Quando la notizia della morte del monaco vietnamita Thich Nhat Hanh si è diffusa in tutto il mondo, ho sentito dire da molte più persone di quante mi sarei aspettata che quell’uomo le aveva ispirate con un discorso, un libro, un’idea, un esempio. Mi ha ricordato l’enorme influenza che il buddismo ha avuto in occidente come insieme di idee che si sono diffuse ben oltre i confini di un gruppo buddista o di chi lo pratica. Si potrebbe pensare al buddismo come all’affluente di un nuovo fiume di idee che scorre attraverso l’occidente, dal quale molti hanno bevuto senza sapere da dove provenissero le sue acque.

Thich Nhat Hanh ha fondato centri di meditazione in quattro continenti e ha pubblicato decine di libri. È stato uno dei grandi maestri arrivati dall’Asia nel novecento, insieme ai monaci zen dal Giappone e ai rinpoche (leader spirituali) tibetani. Si è distinto perché è venuto in occidente come figura esplicitamente politica, schierandosi contro la guerra in Viet­nam (sebbene anche l’opposizione del dalai lama all’occupazione cinese del Tibet sia certamente politica). La sua morte mi è sembrata non una fine, ma la testimonianza del fatto che nel secolo scorso è nato qualcosa di molto più importante di questo grande maestro e che continua a diffondersi.

Dalle tradizioni che enfatizzano la gentilezza e l’uguaglianza, che praticano la non violenza e criticano il capitalismo, sono emerse nuove idee

Non siamo più quelli che eravamo un tempo. Dal buddismo e da altre tradizioni che enfatizzano la gentilezza e l’uguaglianza, che praticano la nonviolenza e guardano con occhio critico il capitalismo, sono emerse nuove idee, e quella che una volta ho sentito definire da Paul Haller, ex abate del San Francisco zen center, come “la pratica della consapevolezza”. Queste idee costituiscono un cambiamento in ciò che chiediamo a noi stessi e agli altri, tanto profondo quanto sottile.

Per capirlo bisogna tornare a cinquant’anni fa, quando varie forme di crudeltà e predominio, dalle punizioni corporali nelle scuole pubbliche alla violenza domestica, erano ampiamente accettate. Negli ultimi anni a molti di noi è capitato di ricordare vecchi romanzi, film, perfino canzoni, e scoprire che non accettiamo più la loro noncurante crudeltà. Ovviamente le nuove idee possono essere corrotte e certi leader carismatici, compresi quelli buddisti, hanno abusato del loro potere, ma ho trovato divertente scoprire che i tentativi delle aziende di sfruttare la consapevolezza di sé attraverso la meditazione a volte si ritorcono contro di loro, rendendo i dipendenti meno tolleranti nei confronti delle politiche più dannose. Questo fiume di nuove idee è formato da molti affluenti: il femminismo, il movimento contro il razzismo, l’ambientalismo, e ha tra i suoi princìpi basilari l’idea che tutto è connesso. Naturalmente le cose non sono cambiate per tutti. Negli Stati Uniti, i nativi e le persone non bianche sono lontane dall’aver raggiunto l’uguaglianza. Ma questo non significa che le idee e gli ideali non contino, e la reazione violenta della destra è contro qualcosa che considera rivoluzionario e minaccioso.

Thich Nhat Hanh è morto il 22 gennaio. Il 25 gennaio la Save the redwoods league, un’organizzazione statunitense che si occupa di tutelare le sequoie, ha annunciato di aver trasferito i diritti su una zona di 212 ettari di foresta di sequoie all’Intertribal Sinkyone wilderness council, un consorzio di dieci gruppi nativi della costa californiana. Il luogo che era stato chiamato Andersonia West “sarà di nuovo conosciuto come Tc’ih-Léh-Dûñ, che nella lingua sinkyone significa ‘posto della corsa dei pesci’”, dice il comunicato stampa. Per rendervi conto delle dimensioni di questo cambiamento, dovete sapere che la Save the red­woods league fu fondata 104 anni fa da alcuni ricchi bianchi sostenitori dell’eugenetica.

Il 17 gennaio, in occasione del Martin Luther King day, la professoressa di diritto Joyce Alene ha twittato: “L’arco morale dell’universo non si piega da solo”. A piegarlo sono le persone – famose, potenti, sconosciute, umili – spesso con gesti impercettibili o troppo piccoli per essere misurati, ma che si sommano. Negli anni novanta ho visto il movimento ambientalista passare lentamente dalle sue fantasie su una “natura vergine” al riconoscimento che quasi ogni luogo della terra era o è la patria di indigeni, e quindi la tutela dell’ambiente e i diritti umani non sono questioni separate (e che accedere alla natura, avere aria e acqua pulite è anche questione di giustizia razziale).

Le idee che hanno alimentato il cambiamento provenivano dalle lotte degli indigeni e dei loro intellettuali insieme a studiosi e attivisti. Queste lotte sono tutt’altro che finite, ma le premesse con cui molti di noi agiscono sono diverse. Di solito le battaglie cominciano con una nuova consapevolezza e nuove narrazioni. E finiscono con nuove leggi e cose concrete come la proprietà della terra. Quest’anno, tra i cambiamenti c’è stato il ritorno di una foresta secolare nelle mani degli indigeni. ◆ bt

REBECCA SOLNIT
è una scrittrice e saggista statunitense che vive a San Francisco. Il suo ultimo libro uscito in Italia è Ricordi della mia inesistenza (Ponte alle Grazie 2021). Questo articolo è uscito sul Guardian.

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Questo articolo è uscito sul numero 1448 di Internazionale, a pagina 40. Compra questo numero | Abbonati