Non è il sacco di Roma, è peggio, anche senza fuoco, sangue e violenza. Perché non c’è nemico più insidioso di quello interno. La Rai, specchio del paese, riflesso deformato del suo paesaggio politico e immagine fedele della sua cultura, si è lasciata derubare per anni senza dire niente. Senza vedere o fare nulla. Ed è bastato che un quadro cadesse da un muro di un corridoio della sede a viale Mazzini, a Roma, per scatenare la tempesta.
In Francia sarebbe diventato un caso nazionale. In Italia è solo l’ennesimo scandalo, ma che fa ancora parlare di sé e agisce come un lento veleno. L’opera in questione, Architettura, del pittore fiorentino Ottone Rosai (1895-1957), rappresenta alcune case stilizzate e due cipressi. Durante il lockdown la tela si è staccata dal muro ed è stata restaurata. Nel maggio 2021 il quotidiano Il Messaggero ha rivelato che il dipinto era un falso e ha pubblicato i risultati dell’inchiesta aperta dalla procura di Roma in seguito alla segnalazione della Rai: nel corso dei decenni c’è stata una vera e propria razzia del patrimonio artistico della tv di stato.
I carabinieri hanno identificato l’ex dipendente della Rai che avrebbe commesso il misfatto. A quanto pare negli anni settanta avrebbe venduto l’originale per 25 milioni di lire, sostituendolo con una copia. Davanti ai carabinieri l’ex dipendente, ora in pensione, ha confessato senza esitare, certo della sua impunità: i fatti sono prescritti da molto tempo. Ma per i carabinieri del reparto per la tutela del patrimonio culturale (Tpc), specializzati nel traffico di opere d’arte, l’indagine è solo all’inizio. Secondo la stampa italiana le opere scomparse sarebbero circa 120, a Roma, a Milano e in altre sedi Rai, su 1.500 che ne possiede l’azienda pubblica. Alcune sono state sostituite da falsi, altre semplicemente rubate.
Sono sparite incisioni di Claude Monet, Jean-Baptiste Camille Corot, Amedeo Modigliani, Giorgio de Chirico, oltre a sculture, tappeti e mobili di design. Gli inquirenti sospettano che gran parte dei furti siano stati fatti dopo una mostra delle opere d’arte della Rai che si tenne in Puglia nel 1996. Tutti tesori che l’azienda, di cui il ministero dell’economia ha il 99,5 per cento delle azioni, ha comprato con i soldi dei contribuenti. Il canone di 90 euro, anche se tra i più bassi d’Europa, rappresenta la principale fonte di finanziamento di questo servizio pubblico. E vale ogni anno quasi due miliardi di euro.
L’aiuto di un basista
Aperta nel marzo 2021, l’inchiesta è probabilmente ben lontana dall’essere chiusa. I carabinieri del Tpc, contattati da Le Monde, non dicono nulla. L’unità, creata nel 1969, è una delle più agguerrite d’Europa. “Queste strutture sono molto diverse da un paese all’altro”, osserva il colonnello Didier Berger, che fino ad agosto ha diretto l’ufficio centrale della lotta contro il traffico di beni culturali a Nanterre, in Francia. “Noi siamo 27, gli italiani più di 250 e dipendono dal ministero della cultura, con compiti più importanti dei nostri”. Li guida il generale Roberto Riccardi, che segue direttamente molte delle operazioni.
Il 22 luglio 2022 un’inchiesta condotta dal Tpc e dall’Fbi ha portato al ritrovamento di diverse opere. Tra loro anche il Ritorno dell’arca dell’alleanza, un arazzo fiammingo del cinquecento rubato nel 1995 in una galleria a Milano e riapparso in una lussuosa villa di Palm Beach, in Florida, negli Stati Uniti. Tra le opere ritrovate c’è anche un mosaico romano del secondo secolo raffigurante la testa di Medusa che nel 1959 aveva attraversato l’Atlantico ed era passato per Los Angeles nel 1980. Il traffico d’opere d’arte finanzia le organizzazioni mafiose o il terrorismo. Nel 1977 il furto al museo archeologico di Napoli fu probabilmente opera della camorra. E uno dei gioielli di questo furto, una rara moneta d’oro del primo secolo, in cui è raffigurato Nerone, fa parte del lotto di opere recuperate il 22 luglio. Un’importante casa d’aste statunitense stava per metterla in vendita.
È quello che è successo a uno dei beni rubati alla Rai, una scrivania dell’architetto, designer e pittore Gio Ponti (1891-1979), disegnata espressamente per la radiotelevisione italiana nel 1951 e venduta all’asta a settantamila euro da Christie’s, a Londra, il 16 ottobre 2019. Il mobile era rimasto nella sede Rai di Milano fino a una data sconosciuta.
Sentita da Le Monde, la casa d’aste ha risposto che “non metterebbe mai in vendita un’opera su cui ci sono dubbi sulla proprietà o l’autenticità”. Per ragioni di riservatezza Christie’s non rivela l’identità dell’acquirente, ma rimanda al catalogo della vendita: la scrivania è stata comprata nel 2010 presso la galleria Anna Patrassi a Milano con titoli di proprietà legittimi. La gallerista non ricorda dove l’aveva presa, ma dice “forse nel 2007 o nel 2008, non prima”.
Lo scandalo, ripreso dalla stampa e da diversi programmi tv popolari, ha assunto un carattere politico. Nicola Sinisi, 66 anni, all’epoca direttore della direzione canone e dei beni artistici della Rai, il 13 maggio 2021 è stato intervistato a sorpresa da Alessio Giannone, giornalista del programma televisivo Striscia la notizia, che ha rivelato alcuni aspetti del caso. Di fronte alle telecamere, il funzionario si è rifiutato di fare commenti. “C’è un’inchiesta giudiziaria in corso”, ha detto. Poi ha aggiunto: “L’importante è che il patrimonio di un’azienda pubblica possa essere visto da tutti”. Ma era probabilmente meno disinvolto il 22 giugno 2021, sei mesi prima di andare in pensione, quando è stato ascoltato dalla commissione parlamentare di vigilanza Rai. Sinisi ha riconosciuto che la Rai (cioè i suoi dirigenti) non ha alcuna idea del valore del suo patrimonio. Ha raccontato che diversi direttori hanno visto degli oggetti d’arte scomparire dai loro uffici senza indignarsi o reagire: “C’è stato un vero e proprio sacco”. Scrivanie, armadi, poltrone, oggetti firmati o di valore si sono volatilizzati. Tutto questo patrimonio è stato comprato soprattutto negli anni cinquanta e sessanta. Ma anche negli anni duemila grazie al canone, ha detto Sinisi, che s’interroga: “Perché tutti questi beni dovrebbero rimanere negli uffici dei direttori, e dei dirigenti?”. Secondo l’ex direttore alcuni di questi furti sono stati commessi su indicazioni di un basista.
Sinisi si è infuriato quando è montata una polemica che sembrava ridicola rispetto ai furti nell’azienda pubblica. A Natale del 2020 alcuni mezzi d’informazione e alcuni parlamentari avevano criticato i 36mila euro spesi dalla Rai per un presepe pop con colori accesi dell’artista Marco Lodola, in cui Maria aveva i tratti di Gigliola Cinquetti e i pastori quelli di Luciano Pavarotti o di Freddie Mercury. L’opera non è mai stata montata a viale Mazzini. L’artista, stanco delle polemiche sul presepe giudicato troppo laico, lo ha dato alle Gallerie degli Uffizi di Firenze, che l’hanno accolto con piacere. I 36mila euro sono serviti a pagare il trasporto, il personale che ci ha lavorato e i materiali. “Ma non il maestro, un artista riconosciuto in tutto il mondo, che non ha preso nulla”, ha precisato Sinisi davanti alla commissione.
Il problema però è che l’ex direttore della Rai Fabrizio Salini, durante un’interrogazione parlamentare ha detto che questo progetto non era mai stato ufficialmente autorizzato. Questa dichiarazione ha fatto molto arrabbiare Sinisi: “Si ha il diritto di cambiare opinione, ma rispondere a un’interrogazione parlamentare con un chiaro falso è per me inammissibile”. E ha messo a disposizione della commissione “cinque volumi di documenti che lo provano”.
La commissione parlamentare è rimasta sbalordita di fronte ai fatti “particolarmente gravi”, ai furti, all’incuria e alle bugie che le sono state dette, ha sottolineato Michele Anzaldi, un deputato di Italia viva, vicino a Matteo Renzi e molto attivo su questo caso. “Almeno dateci la trasparenza, diteci chi in quegli anni non ha fatto niente”, ha detto Anzaldi. La reazione della Rai non si è fatta attendere. Nel luglio 2021 Sinisi è stato prima sospeso, poi licenziato dal nuovo direttore Carlo Fuortes. Nessun interlocutore della Rai contattato da Le Monde ha voluto rispondere alle nostre domande. L’ufficio stampa ha finito per dichiarare che è in corso una verifica interna.
“Pensare che opere di Monet o di Modigliani possano essere scomparse e che nessuno lo abbia scoperto prima è incredibile”, dice lo storico dell’arte Tomaso Montanari. Per lui questi furti nel corso degli anni dimostrano quanto la cultura aveva poca importanza nell’azienda pubblica: “Queste opere erano morte, non le guardava nessuno”. Eppure è la Rai che ha fatto l’unità linguistica dell’Italia, che ha adattato i capolavori della letteratura e del teatro italiano per la televisione. “Oggi questa azienda subisce una sorta di bancarotta culturale. Ed è proprio la persona che ha rotto questo silenzio a diventare il capro espiatorio”, continua lo storico. Anche se i reati sono prescritti ci vorrebbe un processo per capire come sono andati i fatti. “È la Rai”, dice Montanari, “che dovrebbe fare delle inchieste giornalistiche e cercare la verità”. E ritrovare l’onore perduto. A meno che la verità non sia troppo scomoda.◆ adr
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Questo articolo è uscito sul numero 1476 di Internazionale, a pagina 40. Compra questo numero | Abbonati