autorizzati, che darebbe ai militari il controllo quasi totale dell’internet birmana.

Il 9 marzo c’è stata un’irruzione negli uffici di Mizzima a Rangoon. Le autorità speravano di sequestrare le attrezzature e arrestare il personale, ma hanno trovato i locali praticamente vuoti. Dopo che a gennaio il Tatmadaw non aveva escluso la possibilità di prendere il potere con la forza, Soe Myint e i suoi colleghi avevano escogitato un piano d’emergenza. Dopo il 1 febbraio si sono sparpagliati in tutta la Birmania e nei paesi vicini. Sei giornalisti di Mizzima sono stati arrestati e altri otto, per quanto ne sa Soe Myint, sono nella lista 505A. Soe Myint è nascosto, come la maggior parte dei circa cento dipendenti e volontari di Mizzima. L’azienda è passata dall’attività d’informazione su più piattaforme alla guerriglia. Il suo canale tv dall’8 aprile, quando la giunta ha disattivato le parabole satelllitari nel paese, trasmette su YouTube, Facebook e sulla sua app, mentre i giornalisti pubblicano ancora online. “Con il colpo di stato hanno distrutto tutto. Mizzima avrebbe potuto semplicemente sparire”, dice Soe Myint. “Siamo ricercati. Vogliono metterci a tacere. Vogliono farci fuori. Ma siamo ancora qui. Stiamo lottando”.

Thin Thin Aung non è riuscita a mettersi in salvo. Era solo questione di tempo prima che fosse inserita in una delle liste nere della giunta, come attivista o come giornalista. “Avevano preso di mira chiunque avesse un ruolo di leadership”, dice Naw Hser Hser. “Automaticamente anche lei è entrata nel loro mirino”. Thin Thin Aung aveva preso precauzioni per sfuggire alle autorità, spiega Naw Hser Hser: si era trasferita da un posto all’altro evitando di passare per casa sua. L’8 aprile i militari l’hanno presa. L’hanno arrestata a Ran­goon mentre faceva la spesa e l’hanno interrogata per due settimane prima di trasferirla nella famigerata prigione di Insein.

Anche dopo la rivolta del 1988 i militari avevano arrestato attivisti e giornalisti, riempiendo le carceri di prigionieri politici. Ma questa volta la giunta non si è limitata a fermare i suoi avversari. “All’inizio il loro piano era chiaro: certe persone venivano prese di mira a causa della loro militanza o del loro lavoro sociale”, dice Wai Hnin Pwint Thon, un’attivista che vive nel Regno Unito. “Ma in seguito non c’è più stato un criterio preciso, hanno cominciato ad arrestare chiunque”.

Il padre di Wai Hnin, Mya Aye, uno dei leader del movimento 8.8.88, è stato fermato il giorno del colpo di stato e oggi è detenuto nel carcere di Insein. Da allora è stato raggiunto da star della tv, influencer e cittadini comuni arrestati nelle retate notturne. “Ci prendiamo in giro a vicenda sul fatto che non si è famosi finché non si ha un mandato d’arresto in base al 505A”, dice Wai Hnin.

Manifestazione contro il golpe militare, Rangoon, 13 febbraio 2021 - The N​ew York Times/Contrasto
Manifestazione contro il golpe militare, Rangoon, 13 febbraio 2021 (The N​ew York Times/Contrasto)

Creativi e motivati

Mentre parla, l’amico di Yan Paing Hein ogni tanto scivola nel passato, correggendosi rapidamente da “Yan Paing era” a “Yan Paing è”. L’amico, un importante imprenditore digitale di Rangoon che ha chiesto di non essere identificato per paura di rappresaglie, ha incontrato per la prima volta Hein cinque anni fa a un evento del settore tecnologico. Hein aveva 19 anni, era fresco di diploma di scuola superiore e aveva un disperato desiderio di entrare nel mondo della tecnologia. “Continuava a mandarmi messaggi dicendo che voleva diventare un tecnico iOS e creare app per iPhone, perché allora era il sogno di tutti”, dice l’imprenditore. I due hanno fatto amicizia e l’imprenditore gli ha insegnato a usare dei tutorial online e video di YouTube per imparare a programmare. Come tante persone della comunità tecnologica birmana, Hein si era fatto strada da solo, era un ragazzo determinato e aveva saputo approfittare dell’improvvisa apertura di internet. “Questi mestieri non esistevano”, dice l’amico. “Quasi tutti quelli che lavorano nell’industria digitale sono autodidatti”. Nella nuova economia aperta erano sbocciate tante persone ambiziose, creative e motivate come Hein. Aveva trovato lavoro in alcune aziende tecnologiche di Rangoon, molte delle quali erano sorte all’improvviso, fondate da gente del posto o da rimpatriati. L’anno scorso aveva deciso di prendersi una pausa per imparare cose nuove. “Sembrava che avesse una crisi di mezza età a 24 anni”, dice l’amico. “Ci abbiamo scherzato sopra parecchio. È un ragazzo simpatico e molto affettuoso. Salutava tutti, anche le persone che non conosceva. La cosa triste è che alla fine questo è stato il motivo per cui è finito in prigione”.

Il 10 marzo i poliziotti sono entrati nel quartiere di Hein a Rangoon indossando abiti civili e guidando macchine qualunque. I residenti li hanno fermati. Avendo trovato armi e uniformi nei loro veicoli, hanno legato gli agenti e li hanno fatti prigionieri. Incuriosito, Hein è sceso a guardare. Gli amici l’hanno visto parlare con i poliziotti, a quanto sembra nel tentativo di rassicurarli. A un certo punto è tornato nel suo appartamento a prendere qualche bottiglia d’acqua per loro. Poi, poco prima dell’una di notte, i soldati hanno sfondato la porta di casa sua e l’hanno trascinato via. È passata quasi una settimana prima che gli amici scoprissero dove l’avevano rinchiuso.

Poche settimane dopo, racconta l’imprenditore, un altro amico è stato fermato per strada: Min Gaung, un musicista che si era reinventato come direttore creativo di una società di marketing digitale. È stato arrestato con due amici nel centro di Rangoon. L’ironia, dice l’imprenditore, è che Min Gaung aveva lavorato alle campagne pubblicitarie per la Dagon Beer, un birrificio di proprietà dell’esercito. Le autorità sembrano prendere di mira i giovani o chiunque abbia un aspetto anticonformista: Min Gaung, che ha cantato per anni in un gruppo rock, è coperto di tatuaggi. Questo significa che ora tutti si sentono minacciati. “È la realtà che dobbiamo accettare”, dice l’imprenditore. “Fino a qualche settimana fa, tutti cercavano di capire come fare per non essere arrestati. Ora sappiamo che le probabilità sono 50 a 50, indipendentemente da quello che facciamo”.

Wai Hnin Pwint Thon, l’attivista che vive nel Regno Unito, pensa che questa casualità sia in parte una strategia e in parte frutto del panico. Nel 1988 la giunta era sicura di poter controllare il flusso di informazioni e piegare il movimento di protesta arrestando o intimidendo i suoi leader. Oggi, di fronte a un’opposizione fluida e senza leader, usa gli arresti arbitrari e la violenza per cercare di dissuadere le persone dal farsi sentire o partecipare alle proteste. “È un modo per minacciarci. Se vai contro i militari, questo è ciò che dovrai affrontare: torture e umiliazioni”, dice Wai Hnin.

Da sapere
Dal golpe alla repressione

◆ Il 1 febbraio 2021 l’esercito guidato dal generale Min Aung Hlaing ha deposto con un colpo di stato il governo di Aung San Suu Kyi, con cui i militari condividevano il potere dal 2016. Nel novembre 2020 il partito di Suu Kyi, la Lega nazionale per la democrazia (Lnd), aveva trionfato alle elezioni ma i generali rifiutavano l’esito del voto, denunciando brogli e irregolarità. La giunta che si è installata al governo ha promesso di indire elezioni entro un anno. La popolazione ha risposto scendendo in piazza ogni giorno in tutte le città e un grande movimento di disobbedienza civile ha paralizzato il paese. Le forze armate hanno reagito sparando contro i manifestanti. L’8 giugno, secondo i dati dell’Associazione di assistenza ai prigionieri politici birmana, le vittime erano 857, gli arrestati 4.704.

◆ Il 16 aprile alcuni parlamentari dell’Lnd eletti a novembre hanno formato con i rappresentanti di tutte le parti sociali e politiche il Governo di unità nazionale (Gun), in opposizione alla giunta. Il 5 maggio è nata la Forza di difesa del popolo, braccio armato del Gun. Mizzima


Allo stesso tempo, l’aver preso di mira chiunque pubblichi qualcosa online è segno che la giunta ha sottovalutato il potere organizzativo dei social network e l’impegno di una generazione più giovane che, dopo mesi di brutalità, sta ancora cercando di opporsi al colpo di stato. “Penso che i social network siano una grande minaccia per i militari”, dice Wai Hnin. “Non credo che sappiano come gestire la diffusione delle informazioni, le mobilitazioni e il sostegno reciproco delle persone, se la prendono con chiunque”.

Come nel 1988, i giovani birmani stanno scappando dal paese. Abbiamo parlato con decine di attivisti, giornalisti e lavoratori del settore tecnologico che sono fuggiti o che stanno cercando di andarsene. La differenza, dicono, è che oggi hanno gli strumenti per mantenere viva la resistenza dall’estero. Quattro giorni dopo che aveva lasciato la Birmania, la tv di stato ha fatto il nome dell’influencer Win Ko Ko, che a quel punto si era già stabilito in Thailandia. Da lì ha bloccato la madre sui social network perché non si preoccupasse, l’ha trasferita in una casa sicura e ha cominciato a trasmettere messaggi contro il colpo di stato. I tentativi della giunta di bloccare internet e controllare i social network non sono riusciti a isolare il paese, ma hanno fatto crollare l’economia. Limitare a lungo termine le comunicazioni, da cui dipendono tanti rapporti commerciali, è impensabile.

Graffi sui muri

I birmani all’estero hanno sostenuto il movimento di disobbedienza civile fin dall’inizio, raccogliendo soldi e diffondendo informazioni. Una nuova ondata di esuli si sta unendo a loro, molti si trovano nella città tailandese di Chiang Mai. È nato un governo di unità nazionale, i cui membri sono sparsi in tutto il mondo e lanciano appelli per prendere il posto della giunta nei consessi internazionali. Intanto la situazione in Birmania peggiora. Ogni volta che internet riprende a funzionare, i social network sono inondati di immagini di morti e feriti: corpi lasciati per strada con i segni della tortura, cadaveri bruciati fino a diventare irriconoscibili.

Gli accordi di pace che limitavano il conflitto aperto tra l’esercito e i gruppi etnici armati delle regioni periferiche del paese sono saltati e la guerra civile che dura da settant’anni sta infuriando di nuovo. Ma gli attivisti della nuova generazione, anche quelli finiti in clandestinità o in esilio, vogliono continuare a combattere. “C’è speranza in mezzo al caos”, dice Nandar. “Mi piace pensare che i nostri sacrifici serviranno a qualcosa. Anche se non possiamo rovesciare il sistema, o questa dittatura, possiamo sempre rimanere come graffi sul muro”. ◆ bt

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Questo articolo è uscito sul numero 1413 di Internazionale, a pagina 52. Compra questo numero | Abbonati