L’insurrezione armata nella provincia pachistana del Belucistan non è solo una questione di ordine pubblico, ma la manifestazione di decenni di fallimento statale, promesse non mantenute e politiche di sfruttamento. I vari governi che si sono succeduti hanno risposto alle recriminazioni dei beluci con la forza invece che con il dialogo, trattando un problema politico come se fosse puramente militare. Il risultato è stato un’intensificazione del conflitto, con attacchi sempre più sofisticati e violenti lanciati da vari gruppi ribelli. L’assalto al Jaffar express compiuto dall’Esercito di liberazione beluci (Bla), che il 12 marzo ha provocato la morte di 26 passeggeri e di 33 miliziani, è l’ultimo esempio di una crisi sempre più profonda che lo stato ha chiaramente gestito male. Il Belucistan è la provincia più grande e ricca di risorse del Pakistan, ma anche la più povera. Nonostante possieda buona parte delle riserve di gas e di minerali del paese, al territorio è stata sistematicamente negata la quota di sviluppo a cui avrebbe avuto diritto. Strade, scuole, ospedali e infrastrutture sono ancora oggi drammaticamente inadeguati e una parte considerevole della provincia è in condizioni di povertà estrema. Questa disparità economica è da sempre al cuore del risentimento dei beluci. Invece di rispondere a queste istanze legittime, però, lo stato ha preferito la via della repressione militare, delle sparizioni forzate e della soppressione del dissenso.
Qualsiasi tentativo dei leader beluci di ottenere una maggiore autonomia o un maggiore controllo sulle risorse è stato finora affrontato ricorrendo alla forza armata. Il pugno di ferro ha radicalizzato generazioni di giovani beluci, spingendoli verso la militanza in gruppi come il Bla, il Fronte di liberazione beluci (Blf) e l’Esercito repubblicano beluci (Bra), che oggi vedono nella violenza l’unico strumento per garantire i diritti della popolazione.
Uno degli esempi più lampanti della gestione sbagliata del malcontento nella regione è il corridoio economico Cina-Pakistan (Cpec), un progetto infrastrutturale da diversi miliardi di dollari che attraversa il Belucistan ma offre ben pochi benefici alla popolazione. Strade e porti sono costruiti rispondendo agli interessi cinesi e le forze di sicurezza sono schierate a protezione degli investimenti stranieri, che spesso sono infatti presi di mira dai ribelli. Intanto i beluci continuano a essere emarginati nella loro stessa provincia. Invece di usare il Cpec come un’opportunità per integrare la provincia nell’economia nazionale, il governo l’ha trattato come un progetto legato alla sicurezza, intensificando il risentimento che alimenta l’insurrezione. E senza voler dialogare con i legittimi leader politici locali, Islamabad ha sostenuto politici fantoccio privi di credibilità e influenza. Questo vuoto politico ha permesso ai gruppi di ribelli di porsi come i veri rappresentanti delle aspirazioni della popolazione.
Al tempo stesso, le tattiche di controinsurrezione dell’esercito, caratterizzate da omicidi extragiudiziali e sparizioni forzate, hanno trasformato il conflitto in un ciclo di violenza in cui ogni atto repressivo da parte dello stato ha spinto un numero crescente di beluci tra le fila degli insorti.

Campanello d’allarme
L’assalto al Jaffar express dovrebbe essere un segnale d’allarme per lo stato pachistano. L’attacco, che si è concluso con uno scontro mortale con le forze di sicurezza, è stato un chiaro avvertimento per le autorità. Ha dimostrato che gli insorti sono disposti a intensificare la loro lotta, anche a costo di uccidere dei civili. Cosa ancora più importante, ha evidenziato l’incapacità del governo di contenere l’insurrezione nonostante anni di operazioni militari. Islamabad ha puntato il dito contro l’Afghanistan e l’India, che accusa di sostenere i ribelli, sottraendosi ancora una volta alle sue responsabilità invece di affrontare i problemi reali. Nessuna potenza straniera può alimentare un’insurrezione a meno che tra la popolazione non ci sia già un profondo malcontento.
La questione del Belucistan è una delle più rilevanti sfide interne del Pakistan, e una soluzione sostenibile richiederebbe un approccio basato sulla rappresentanza democratica, la giustizia, lo sviluppo e un dialogo costruttivo, soprattutto perché l’alienazione politica alimenta il disordine. Garantire elezioni libere senza interferenze dell’esercito è fondamentale per ripristinare la fiducia e offrire alla provincia una vera classe dirigente: un processo democratico credibile aumenta la capacità dei rappresentanti di occuparsi delle proteste in modo efficace.
Le violazioni dei diritti umani, comprese le sparizioni forzate e gli omicidi extragiudiziali, intensificano il risentimento. Lo stato deve mettere fine a questi abusi, chiamare i colpevoli a rispondere delle loro azioni e garantire processi giusti. Altrimenti gli sforzi per la riconciliazione non saranno credibili. Inoltre, nonostante le sue enormi risorse, il Belucistan continua a essere povero a causa della corruzione. Politici, funzionari e appaltatori sottraggono una porzione significativa dei fondi pubblici. Così per i progetti reali resta poco. Amministrazione trasparente, supervisione indipendente e monitoraggio da parte della comunità sono fondamentali per garantire che lo sviluppo vada a vantaggio della popolazione.
Per la soluzione del conflitto è fondamentale il dialogo, ma dev’essere credibile e inclusivo. Coinvolgere rispettati leader locali può agevolare l’avvio di negoziati efficaci. Infine la riconciliazione dev’essere concreta, non di facciata, e basarsi sul riconoscimento delle ingiustizie, la liberazione dei prigionieri politici e il reintegro degli ex dissidenti nella società. La stabilità e il futuro economico del Pakistan dipendono dalla disponibilità di Islamabad a trattare il Belucistan come un partner alla pari attraverso la giustizia, lo sviluppo e l’inclusione democratica. ◆ gim
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Questo articolo è uscito sul numero 1606 di Internazionale, a pagina 34. Compra questo numero | Abbonati