“La foto è stata scattata di sabato”, dice Frank De Winne. “Si capisce dal fatto che l’astronauta sta passando l’aspirapolvere. Sulla Stazione spaziale internazionale il sabato è giorno di pulizie”. Ci troviamo in una riproduzione a grandezza naturale del modulo Columbus, largo 4,5 metri e lungo sette, in pratica la stanza europea della Stazione spaziale internazionale (Iss). È evidente che gli astronauti non possono sottrarsi a mansioni terra terra, nemmeno a quattrocento chilometri di altezza. “Sono come le formiche operaie. Portano a termine i compiti che gli sono affidati”, afferma De Winne. E lui lo sa bene. Sessantadue anni, originario di Gand, in Belgio, è stato due volte sulla stazione spaziale. Nel 2009 ci ha passato sei mesi come comandante dell’equipaggio. Oggi è il capo del Centro europeo per gli astronauti (Eac) dell’Agenzia spaziale europea (Esa), responsabile della formazione della prossima generazione di astronauti.
Dopo quell’esperienza, che effetto fa trascorrere del tempo in una riproduzione dell’Iss, soggetta alla forza di gravità? “Tornare a volare: quello mi farebbe un certo effetto”, risponde. “Se me lo chiedessero partirei domani. Ora però tocca ai giovani!”.
Nuove leve
La riproduzione del modulo Columbus si trova in un grande magazzino sul retro di un edificio anonimo, incastrato tra l’aeroporto di Colonia, in Germania, e alcune caserme dell’esercito tedesco, come s’intuisce dal rumore degli spari che si sentono nel parcheggio.
Fatta eccezione per una testa in bronzo di Jurij Gagarin e una fila di bandiere, all’esterno non ci sono molti indizi del fatto che qui ci si occupa di viaggi spaziali. Eppure è proprio in questo edificio che il 3 aprile cinque persone hanno cominciato un percorso che potrebbe portarle sulla Luna.
Alla fine del 2022 Raphaël Liégeois, un neuroscienziato belga, l’ingegnera e pilota francese Sophie Adenot, l’astrofisica britannica Rosemary Coogan, il medico militare svizzero Marco Sieber e l’ingegnere spagnolo Pablo Álvarez Fernández sono stati scelti per partecipare a questa esperienza. Insieme a undici riserve, sono gli unici rimasti dopo una gara a eliminazione composta da prove fisiche, mentali e cognitive alla quale si erano iscritte più di ventimila persone. La selezione si è basata soprattutto sulla valutazione del quoziente intellettivo, della resistenza allo stress e della capacità di lavorare in squadra. Dal 1978 è la terza volta che l’Esa lancia un appello per reclutare nuove leve per il lavoro più esclusivo del mondo.
Per il momento sono ancora ascan, candidati astronauti, come si dice in gergo. Tra un anno avranno completato la loro formazione di base e riceveranno il diploma ufficiale. Poi dovranno aspettare che gli sia affidata una missione per la quale dovranno seguire un addestramento specifico di almeno un anno. Hanno una certezza: uno alla volta, entro il 2030 voleranno tutti verso l’Iss, il che significa che per qualcuno di loro l’addestramento potrà durare anche sei anni. “E poi, forse, andranno sulla Luna”, dice De Winne, in piedi accanto a un modellino di Orion, la nuova capsula lunare della Nasa, l’agenzia spaziale statunitense, di cui l’Esa realizza una parte fondamentale. “Speriamo che sulla Luna, dopo il 2030, passeggino degli astronauti europei. Se succederà, apparterranno a questa nuova generazione”.
Prima, però, bisogna acquisire le conoscenze di base. Chi crede che per abituarsi a volare su un razzo gli astronauti siano fatti girare in qualche macchina fino a stordirsi, resterà deluso: non funziona esattamente così.
“Entrano un paio di volte in una centrifuga per essere sottoposti a un’esperienza che può farli svenire. Allenarsi, però, è impossibile. Non è che se lo fai dieci volte diventi più resistente”, spiega Rüdiger Seine, responsabile dell’addestramento spaziale dell’Esa. Anche il resto del programma di allenamento fisico è relativamente alla portata di tutti.
“Non vogliamo atleti, ma persone in salute e in discreta forma. Non devono essere troppo allenati, perché in assenza di gravità i muscoli molto sviluppati possono rappresentare uno svantaggio”.
Quello che fanno più spesso è tenere il naso sui libri. Nel primo anno di corso i candidati astronauti passano molto tempo in classe per le lezioni teoriche.
“Le persone che arrivano da noi sono molto istruite e ben preparate, soprattutto nel loro campo”, osserva il francese Hervé Stevenin, uno degli istruttori dell’Eac. “Il programma di studi mira ad armonizzare le loro conoscenze. Gli ingegneri, per esempio, apprendono conoscenze mediche, e i medici studiano ingegneria. Oltre ai vari aspetti della navigazione spaziale. Cinque giorni a settimana, otto ore al giorno: è una vita simile a quella di uno studente, ma senza le feste. La maggiore sfida è lo studio costante, senza sosta. Non c’è quasi tempo libero, nemmeno nel fine settimana. È come se stessero sempre preparandosi per un esame. È faticoso, ma sono selezionati proprio in base a questa capacità”.
Pensare alle famiglie
Per questo l’Eac cerca di occuparsi nel miglior modo possibile anche delle loro famiglie. Gli astronauti si trasferiscono con loro a Colonia, ma viaggiano anche negli altri paesi partner dell’Iss e trascorrono del tempo in città come Houston e Tokyo. “Sono completamente assorbiti”, dice De Winne. “Dedicano due anni alla loro formazione, poi può succedere che siano inviati nello spazio per sei mesi. Al ritorno sono occupati per almeno un anno con le pubbliche relazioni e poi, probabilmente, riprendono l’addestramento. Questo significa che dobbiamo pensare anche alle famiglie: comprargli i biglietti aerei, organizzare le videochiamate quando gli astronauti sono in missione, aiutare se si rompe qualcosa in casa. In pratica, dobbiamo rendere la loro vita più comoda possibile. Se hanno problemi in famiglia, gli astronauti non riescono a concentrarsi sul lavoro”.
Una parte essenziale del programma è un corso intensivo di russo per permettere agli astronauti di comunicare a livello professionale e sociale con i colleghi cosmonauti. Sull’Iss il russo è la seconda lingua ufficiale. “Non devono leggere testi filosofici, ma parlare in modo fluente”, spiega De Winne, che è sposato con una cosmonauta russa. Dopo l’invasione russa dell’Ucraina, è entrata in vigore una regola non scritta: non si parla della guerra. “Gli astronauti vivono in una bolla. Fanno il loro lavoro e non parlano di politica. Non è facile, perché tutti sono curiosi delle opinioni degli altri. Solo che se si comincia una discussione politica non si sa mai come andrà a finire”.
A bordo della stazione spaziale tutto dev’essere estremamente efficiente, perché il tempo e i mezzi sono scarsi e costosi. Ogni chilogrammo trasportato nello spazio costa cinquantamila euro, per cui, se un astronauta beve tre litri d’acqua al giorno, fa spendere un patrimonio. Ecco perché fino al 90 per cento dell’acqua, compresi sudore e urina, è riciclato. Sempre per una questione di efficienza, i componenti dell’equipaggio sono istruiti per eseguire dei compiti nel modo più produttivo possibile.
“In realtà devi saper fare tre cose”, dice De Winne. “Leggere, lavorare con le mani e, soprattutto, non prendere iniziative. Se ci riesci, diventerai un ottimo astronauta”.
Come per l’Ikea
All’interno del modulo Columbus, pieno zeppo di scaffali, cavi, apparecchiature e computer portatili, gli astronauti seguono un programma giornaliero molto rigido, spiega De Winne. Consultandosi con gli esperti a terra, devono portare a termine il maggior numero possibile di esperimenti scientifici. A questo proposito, seguono delle procedure che sono paragonabili alle istruzioni per montare un mobile dell’Ikea.
Durante l’addestramento per la loro missione si esercitano il più volte possibile per ottimizzare i tempi. Più dimestichezza acquisiranno con le fasi del piano, più saranno efficienti e meno errori commetteranno.
De Winne fa l’esempio di un esperimento per mostrare che, nonostante siano molto costosi, i viaggi spaziali forniscono dati utili anche a coloro che rimangono a terra. A bordo dell’Iss c’è un levitatore elettromagnetico, un forno in grado di riscaldare i metalli fino a 2.100 gradi per poi raffreddarli subito dopo. Serve, tra le altre cose, all’azienda Rolls-Royce per testare nuove leghe, fondamentali per realizzare motori degli aerei che consumino meno carburante e producano meno emissioni.
“Conduciamo anche delle ricerche sull’osteoporosi. Su ogni volo della SpaceX, l’azienda di trasporto spaziale di Elon Musk, viaggiano un centinaio di topi per studiarla. Non sappiamo perché, ma la decalcificazione delle ossa è molto più rapida in assenza di gravità – un astronauta perde il 2 per cento di massa ossea al mese – e nello spazio possiamo studiarne meglio la progressione. Questa malattia costa due miliardi di euro all’anno alla società europea”.
L’incarico di gran lunga più spettacolare per un astronauta, e una delle esperienze più sensazionali per un essere umano in assoluto, è la passeggiata nello spazio. Anche se forse la definizione migliore sarebbe “ballo nello spazio”. Nel gergo si chiama Eav, extravehicular activity, attività all’esterno del veicolo. Un giretto fuori dall’Iss richiede una coreografia e una coordinazione dei sensi e degli arti incredibilmente precise.
La verità, comunque, è che sulla Terra ci si può allenare quanto si vuole, ma lo spazio è tutta un’altra cosa
Su questo ci si esercita nel lato opposto del centro di addestramento dove, in un’altra grande sala, si trova la neutral buoyancy facility (laboratorio di galleggiamento neutro), un’enorme piscina profonda dieci metri, riempita con 3,7 milioni di litri d’acqua, in cui è immersa la riproduzione del modulo Columbus. Sott’acqua si affronta meglio l’assenza di gravità, anche se il liquido esercita una resistenza assente nello spazio.
In tutto, gli aspiranti astronauti trascorrono almeno 150 ore in piscina. A ogni fase dell’addestramento gli è assegnato un punteggio da uno a cinque. Solo chi ne ottiene uno tra buono ed eccellente può aspirare a una passeggiata nello spazio.
Le sfide principali sono due, dice Stevenin, a capo dell’addestramento per la passeggiata spaziale: la tuta e le regole. “La tuta è terribilmente scomoda. Ti senti schiacciato e muoversi è quasi impossibile. La visibilità è scarsa. Per afferrare qualcosa con i guanti bisogna esercitare una forza pari a quella che serve per schiacciare una pallina da tennis. La tuta fa male, è fastidiosa e va indossata per dieci ore. L’unico modo per riuscirci è esercitarsi moltissimo”. Poi ci sono le regole. “La più importante è: avere sempre due punti di contatto con la stazione spaziale, cioè almeno una mano e la corda di sicurezza. Non si può semplicemente saltare da una posizione all’altra, come si vede nei film”.
Attrezzi perduti
Esercitarsi con indosso la tuta è possibile solo a Houston, perciò a Colonia si fanno i preparativi dei preparativi. Niente, però, è lasciato al caso. I candidati astronauti imparano a maneggiare gli attrezzi che portano sul torace, ma che devono riconoscere al tatto.
“Se commetti un errore, se sei stanco o perdi la concentrazione e lasci cadere uno strumento, non puoi recuperarlo. A quel punto non sei più in grado di portare a termine il tuo compito. Inoltre, rischi di mettere in pericolo gli altri, perché l’oggetto si trasforma in un proiettile che vola sulla stessa traiettoria e torna nello stesso punto, a più di ventimila chilometri orari”.
È capitato, ma per fortuna non ci sono state conseguenze. “È terribile”, commenta Stevenin. “Puoi anche essere l’astronauta migliore del mondo, ma passerai alla storia come quello che ha perso gli attrezzi nello spazio”.
Il panorama non ripaga degli sforzi, perché la possibilità di goderselo è minima. Gli astronauti sono appesi a pochi metri dall’Iss e, per la maggior parte del tempo che trascorrono all’esterno, non vedono altro. Bisogna anche fare i conti con le sfide psicologiche che presenta l’esperienza di fluttuare con la Terra quattrocento chilometri più sotto, o con la paura di cadere e il disorientamento. “Non è una condizione naturale per il nostro cervello. Certo, gli astronauti affermano che una passeggiata nello spazio dà una sensazione del tutto diversa dal volo. Di solito, però, non c’è tempo per un momento di estasi. Il loro primo pensiero è: non voglio rovinare tutto. Riesci a immaginare lo stress?”, chiede Stevenin, che nel 2009 ha partecipato alla selezione degli astronauti ed è arrivato tra i primi quarantacinque, ma alla fine non è stato scelto per un piccolo problema medico.
La resistenza allo stress era già uno dei criteri decisivi nel reclutamento, ed è messa ulteriormente alla prova durante la formazione. I candidati sono sottoposti a stress attraverso giochi di ruolo e l’affidamento di incarichi di gruppo, in modo che osservino il loro comportamento e capiscano come possono modificarlo. “Lavorare bene nello spazio equivale a prendersi cura di sé, e per farlo serve esercizio. Devi conoscere i tuoi limiti”, spiega Seine. “Per degli ingegneri o degli scienziati non è scontato. Noi gli facciamo capire che questo serve per migliorare. Imparare a farlo è un passo fondamentale”.
Nelle lezioni di human behaviour and performance training (addestramento del comportamento e della performance umani) s’insegna a sviluppare un comportamento positivo, che contribuisce a una collaborazione piacevole e sicura con i colleghi. Lo spirito di squadra è cruciale, perché quasi tutti devono eseguire ordini. “Una delle cose più difficili da imparare è rendersi conto che ciascuno può essere il punto debole. Noi assumiamo solo i migliori, persone a cui raramente capita di causare problemi all’interno di un gruppo. Accettare quest’eventualità è un grande passo”.
Tutto confluisce in una delle settimane più importanti dell’intero programma. Gli astronauti sono divisi in squadre e inviati in alcune grotte, in cui devono svolgere dei compiti su cui poi devono presentare una relazione. “È una simulazione dei fattori di stress nello spazio: possibilità di comunicazione limitate, assenza del ciclo giorno/notte, un ambiente scomodo e potenzialmente pericoloso”, dice Seine. “Ci è stato riferito che è l’esperienza più vicina alla vita sull’Iss”.
Esplosione di libertà
La verità, comunque, è che sulla Terra ci si può allenare quanto si vuole, ma lo spazio è tutta un’altra cosa. L’astronauta italiana Samantha Cristoforetti ha portato a termine due missioni spaziali, rispettivamente di 199 e 179 giorni, e nel luglio 2022 ha fatto una passeggiata nello spazio di sette ore. Nel libro Diario di un’apprendista astronauta (La nave di Teseo 2018) racconta che è impossibile prepararsi alla costante assenza di gravità, simile a “un’esplosione di libertà”, mentre ha vissuto il trasferimento dalla stretta capsula alla più spaziosa Iss come “una rinascita”.
“Proprio così”, concorda Seine. Circa la metà degli astronauti soffre di mal di spazio, una condizione paragonabile al mal di mare causata da un disturbo dell’organo dell’equilibrio. L’altra metà, però, non ne risente affatto. Altri ancora non stanno male la prima volta, ma la seconda. I candidati cercano di abituarsi con dei voli parabolici che annullano per qualche secondo la forza di gravità. Anche gli occhiali per la realtà virtuale, che hanno una risoluzione sempre maggiore, aiutano ad ambientarsi.
“Resta comunque del tutto imprevedibile. È come il jet lag: ognuno lo vive in modo diverso. Lo stesso succede con il sonno, anche per quello non ci si può esercitare. Alcuni dormono sonni tranquilli a bordo dell’Iss, nonostante il suo rumore costante, altri fanno molta fatica”, dice Seine. “E questo è un altro fattore di stress”. ◆ oa
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Questo articolo è uscito sul numero 1522 di Internazionale, a pagina 88. Compra questo numero | Abbonati