Salve a tutti, sono Piao Fei. È la prima volta che c’incontriamo, mi presento: sono maschio, 28 anni, etnicamente coreano, single, segno zodiacale capricorno e come lo scrittore Xu Lang sono un investigatore privato. Se avete letto le avventure di Xu Lang e del suo maestro, il signor Jin, sapete cosa fanno gli investigatori privati. La prima volta che l’ho incontrato, il signor Jin mi ha detto: “Il nostro lavoro è indagare le verità nascoste dietro la verità”. Se all’inizio questa affermazione suona un po’ pretenziosa, più conosco questo mestiere più mi sembra accurata.

Il circolo degli investigatori privati è piuttosto ristretto, e ognuno ha i suoi metodi. Quest’anno ho lavorato a Pechino e mi sono costruito una rete di conoscenze: guadagno abbastanza bene mettendo in contatto le persone e mi godo la vita. Non esiste un vero e proprio nome per questo lavoro – intermediario, agente, speculatore o libero professionista – ma quando sono entrato nel circolo dei colleghi, ho scoperto che tra di loro si definiscono intermediari. Quando ho chiesto il perché a un collega con più esperienza, mi ha spiegato che non c’è nessuna ragione particolare: semplicemente suona dignitoso. A me non interessa. Parlando francamente, tra me e te non c’è differenza: ci facciamo pagare per risolvere i problemi degli altri, chiamateci come volete.

La ragazza non era alta, aveva i capelli lunghi e indossava una tuta. Doveva essere venuta qui subito dopo essere uscita dalla palestra, e sembrava aver bevuto molto

Facendo l’investigatore privato, o l’intermediario, in questi anni ho vissuto parecchie esperienze di cui una volta mi sono ritrovato a parlare con il signor Jin di fronte a un bicchiere. Era così entusiasta che mi ha invitato a scriverne. Così eccomi qui.

Una sera del luglio del 2019, verso mezzanotte, sono stato svegliato da una telefonata. Era il mio amico Feng Kai, mi diceva che c’era un lavoro urgente da sbrigare e di raggiungerlo subito al bar Qiao, che e si trova nel vicolo Dongsi. Ci vado spesso a bere con Xu Lang, è piuttosto nascosto e la maggior parte delle persone ha difficoltà a trovarlo. Ho visto Feng Kai appena varcata la soglia, sembrava piuttosto agitato: “Quella ragazza seduta al bancone, la mia sorellina, ti aspetta da ore”. Gli ho risposto di stare attento a come si comportava: quante sorelline aveva conosciuto nell’ultimo anno?

La ragazza non era alta, aveva i capelli lunghi e indossava una tuta. Doveva essere venuta qui appena uscita dalla palestra, e sembrava aver bevuto molto. Quando mi sono seduto accanto a lei mi ha chiesto cosa prendevo, ma le ho detto che non c’era fretta e che prima potevamo parlare un po’. Ha acconsentito e si è presentata come Xiao Wen. Mi ha raccontato di essere finita nei guai e di aver cercato Xu Lang, ma lui era tornato ad Harbin e le aveva consigliato di contattarmi. Mi ha detto di essere una video­blogger di fitness e qualche giorno prima aveva ricevuto un messaggio privato. Ha preso il suo telefono, me l’ha passato con fare circospetto e mi ha detto di guardare con discrezione. Ho dato un’occhiata allo schermo e ho visto la foto di un corpo nudo. La persona ritratta era stesa su un sofà: le luci erano basse, ma si capiva che era lei.

Mi è capitato spesso di occuparmi di questo genere di faccende. Qualche tempo fa, per esempio, una coppia è andata a divertirsi fuori città poi, quando si sono lasciati, il ragazzo ha ricattato lei con le foto in cui posava nuda. Ho chiesto a Xiao Wen chi aveva scattato quelle foto: se aveva delle prove poteva chiamare la polizia che se ne sarebbe occupata direttamente. Ma lei mi ha interrotto: se fosse stato così semplice, non sarebbe venuta da me. “Quella della foto non sono io”, ha spiegato, aggiungendo di non aver mai visto quella casa né quel divano e di non aver mai permesso a nessuno di fotografarla nuda. Allora le ho detto di non preoccuparsi perché evidentemente si trattava di una ragazza che le somigliava molto. Xiao Wen si è tirata giù la zip della felpa, ma l’ho fermata dicendole che non era il caso di farlo nel bar, perché non avrebbe fatto una bella figura. Però lei voleva farmi vedere una cosa: aveva un paio di ali sanguinanti tatuate sotto la clavicola identiche a quelle della ragazza nella foto. Effettivamente non poteva essere una coincidenza.

L’account che aveva mandato il messaggio privato a Xiao Wen aveva un nome utente composto di soli numeri e non seguiva nessuno. Lei gli aveva scritto chiedendogli chi fosse, ma non aveva ricevuto risposta. Mi ha confessato che questa foto aveva già avuto ripercussioni sul suo lavoro e mi ha chiesto di aiutarla a scoprire da dove veniva. Le ho fatto presente che in rete non è facile risalire alla vera identità di una persona che si nasconde, lei non si è data per vinta: mi ha aggiunto ai suoi contatti WeChat e mi ha versato 20mila yuan (circa 2.500 euro) come anticipo, assicurandomi che avrebbe saldato a lavoro finito. Mi andava bene: ci avrei provato e le avrei dato notizie.

Feng Kai mi ha riaccompagnato a casa in macchina, così gli ho raccontato un po’ di cosa si trattava e come pensavo di procedere: avrei contattato un amico molto bravo a rintracciare le persone sul web, e in breve tempo lui mi avrebbe fatto sapere qualcosa. Sono sceso dall’auto all’altezza di un condominio di via Qingnian; Feng Kai ha abbassato il finestrino e mi ha chiesto se il giorno seguente avrei avuto bisogno di lui. Gli ho risposto di venire da me, più eravamo e prima avremmo fatto.

Il giorno dopo mi sono alzato verso le dieci e ho guardato il cellulare: su WeChat c’erano più di quaranta messaggi vocali. Il mio amico mi diceva di aver trovato l’indirizzo ip da cui era partito il messaggio privato: corrispondeva a un condominio di borgo Xinjian, vicino a via Wuzi Xueyuan, a cui era risalito con l’aiuto di un crawler. Sono sceso a mangiare un boccone e Feng Kai è venuto a prendermi per andare insieme in quel condominio di borgo Xinjian, costruito di recente con delle aree verdi niente male. L’indirizzo che mi aveva dato il mio amico indicava il palazzo numero 4.

Francesca Ghermandi

Nel condominio ogni piano ospita quattro appartamenti: i contatori dell’elettricità e dell’acqua sono alle due estremità dell’ingresso e sono protetti da uno sportello che non è chiuso a chiave. Ho manomesso il contatore dell’elettricità e ho scollegato il cavo di rete. Poi sono uscito a fumare con Feng Kai. Dopo venti minuti siamo saliti, abbiamo bussato e abbiamo chiesto: “C’è un problema con l’elettricità?”. Una voce maschile ha risposto di sì. Ho detto di essere un tecnico di internet. La porta si è aperta e ne è uscito un ragazzo di una ventina d’anni con i capelli ossigenati. Feng Kai ha ripetuto che c’era un problema di rete ed eravamo venuti a risolverlo. Il ragazzo ci ha fatto entrare senza dire una parola. La casa era un bilocale in affitto, arredato piuttosto semplicemente. Doveva viverci una sola persona, perché non c’erano molte cose. Sul tavolo si vedevano gli avanzi della colazione, l’odore era quello dei baozi di carne.

Mentre Feng Kai parlava con il ragazzo, gli ho fatto una foto di nascosto e l’ho mandata a Xiao Wen chiedendole se lo riconosceva. Poi ho chiesto se potevo usare il suo computer per riconfigurare la rete. Mi ha detto che era sul tavolo e che potevo fare da solo. Ho aperto il computer e mi sono collegato al sito che ospita i video di Xiao Wen. Ovviamente tra i messaggi privati ho trovato quello che aveva ricevuto e l’ho fotografato con il mio telefono. Nel frattempo Xiao Wen mi aveva risposto: quel ragazzo era Zhang Wei, un collega che lavorava nella sala macchine della sua palestra. In quel momento lui si è insospettito e ha chiesto cosa stessimo facendo. Voleva vedere le nostre credenziali, altrimenti avrebbe chiamato la polizia. Gli ho detto di non scaldarsi e di stare calmo: ci mandava Xiao Wen, probabilmente lui sapeva già perché. Zhang Wei è andato nel panico e, incapace di dire una parola, ha cominciato a balbettare. È una reazione a cui mi è capitato di assistere spesso. Quando le persone sono prese alla sprovvista e i loro segreti sono rivelati, si arrabbiano o si vergognano.

Zhang Wei si vergognava come un cane, e aveva bisogno di essere rassicurato. Gli ho detto di non aver paura: se mi avesse detto cosa sapeva su quella foto non avrebbe avuto problemi. Lui ha spiegato che si trattava di un malinteso, che non era stato lui a scattare quella foto e che l’aveva trovata su internet. Circa una settimana prima, mentre scorreva i messaggi su Twitter, era incappato incidentalmente nelle foto di Xiao Wen: qualcuno stava vendendo i suoi nudi online. Le aveva inviato quella foto proprio per metterla in guardia, e per non metterla in imbarazzo aveva aperto un nuovo account e cancellato la foto dopo avergliela mandata. Non sapeva chi fosse il venditore, ma aveva messo un like alla foto. Zhang Wei voleva farmi vedere l’originale, ma si è accorto che quell’account era stato cancellato e che la persona non era più su Twitter.

Francesca Ghermandi

Feng Kai mi ha chiesto come avremmo fatto, e l’ho rassicurato: Twitter blocca molto velocemente gli account come questo, chi li usa lo sa e di solito ne apre più d’uno. Ho fatto una ricerca usando diverse parole chiave e ovviamente ho trovato un altro account che vendeva fotografie di donne nude. Secondo la breve biografia su Twitter, il venditore era uno statunitense che insegnava boxe in Cina e teneva una rubrica sul sito di una rivista pornografica straniera. I suoi racconti erano pieni di foto e video di lui che faceva sesso in Cina, tutte riprese con luce naturale. Ma tra i contenuti non trovavo le foto di Xiao Wen così Feng Kai ha mandato un messaggio al venditore dicendogli di voler comprare delle foto.

Mentre uscivamo, Zhang Wei ci ha detto che il giorno dopo si sarebbe licenziato, ma non dovevo dire nulla a Xiao Wen perché voleva che rimanessero amici. Una volta fuori ci siamo fermati a Guifeng­huang per una zuppa di spaghetti e Feng Kai mi ha chiesto: “Pensi che Zhang Wei ci abbia detto la verità?”. In effetti, ho risposto, sembrava una brava persona, ma era difficile esserne certi e non dovevamo saltare alle conclusioni. In quel momento Feng Kai ha ricevuto un messaggio di risposta su Twitter: “Che tipo di foto cerchi?”. Lui sembrava divertito, diceva che quell’americano sembrava uno del nord­est cinese. Gli ho detto che poteva essere un account falso gestito da un cinese che trafficava contenuti statunitensi.

Feng Kai gli ha mandato la foto di Xiao Wen chiedendo se aveva quella serie. Quello ha risposto di sì, la serie completa costava 128 yuan e gli aveva spedito qualche campione. La luce era scarsa e le foto si vedevano male. “Se vuoi delle foto nitide devi pagare, solo dopo riceverai il link”. Feng Kai ha scansionato il codice qr e ha autorizzato il pagamento, ma a quel punto abbiamo scoperto di essere stati bloccati. “Mannaggia!”, ha esclamato Feng Kai. “Ci sono troppi truffatori”. I soldi non erano un problema, era una piccola somma, il punto era che brancolavamo di nuovo nel buio. Ho ingrandito una di quelle foto e ho chiesto: “Guarda bene, dov’è?”. C’era una finestra sullo sfondo, e dalla finestra si poteva intravedere la cinta muraria di una città con una torre di avvistamento. Sembravano le mura di epoca Ming della città di Xi’an.

Ho fatto una ricerca per immagini su internet e ho concluso che la foto doveva essere stata scattata nella parte sud della città, nei pressi di porta Zhuque. Abbiamo comprato i biglietti del treno veloce per il giorno stesso, e quando siamo arrivati a Xi’an era già sera. Abbiamo preso un taxi fino a porta Zhuque e trovato un hotel dove passare la notte. Eravamo appena arrivati e volevamo farci una doccia, quando hanno bussato alla porta. Abbiamo aperto e ci è preso un colpo: lì fuori c’erano due poliziotti. Sono entrati per una breve ispezione e ci hanno fatto qualche domanda prima di andar via. Più tardi ho saputo che in quell’hotel era in corso una retata e che cercavano dei drogati che abitavano allo stesso piano. Ma questo non c’entra niente con la nostra storia, lasciamo perdere.

Il signor Li ci ha raccontato di essere divorziato e di sentirsi molto solo. Aveva saputo dell’esistenza di queste bambole e ne aveva comprata una online

Il giorno dopo siamo andati a mangiare una zuppa piccante. L’inquadratura della foto suggeriva che fosse stata scattata da un edificio piuttosto alto che, procedendo per esclusione, poteva essere solo il condominio Fenglu Guoji. Ho trovato un’agenzia immobiliare nei dintorni e ho detto di voler affittare una casa esposta a est in quel condominio. L’agente mi ha detto che non sarebbe stato un problema perché c’erano parecchi appartamenti liberi. Ne abbiamo visitati sei o sette, ma gli abbiamo chiesto di vederne altri perché cercavamo un piano alto. L’agente ci ha pensato un po’: sì, aveva un appartamento che poteva fare al caso nostro, ma l’inquilino non l’aveva ancora lasciato quindi doveva chiedergli se potevamo visitarlo. Poco più tardi ci ha informato di avere avuto il permesso e ci ha accompagnato a prendere l’ascensore.

L’inquilino ci aspettava sulla porta. Era un uomo sulla quarantina con gli occhiali. L’agente ce l’ha presentato come signor Li. La stanza era piuttosto buia, sul pavimento valigie e scatoloni erano pronti per essere portati via. Sul tavolino del salotto c’era una pila di dépliant di mobili, il signor Li doveva lavorare nel settore dell’arredamento. Siamo entrati e siamo andati sul balcone della camera da letto principale. Una grande finestra si affacciava sulle mura della città. Feng Kai mi ha lanciato uno sguardo: era quello che stavamo cercando. Ci siamo detti che avremmo voluto rivederlo, così siamo scesi a comprare un pacchetto di sigarette per l’agente e gli abbiamo detto che l’avremmo ricontattato. Lui se ne è andato, noi siamo tornati su e abbiamo bussato di nuovo alla porta. Ho detto di voler vedere bene alcuni dettagli. Il signor Li ci ha aperto e ci ha fatto entrare.

Sono ritornato nella camera da letto principale, ho tirato fuori il mio telefono e ho fatto vedere la foto all’inquilino chiedendogli se fosse stata scattata lì. Il signor Li ha cambiato espressione e mi ha chiesto da dove veniva la foto. Gli ho detto di non impicciarsi, prima avrebbe dovuto spiegarci tutto su quell’immagine. Nella mia esperienza, gli uomini di mezza età sono quelli con cui è più facile trattare. Hanno un sacco di faccende di cui occuparsi e non si possono permettere errori. Gli ho promesso che se ci diceva tutto su quella foto non avrebbe avuto problemi. Il signor Li ha sospirato e si è innervosito, poi ha ammesso che l’aveva scattata lui, per la restituzione. “La restituzione di cosa?”, ha chiesto subito Feng Kai. Il signor Li ha aperto un’app di acquisti online e mi ha fatto vedere la chat della sua conversazione con il servizio clienti. In quel momento ho capito che quella della foto non era una persona vera, ma una bambola gonfiabile.

Il giorno dopo siamo andati a mangiare una zuppa piccante. L’inquadratura della foto suggeriva che fosse stata scattata da un edificio piuttosto alto che, procedendo per esclusione, poteva essere solo il condominio Fenglu Guoji

Il signor Li ci ha raccontato di essere divorziato e di sentirsi molto solo. Aveva saputo dell’esistenza di queste bambole e ne aveva comprata una online. Quando gliel’avevano consegnata, aveva aperto il pacco e si era trovato di fronte a una bambola diversa da quella che voleva lui. Le ha fatto una foto e l’ha mandata al negozio, che ha ammesso l’errore e ha chiesto di rimandarla indietro. Li continuava a ripetere che non gli importava di finire in galera, ma non voleva che suo figlio lo sapesse e mi pregava di non farne parola con nessuno. Gli ho detto di non preoccuparsi, era una scelta personale per cui non si finiva in prigione, gli ho chiesto in quale negozio online aveva comprato la bambola, poi sono uscito insieme a Feng Kai per tornare in albergo. Feng Kai mi ha chiesto se il signor Li aveva fatto bene a comprare una bambola gonfiabile o se non avrebbe fatto meglio a provare un appuntamento al buio. Gli ho detto che gli uomini sono troppo complicati e che non dovevamo giudicare.

Ho aperto il link del negozio online che mi aveva dato il signor Li, vendeva proprio bambole gonfiabili. Aveva cinque o sei modelli disponibili, tutti di proporzioni esagerate, ma nessuno corrispondeva al corpo di Xiao Wen. Il negozio aveva aperto sei mesi prima, lo seguivano 404 persone e non vendeva più di una decina di bambole al mese. Curiosamente andavano molto meglio le vendite delle foto di quelli della merce: più di cento al mese. Nel testo che le descriveva, apparivano spesso le lettere DZ. Leggendo i commenti, ho capito che DZ significava personalizzabile. Feng Kai aveva l’impressione che Xiao Wen fosse stata trasformata in un sex toy. Ho mandato un messaggio al sito del venditore per chiedere una bambola personalizzata. La finestra di dialogo prevedeva risposte automatiche e mi ha mostrato una decina di foto di nudi e di video di bambole gonfiabili. Dopo un po’, un operatore umano ha preso in mano la conversazione chiedendomi di inviargli foto, le più definite possibili, perché le bambole potevano essere personalizzate a partire dalle foto. Ho chiesto al venditore se riuscivano a restituire tutti i dettagli, mi ha risposto che se la definizione delle foto lo permetteva non c’era problema: tutto poteva essere copiato, perfino i capillari o i peli.

Ho creato il profilo di una ragazza su un sito con immagini di persone inesistenti, ho compilato i campi con le sue caratteristiche e l’ho inviato al venditore, che mi ha garantito una riproduzione accurata al 90 per cento. Ho insistito per avere una riproduzione totalmente fedele. Mi ha detto che era possibile ma sarebbe costata di più e avrei dovuto firmare una liberatoria. Avrebbero usato i materiali migliori e la consegna sarebbe avvenuta dopo tre mesi per un prezzo di 50mila yuan. Allora gli ho mandato la foto di Xiao Wen chiedendogli se avevano quel modello, ma il venditore non mi ha più risposto e anzi ha cancellato tutti i suoi messaggi. Feng Kai mi ha chiesto cos’era successo e gli ho spiegato che eravamo stati troppo diretti, probabilmente il venditore si era insospettito e aveva capito che non eravamo dei veri acquirenti.

Scorrendo i commenti mi sono accorto che il negozio aveva tutte buone recensioni, ma composte da parole che sembravano messe a caso: sicuramente erano commenti generati automaticamente. E ho notato un’altra cosa: la stringa “@+una serie di caratteri alfanumerici” compariva più volte. L’ho mandata all’amico che risale agli indirizzi e dopo un po’ mi ha scritto che era l’id di un gruppo Telegram, un social network straniero che non prevede l’amministratore dei gruppi e dove trova spazio ogni tipo di contenuto. A quell’id corrispondeva un gruppo chiamato “lo spirito di Wen”, che richiedeva l’autorizzazione per entrare. Gli ho mandato la foto di Zhang e in meno di dieci minuti il mio ingresso è stato approvato.

Feng Kai ha abbassato il finestrino e mi ha chiesto se il giorno seguente avrei avuto bisogno di lui. Gli ho risposto di venire da me, più eravamo e prima avremmo fatto

Nel gruppo c’erano circa quattrocento persone che parlavano solo di Xiao Wen e si scambiavano foto della loro vita con la bambola gonfiabile che aveva il suo aspetto. Alcuni la portavano a fare un picnic in campagna, altri a mangiare un gelato in un centro commerciale, altri ancora le compravano vestiti in una boutique. A giudicare dagli scambi di messaggi, c’era gente di ogni angolo della Cina. “Maledizione!”, ha esclamato Feng Kai. “Xiao Wen non sa neanche di essere una celebrità su internet”. Gli ho raccomandato di non dirle nulla perché nessuno è in grado di sostenere una situazione del genere e prima avremmo dovuto osservare le dinamiche di questo gruppo. Continuavano a entrare persone e alla fine della giornata ce n’erano undici in più.

L’utente Frankenstein era particolarmente attivo. Di tanto in tanto metteva ordine nelle discussioni, forniva tutorial su come prendersi cura delle bambole, vendeva vestiti e prodotti per la pelle. Ma principalmente forniva tutte le informazioni personali su Xiao Wen. Alle nove di sera, Frankenstein ha condiviso un link che rimandava a una chat in diretta, a pagamento. Gli ho dato 38 yuan e sono entrato. Si vedeva Xiao Wen in pigiama con una maschera di bellezza sul viso che guardava il telefono dal divano. “Cazzo!”, ha commentato Feng Kai. “Non c’è niente di più perverso che comprarsi una bambola con le sembianze di Xiao Wen e guardarci insieme la sua diretta in streaming”. Poteva essere peggio di così e ho mandato un messaggio su WeChat a Xiao Wen chiedendole se era a casa. Quando mi ha risposto di sì, le ho chiesto di alzare le braccia. Un istante dopo l’immagine di Xiao Wen che alzava le braccia è apparsa nella diretta streaming. L’ho chiamata immediatamente e le ho detto di fare i bagagli, di uscire da quella casa e, soprattutto, di non cambiarsi lì dentro. Mi ha chiesto il perché ma le ho risposto di non fare domande, le avrei spiegato tutto una volta tornato a Pechino.

Ho comprato i biglietti per quella sera stessa e, appena atterrati, ho preso un taxi con Feng Kai e siamo andati a casa sua. Xiao Wen abitava in un vecchio condominio di Jiuxianqiao e ci aspettava al cancello per portarci nel suo appartamento. Avevo con me una torcia potente e ho cominciato a controllare ovunque, ma dai mobili alle fioriere tutto sembrava a posto. Proprio quando stavo per uscire ho notato uno strano riflesso provenire da un altoparlante che era sul tavolino da toilette del salotto. Era uno smart speaker con un foro sulla scocca di plastica. Chiaramente qualcuno ci aveva messo le mani: nel foro ho trovato una microcamera. Ho chiesto a Xiao Wen dove l’aveva comprato e lei mi ha risposto di averlo vinto. Un paio di mesi prima aveva ricevuto un messaggio dalla compagnia telefonica China Mobile che la informava del premio. Aveva pensato a una truffa, ma qualche giorno dopo aveva ricevuto un pacco che effettivamente conteneva l’altoparlante. Una volta capito che non le chiedevano dei soldi l’aveva acceso e aveva cominciato a usarlo. Certo non si aspettava che dentro ci fosse una telecamera.

Xiao Wen voleva denunciare il numero di telefono da cui aveva ricevuto il messaggio di China Mobile, ma le ho spiegato che sarebbe stato inutile. In genere sono numeri falsi da cui la polizia non è in grado di rintracciare nessuno. Ho riaperto il gruppo Telegram, ma mi sono accorto che c’erano state delle modifiche e nessuno poteva più comunicare. Ho contattato Frankenstein per chiedergli cosa stava succedendo, ma mi ha ignorato. Sono tornato a scorrere i vecchi messaggi della chat e ho notato diversi selfie e foto di viaggio di Xiao Wen, alcuni dei quali erano anche usati come emoticon. Di certo quelle immagini non erano state riprese dalla telecamera in salotto. Ho chiesto a Xiao Wen di controllare il suo telefono. Dalle informazioni generali ho visto che era collegato a un iPhone8 e, anche se Xiao Wen non ne aveva mai usato uno, le foto erano scaricate lì.

Quando Feng Kai ha chiamato la polizia, era già buio. Abbiamo accompagnato Xiao Wen in commissariato per la denuncia e ci siamo seduti nei giardinetti di fronte a fumare

Le ho detto di scollegarsi, rimuovere l’iPhone8, poi cambiare username e pass­word. Negli ultimi tempi aveva notato qualcosa di strano nei dintorni? Mi ha detto di no, viveva in quel condominio da anni e le persone che incontrava abitualmente erano carine e disponibili. In genere lasciava l’immondizia fuori della porta per buttarla quando usciva, ma spesso qualcuno lo faceva prima di lei. Sono andato sul pianerottolo e ho notato una telecamera. Xiao Wen mi ha spiegato che l’aveva installata il suo dirimpettaio per scoraggiare eventuali furti. Abbiamo chiesto la memory card con le registrazioni video di una settimana e insieme a Feng Kai abbiamo passato tutto il pomeriggio a guardarle.

Ho scoperto che un uomo con occhiali da sole, felpa, cappuccio e mascherina si recava ogni giorno alla porta di Xiao Wen per prendere la sua immondizia. Feng Kai mi ha domandato cosa cercasse quella persona nella spazzatura di Xiao Wen. “Devi capire”, gli ho spiegato, “che le ricevute delle consegne e le confezioni degli acquisti contengono moltissime informazioni. Conoscere bene la spazzatura di una persona equivale a conoscerne tutti i segreti”. “Non ci posso nemmeno pensare”, ha commentato Feng Kai. “È troppo spaventoso”. Gli ho fatto notare che, anche se eravamo a un piano alto, quella persona non prendeva mai l’ascensore. Doveva vivere nello stesso palazzo, probabilmente a pochi piani di distanza. Feng Kai è andato a controllare il piano di sopra e io quello di sotto per vedere se c’erano telecamere di sorveglianza.

Appena sceso mi sono imbattuto in qualcuno che usciva dalla porta proprio in corrispondenza dell’appartamento di Xiao Wen. Aveva un volto familiare: “Frankenstein?”. L’uomo è rimasto un momento interdetto, e ha fatto un passo indietro per rientrare nell’appartamento, ma sono stato abbastanza veloce da bloccare la porta e gridare a Feng Kai di raggiungermi. L’uomo non era molto forte e sono riuscito ad aprire la porta proprio quando è arrivato Feng Kai. Siamo entrati nell’appartamento: era ordinato e pulito e c’era un forte odore di disinfettante. Nella scarpiera c’erano quattro o cinque paia di scarpe da donna. Ho guardato in alto e sono rimasto sconvolto. Sul soffitto era disegnata la pianta a grandezza naturale dell’appartamento di Xiao Wen.

Xiao Wen abitava in un vecchio condominio di Jiuxianqiao e ci aspettava al cancello per portarci nel suo appartamento. Avevo con me una torcia potente e ho cominciato a controllare ovunque, ma dai mobili alle fioriere tutto sembrava a posto

Ho chiesto a Feng Kai di andare in camera da letto a dare un’occhiata e l’ho sentito esclamare: “Cazzo!”. L’ho seguito spingendo l’uomo con gli occhiali da sole e ho visto la bambola gonfiabile con le sembianze di Xiao Wen distesa sul letto, ho guardato in alto e c’era un’altra Xiao Wen legata al soffitto. Improvvisamente l’uomo si è divincolato ma, come ho detto, non era forte. Non ci ho messo molto a riprenderlo e a immobilizzarlo con il mio ginocchio sul pavimento. Feng Kai nel frattempo aveva trovato il suo tesserino sul tavolo: l’uomo si chiamava Wu You e lavorava come programmatore per un’azienda di internet nel quartiere Wangjing. Nel suo computer Feng Kai aveva trovato la cartella “Baciare Wen” piena di foto, video e diari di Xiao Wen. Nei diari erano appuntati meticolosamente i pasti e gli spostamenti della ragazza.

Ho poi notato che la stanza da letto di Wu You era di circa 15 metri quadrati, ma c’erano due grossi armadi. Feng Kai ha aperto quello vicino al letto e ci ha trovato una fila di Xiao Wen in piedi. In totale ce n’erano sette, fatte con materiali che andavano dal vinile al lattice al silicone. Una volta scoperto, Wu You ha smesso di mentire. Ci ha raccontato che era vicino di casa di Xiao Wen da circa tre anni. Una volta, tornando a casa stanco dopo aver fatto gli straordinari, era arrivato all’ascensore mentre si stava chiudendo. Dentro c’erano cinque persone, ma Xiao Wen gli aveva tenuto le porte aperte. In seguito aveva scoperto che viveva proprio nell’appartamento sopra il suo.

Wu You ha raccontato di essere un tipo introverso, che ancora non si era fatto nessun amico nonostante vivesse a Pechino ormai da cinque anni. Si era innamorato di Xiao Wen, ma nella sua mediocrità non si sentiva all’altezza e non osava dirglielo. Così si era inventato questo modo per stare con lei. Feng Kai a questo punto l’ha interrotto: “Amico, la tua perversione non ha limiti. Hai trasformato Xiao Wen in una bambola gonfiabile e hai diffuso le sue informazioni personali in rete!”. Wu You non gli ha risposto. Ha chinato il capo e ha cominciato a darsi dei colpi. Si è messo a piangere. Feng Kai mi ha guardato, si aspettava una reazione. Gli ho ripetuto che gli uomini sono veramente complicati.

Quando Feng Kai ha chiamato la polizia, era già buio. Abbiamo accompagnato Xiao Wen in commissariato per la denuncia e ci siamo seduti nei giardinetti di fronte a fumare. Quando è uscita, ci ha guardato senza salutarci. Feng Kai voleva raggiungerla ma l’ho fermato: “Dalle tempo, ha bisogno di stare da sola”.

Una settimana più tardi il telefono ha squillato proprio mentre mi trovavo al bar con Feng Kai: era Xiao Wen. Si era licenziata, aveva cancellato il suo profilo di videoblogger e voleva tornare al suo paese. Avrebbe provato a diventare un’insegnante di danza, visto che in passato l’aveva studiata. Mi ha ringraziato e ha saldato il mio onorario inviandomi altri 30mila yuan. Le ho risposto che era il mio lavoro e non c’era bisogno di ringraziarmi. Poi ho accettato il pagamento. Feng Kai mi ha rimproverato di essere troppo attaccato ai soldi. Gli ho spiegato che bisogna lasciar andare le persone, a prescindere da quanto sia grave quello che gli è successo. E che una volta ricevuti i soldi, il caso è chiuso. Feng Kai ha commentato che stavo solo facendo il fico. Dopo un po’ ha sospirato e mi ha detto: “Gli uomini sono proprio complicati”. ◆ cag

Questa storia si basa su notizie e fatti reali.

Piao Fei è lo pseudonimo di uno scrittore cinese che preferisce restare anonimo. Di lui sappiamo che probabilmente vive a Pechino ed è specializzato in true crime, vita urbana e leggende metropolitane. La sua rubrica su MOJO, un’importante pagina letteraria su WeChat, ha un milione e 680mila follower. Questo racconto è uscito con il titolo Street hunter 01 . La traduzione è di Cecilia Attanasio Ghezzi.

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it

Questo articolo è uscito sul numero 1543 di Internazionale, a pagina 102. Compra questo numero | Abbonati