Un gruppo di giovani dispiega su una collina una lunga bandiera blu e gialla. È il 22 gennaio e il tempo è perfetto: gelo e sole. “Nju-Jork vi dà il benvenuto nel giorno dell’unità nazionale dell’Ucraina!”, gridano verso la telecamera. Proprio accanto passa la linea del fronte, oltre la quale c’è quella che dal 2014 è l’autoproclamata repubblica di Donetsk, controllata dai separatisti filorussi.
Perché nell’est dell’Ucraina ci sia una cittadina chiamata Nju-Jork è difficile stabilirlo. Il villaggio fu fondato alla fine dell’ottocento da famiglie di protestanti tedeschi a cui era stato permesso di stabilirsi nella zona. Forse furono loro a scegliere il nome. A quanto pare, uno dei coloni aveva visitato gli Stati Uniti ed era rimasto così colpito da New York da volerne fondare una sua versione
A prima vista Nju-Jork è la tipica e piuttosto deprimente cittadina del Donbass: la maggior parte delle fabbriche ha chiuso prima della guerra del 2014. L’apice dello sviluppo lo raggiunse all’inizio del novecento, mentre il declino arrivò con la rivoluzione russa. Gli ultimi tedeschi furono cacciati per ordine di Stalin nel 1941, quando la Germania nazista attaccò l’Unione Sovietica. Con la guerra fredda il nome Nju-Jork fu cambiato in Novhorodske. Il toponimo originale è stato ripristinato solo nel 2021, ma della vecchia cittadina è rimasto ben poco: un mulino che cade a pezzi, una drogheria e la palazzina degli uffici dell’ultima fabbrica ancora attiva.
Le gente del posto, però, è ancora legate ai vecchi ricordi. “Nella mia famiglia parliamo ancora di quando mio nonno usciva per comprare il pane e diceva che stava andando a New York”, racconta Kristina Ševčenko, 28, insegnante e attivista, coinvolta nella gestione di un sito d’informazione locale: il Newyorker.city. Dall’alto della collina che sovrasta la cittadina, Nadija Hordijuk, anche lei insegnante e attivista, mi indica i villaggi vicini: “A sinistra c’è Toretsk, oltre c’è la linea del fronte. Vede quelle case alte? È il quartiere di Stroiteli. Fa già parte di Horlivka”.
Horlivka è lontana circa cinque chilometri, e un tempo ci lavoravano molte persone di Nju-Jork. Poi nel 2014 è cambiato tutto. La “primavera russa” nel Donbass ha portato la guerra. L’esercito ucraino e i battaglioni di volontari di Kiev sono riusciti a riprendere il controllo di gran parte della regione. Ma Horlivka e Donetsk sono rimaste nelle mani dei filorussi.
Più tardi, in un caffè, gli abitanti di Nju-Jork raccontano i loro problemi quotidiani: la disoccupazione, la mancanza di acqua corrente. Negli ultimi anni molti hanno deciso di andarsene, e alcuni hanno scelto la Polonia. I giovani che sono rimasti non hanno nessun posto dove incontrarsi.
Ma la possibile aggressione russa è sulla bocca di tutti. “Forse non è bello sentirlo dire, ma noi alla guerra ormai ci siamo abituati”, dice Kristina. Poi aggiunge di fidarsi dell’esercito ucraino, anche se ultimamente, ammette, ha notato una certa tensione tra i militari.
Con la valigia pronta
La sera, su un treno locale, sento parole simili da Jelena: “Non c’è niente di bello nel fatto che siamo abituati alla guerra. Ma è la verità. Nei primi anni di combattimenti avevamo paura, temevamo un conflitto di grandi dimensioni. Ma oggi certe notizie non ci fanno più nessun effetto. Nel 2014 andavo a lavorare a Donetsk tra gli spari dei fucili. Ultimamente la situazione è tranquilla”.
Matviej, 17 anni, ammette che da circa un mese i colpi di artiglieria si sentono solo occasionalmente. Ma poi aggiunge che in guerra il silenzio è inquietante: ti aspetti sempre che da un momento all’altro succeda qualcosa. La casa di Matviej è ai margini della cittadina, vicino alle postazioni ucraine. “Se arriveranno i russi dovrò scappare. Ma non me ne voglio andare”, dice convinto. E ci racconta della sua battaglia per far costruire un campo sportivo con l’erba sintetica.
“Qui ci sentiamo più sicuri rispetto agli abitanti di altre regioni dell’Ucraina. In fondo è qui che è stanziato il nostro esercito”, dice Volodymyr Jemec, che vive nella città mineraria di Toretsk. Ci siamo incontrati per la prima volta nella primavera 2021, in occasione della precedente escalation militare nella zona. La Russia aveva ammassato circa centomila soldati alla frontiera. “Oggi diamo consigli ad amici e conoscenti di altre regioni del paese che ci chiamano per chiederci cosa fare in caso di guerra”, dice Volodymyr. Poi, ridendo, racconta che qui tutti tengono pronta una valigia con l’essenziale, in caso scoppi un nuovo conflitto.
Come gli altri residenti di Nju-Jork e Toretsk, nel 2014 e nel 2015 Volodymyr è sopravvissuto al fuoco dell’artiglieria pesante. Ricorda che a volte era impossibile uscire di casa per giorni. “Se si combatterà con mitragliatori, granate o mortai, sapremo di che si tratta. I nostri si difenderanno e noi li aiuteremo. Se però arriverà la guerra totale, con l’artiglieria pesante e gli aerei, allora Toretsk e Horlivka saranno cancellate”, dice.
Provocazioni e reazioni
Volodymyr, come tutti i suoi amici, segue con attenzione le notizie sulla crisi in corso. È felice del sostegno militare degli Stati Uniti e del Regno Unito, e non risparmia critiche alla Germania. Gli ucraini sono particolarmente preoccupati per le parole di Konstantin Gavrilov, rappresentante del ministero degli esteri russo, il quale ha affermato che la Russia reagirebbe immediatamente se ci fossero provocazioni ai danni dei cittadini russi del Donbass. Secondo Kiev, la Russia ha già rilasciato più di ottocentomila passaporti a cittadini ucraini che vivono nelle autoproclamate repubbliche nell’est del paese.
Il 24 gennaio i giovani di Nju-Jork hanno pubblicato un appello video per chiedere il sostegno dell’opinione pubblica internazionale. “Vogliamo vivere nella New York ucraina!”, dicono nel filmato.
Vicino al punto panoramico sulla collina c’è un vecchio cimitero. Grazie al lavoro dei giovani che l’hanno rimesso in sesto è possibile vedere diverse lapidi risalenti all’inizio del novecento. Le iscrizioni sono in tedesco. “Fino allo scoppio della guerra non prestavamo troppa attenzione alla nostra regione, alla bellezza della natura. Ce ne siamo accorti solo quando la minaccia di perdere questa terra è diventata reale”, dicono Nadija e Volodymyr, guardando verso Horlivka. ◆ dp
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Questo articolo è uscito sul numero 1445 di Internazionale, a pagina 18. Compra questo numero | Abbonati