È l’alba nel centro per la cura dell’mpox all’ospedale di Nyiragongo, a nord di Goma, nella Repubblica Democratica del Congo (Rdc). I medici sono già al lavoro per esaminare, isolare e trattare i pazienti.
Il 14 agosto l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) ha dichiarato l’mpox, una malattia virale in passato conosciuta come monkeypo x, vaiolo delle scimmie, un’emergenza di salute pubblica internazionale, dopo che gli Africa centres for disease control and prevention (Africa Cdc) avevano diramato l’allerta. L’Organizzazione mondiale della sanità ha comunque precisato il 20 agosto che l’mpox non è il “nuovo covid-19” perché ci sono gli strumenti per contenere l’epidemia. Per gli operatori sanitari dell’Rdc – dove l’ultima epidemia di mpox è cominciata nel 2022 – le sfide sono all’ordine del giorno. Un’équipe si occupa dei malati in un’area separata dal resto dell’ospedale, dove sono state allestite delle tende per isolare chi è stato infettato da questo virus molto contagioso.
L’mpox, identificato per la prima volta nel 1958 nelle scimmie, si chiama così dal 2022, per evitare ogni tipo di stigma. È endemico in molte aree dell’Africa centrale e occidentale, ed è causato da un virus della stessa famiglia di quello che provocava il vaiolo, malattia ormai eradicata. Nei casi più gravi l’mpox può essere mortale.
Anche se nell’Rdc le epidemie sono frequenti, gli esperti ritengono che il recente aumento dei casi sia dovuto a un nuovo ceppo, clade 1b, che si sta diffondendo più rapidamente e in una zona più ampia. L’Oms ha riscontrato contagi in tredici paesi africani, in Svezia, in Pakistan e nelle Filippine. Secondo gli Africa Cdc, nel 2024 il numero di persone infettate è aumentato del 160 per cento rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso. Nell’Rdc la malattia ha colpito tutte le 26 province del paese, per un totale di 16.700 casi, che hanno provocato 570 decessi da gennaio.
Il direttore sanitario dell’ospedale di Nyiragongo, Badiambila Mulumba, spiega che la sua struttura ha cominciato a occuparsi dell’mpox nel giugno 2024 e da allora ha accolto 278 pazienti.
Rachel Maguru è medica all’ospedale provinciale del Nord Kivu, un’altra struttura pubblica nel centro di Goma che accoglie malati di mpox. Racconta che molte persone vanno all’ospedale solo quando l’infezione si è manifestata con sfoghi cutanei. “Non se ne accorgono prima. Capiscono di aver contratto l’infezione solo quando sulla pelle si formano delle bolle”, dice preoccupata Maguru. In ogni caso, spiega, “abbiamo superato l’ebola e il covid-19. Affronteremo l’mpox con queste esperienze alle spalle”.
Il Nord Kivu ha ospitato un centro per la cura per l’ebola durante la decima ondata di quell’epidemia, che tra il 2018 e il 2020 ha causato più di duemila morti. Gli operatori sanitari hanno lavorato nelle condizioni più estreme, perciò molti sono convinti di poter affrontare anche l’mpox.
A differenza del passato, però, le autorità congolesi non hanno imposto misure restrittive o di isolamento. A Goma le attività procedono come sempre, cosa che secondo alcuni potrebbe favorire i contagi. “Ho saputo che l’mpox è stato dichiarato emergenza sanitaria internazionale e sono preoccupato, perché il nostro sistema sanitario è stato indebolito dall’ebola e dal covid-19. Dobbiamo fare il possibile per limitare le infezioni”, dice Hervé Murhula, venditore ambulante di 26 anni che vive a Goma.
Malattie tra gli sfollati
Merveille Uwezo, all’ultimo anno delle superiori, spera che l’epidemia non metta a rischio l’inizio del nuovo anno scolastico, a settembre. “Ho sentito parlare di questa malattia contagiosa sui social media. Ai tempi del covid-19 le lezioni sono state interrotte e ho paura che l’mpox possa compromettere il programma”, dice.
Secondo molti operatori sanitari e ong attive nel Nord Kivu c’è un enorme problema che potrebbe limitare la capacità di rispondere efficacemente all’epidemia: il conflitto che negli ultimi anni ha visto i ribelli del movimento M23 combattere per il controllo del territorio con l’esercito congolese e le milizie di autodifesa locali. Gli scontri hanno causato la morte e la fuga di un gran numero di persone, oltre a ostacolare gli spostamenti delle comunità che vivono nelle aree interessate dalle violenze.
Dal 2022 la regione deve fare i conti con un’epidemia di colera scoppiata nei campi per sfollati interni vicino a Goma e provocata dalle precarie condizioni igieniche. In altre parti del paese è in corso un’epidemia di morbillo. E ora stanno aumentando i casi di mpox.
La situazione preoccupa l’ong Medici senza frontiere (Msf), che affianca il governo nella lotta contro il virus nelle province del Nord Kivu, del Sud Kivu e dell’Equatore. Msf dice di aver trattato più di 1.100 casi, nonostante la complessa situazione nell’est dell’Rdc, dovuta all’emergenza umanitaria e alla guerra.
Curare i sintomi
Nel centro per l’mpox di Nyiragongo, Amina Upendo, quarant’anni, si prende cura della figlia convalescente. Yvette, dieci anni, è stata ricoverata la settimana scorsa. Upendo dice di aver faticato a capire che si trattava dell’mpox, perché alcuni sintomi ricordano quelli della malaria. “Aveva la febbre alta e mal di testa”, racconta. “Due giorni dopo le è venuta un’eruzione cutanea. A quel punto, su consiglio dei vicini, siamo venute qui”.
Anche quando le persone decidono di rivolgersi ai medici, non sempre i farmaci sono disponibili. Nzayinambaho Theophile, operatore sanitario all’ospedale Nyiragongo, ammette che a volte la carenza di scorte ritarda le cure. E in Rdc non sono disponibili terapie specifiche.
Anche se all’estero si sperimentano farmaci antivirali, nel paese africano questi medicinali non si trovano. Le autorità sanitarie congolesi hanno perciò adottato un protocollo che punta ad alleviare i sintomi. “Se hanno il mal di testa, gli diamo il paracetamolo. Se hanno problemi alla pelle, chiamiamo un dermatologo. Così abbiamo ottenuto risultati soddisfacenti”, sostiene Maguru. Ma, se le scorte si esauriscono, mancano anche i farmaci di base.
Sul versante della prevenzione, esiste un vaccino (inizialmente sviluppato per il vaiolo) che può ridurre il rischio di contrarre l’mpox, ma non è ancora disponibile nell’Rdc. Alcuni esperti e leader africani denunciano le disuguaglianze nell’accesso ai vaccini e l’accaparramento fatto dai paesi occidentali, com’era successo durante la pandemia di covid-19.
Per questa epidemia di mpox il tasso di letalità (che indica quante persone sono morte tra quelle positive al virus) supera il 3,5 per cento, cosa che sta creando timori tra le organizzazioni della società civile nel Nord Kivu. Emmanuel Bitangalo, un attivista per il diritto alla salute, è preoccupato per la diffusione della malattia e le “gravi conseguenze” che potrebbe avere sulla vita del paese. Chiede alle autorità di mettere in atto un piano di risposta all’emergenza e di sensibilizzare l’opinione pubblica sulla malattia.
Il governo congolese però replica che si sta facendo tutto il possibile. Nel corso di una conferenza stampa il ministro della salute Roger Kamba ha dichiarato che il governo ha “attivato tutti i meccanismi necessari per identificare e curare i contagiati senza costi per il paziente”. Ha aggiunto che l’Rdc ha bisogno di tre milioni di dosi di vaccino per limitare la diffusione della malattia, sostenendo di averle già “ordinate”. Ma ha aggiunto che i vaccini sono “molto costosi” e ha chiesto una mano ai partner internazionali. Il 19 agosto ha fatto sapere che Belgio, Giappone e Stati Uniti hanno promesso di mandare migliaia di dosi.
Nel frattempo nel Nord Kivu le autorità congolesi, alle prese con il conflitto in corso e la crisi degli sfollati, non hanno ancora annunciato provvedimenti per contrastare l’epidemia.
“Le autorità devono definire e mettere in atto politiche concrete per la salute umana, animale e ambientale”, suggerisce Rodriguez Kisando, un esperto di salute pubblica. A suo parere, l’mpox – al pari delle epidemie precedenti – mostra il pessimo stato del sistema sanitario congolese che, come spesso succede in Africa, deve affrontare diverse sfide.
“Il corollario della guerra è che le persone sfollate rischiano di pagare il prezzo più alto per questa malattia, perché vivono in condizioni di estrema precarietà”, aggiunge Kisando. ◆ gim
L’mpox, conosciuto anche come monkeypox, vaiolo delle scimmie, è causato da un virus della stessa famiglia del vaiolo, ma meno pericoloso. Originariamente trasmesso da animali come scimmie e roditori, può passare anche da una persona all’altra. I sintomi includono febbre, mal di testa, gonfiori, mal di schiena e dolori muscolari. Quando la febbre scende, può svilupparsi un’eruzione cutanea, con pustole che dal viso si diffondono in altre parti del corpo. L’infezione può risolversi da sola in un tempo che va dai 14 ai 21 giorni. In alcuni casi può essere fatale, in particolare per categorie vulnerabili come i bambini piccoli.
L’mpox è più diffuso nei villaggi sperduti delle foreste dell’Africa centrale e occidentale, soprattutto nella Repubblica Democratica del Congo (Rdc). In queste aree si registrano ogni anno migliaia di infezioni e centinaia di decessi a causa della malattia, con i bambini sotto i quindici anni tra i soggetti più colpiti (in alcune province sono il 69 per cento dei casi). Al momento sono attivi diversi focolai nell’Rdc e in altri dieci paesi africani, causati da un ceppo del virus, clade 1b, individuato a giugno in una piccola città mineraria del Sud Kivu. Gli Africa centres for disease control and prevention hanno fatto sapere il 13 agosto che in tutto il continente i casi presunti sono più di 17mila. Sono stati registrati contagi anche in paesi dove la malattia non era presente, come Burundi, Ruanda, Uganda e Kenya. Bbc, New Scientist
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Questo articolo è uscito sul numero 1577 di Internazionale, a pagina 20. Compra questo numero | Abbonati