Almeno sei persone sono morte e migliaia sono rimaste ferite nella repressione della grande ondata di proteste nata nelle università del Bangladesh contro il ripristino del sistema delle quote negli impieghi statali.

Il malcontento diffuso tra gli studenti era sfociato in una serie di manifestazioni e scioperi che hanno interrotto le attività accademiche in quasi tutti gli atenei pubblici del paese. Gli studenti sono scesi in piazza dopo che all’inizio di giugno la corte suprema ha confermato la sentenza che ripristinava il sistema delle quote per lavorare negli uffici pubblici, sospeso dal governo nel 2018 in seguito anche allora alle proteste degli studenti.

Dal 1972 il 56 per cento dei posti di basso livello era riservato a specifiche categorie: il 30 per cento ai figli o nipoti dei “combattenti per la libertà” (che avevano partecipato alla lotta per l’indipendenza del Pakistan orientale, diventato poi Bangladesh nel 1971), il 10 per cento alle donne, il 10 per cento ai distretti in base alla popolazione, il 5 per cento alle minoranze etniche e l’1 per cento alle persone con disabilità. Quindi solo il 44 per cento dei candidati poteva ottenere un impiego sulla base del merito. Le manifestazioni, cominciate nel febbraio 2018, nel giro di tre mesi si erano diffuse in tutto il Bangladesh, costringendo il governo ad annunciare una riforma del sistema. Il 4 ottobre di quell’anno l’esecutivo aveva abolito le quote, finché la sentenza della corte suprema non le ha reintrodotte.

In Bangladesh ogni anno circa 400mila neolaureati si contendono tremila posti nella pubblica amministrazione. Gli studenti non chiedono l’abolizione completa del sistema delle quote ma contestano in particolare quella riservata ai familiari dei veterani. Md. Sahabuddin, che frequenta l’università di Rajshahi ed è figlio di un ex combattente, intervistato dal Daily Star ha detto di essere favorevole a cancellarla.

Le proteste sono cominciate il 1 luglio con la partecipazione di studenti di varie università pubbliche, ma si sono intensificate il 6, quando gli iscritti alla facoltà di scienze e tecnologia dell’università Mawlana Bhashani hanno bloccato l’autostrada che collega Dhaka, la capitale, a Tangail, nel Bangladesh centrale. Il 7 luglio i manifestanti hanno lanciato la “Bangla blockade”, il boicottaggio delle lezioni in tutto il paese e la paralisi delle principali autostrade. Nel frattempo la corte suprema ha sospeso il sistema delle quote e ha fissato l’udienza per il 7 agosto, dando agli studenti la possibilità di portare le loro istanze. La prima ministra Sheikh Hasina, che nel 2018 aveva accolto le richieste degli studenti, ha cambiato atteggiamento. “Non c’è motivo di arrabbiarsi, gli studenti sono esigenti, e io lo accetto”, aveva detto allora. All’epoca il governo guidato dalla Lega awami di Hasina era nel pieno del secondo mandato e alla fine dell’anno si sarebbero tenute le elezioni legislative.

Oggi la premier ha un tono diverso. In una conferenza stampa il 14 luglio ha liquidato la mobilitazione come ingiustificata, soprattutto dopo la sentenza del tribunale, e ha detto: “Se delle quote non beneficiano i nipoti dei combattenti per la libertà, chi dovrebbe beneficiarne? I nipoti dei razakar?”, riferendosi ai collaborazionisti dell’esercito pachistano durante la guerra d’indipendenza bangladese. Com’era già successo nel 2018, anche negli ultimi giorni chi protestava pacificamente è stato attaccatto dalla Bangladesh chhatra league (Bcl), l’ala studentesca della Lega awami. Il 15 luglio la polizia ha lanciato lacrimogeni e caricato con manganelli i manifestanti che si stavano scontrando con i militanti della Bcl alla Jahangirnagar, un’università pubblica fuori dalla capitale. Il bilancio è stato di decine di feriti. Le violenze sono scoppiate anche all’università di Dhaka, il principale ateneo pubblico del paese, dove più di cento studenti sono rimasti feriti negli scontri. Il 16 luglio i manifestanti hanno paralizzato la linea ferroviaria oltre a varie autostrade in tutto il paese, e nella capitale hanno bloccato il traffico in diverse zone promettendo di lottare a oltranza.

Alle elezioni di gennaio, boicottate dal principale partito d’opposizione e dai suoi alleati in segno di protesta contro il rifiuto di Hasina di cedere la guida del paese a un governo ad interim nei mesi precedenti al voto, la prima ministra è stata confermata. Il suo partito è favorevole a mantenere la quota per i familiari dei veterani. Fu la Lega awami, sotto la leadership del padre di Hasina, Sheikh Mujibur Rahman, a vincere la guerra d’indipendenza con l’aiuto dell’India nel 1971. Quell’anno il partito Jamat-e-islami, che tra il 2001 e il 2006 avrebbe governato insieme al Partito nazionalista bangladese dell’acerrima nemica di Hasina, Khaleda Zia, si oppose apertamente alla guerra d’indipendenza e formò dei gruppi che aiutarono l’esercito pachistano a combattere contro le forze indipendentiste. ◆ gim

Da sapere
Lo spettro dell’autoritarismo

◆ Il 16 luglio 2024 il governo bangladese ha schierato in varie città del paese le forze paramilitari responsabili della sicurezza delle frontiere per sedare le proteste dilagate nelle università. Ha chiuso le scuole superiori e i campus a tempo indeterminato. Dalle 22 del 16 luglio gli utenti di Facebook in tutto il paese hanno avuto difficoltà ad accedere al social network attraverso la rete mobile, che continua a essere interrotta dentro le università. Il 17 luglio la premier ha parlato alla nazione in diretta tv annunciando un’inchiesta sulle sei uccisioni, promettendo giustizia agli studenti e invitandoli a non lasciare spazio agli infiltrati “malintenzionati”, responsabili delle violenze.
◆ Sheikh Hasina governa il Bangladesh dal 1996. A gennaio 2024 si è assicurata il quarto mandato consecutivo in una discussa elezione boicottata dai partiti dell’opposizione. Secondo Human rights watch quasi diecimila attivisti sono stati arrestati dopo che una manifestazione dell’opposizione nell’ottobre 2023 è degenerata in scontri violenti in cui sono morte almeno 16 persone e 5.500 sono rimaste ferite. L’ong accusa il governo di “riempire le carceri con i suoi oppositori politici”. All’indomani dell’ennesima vittoria della Lega awami è sorto il timore di un governo monopartitico de facto. Pochi osservatori si aspettano che il governo allenterà il suo giro di vite, soprattutto se i partiti d’opposizione e i gruppi della società civile continueranno a sollevare dubbi sulla sua legittimità.The Daily Star, Bbc


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Questo articolo è uscito sul numero 1572 di Internazionale, a pagina 32. Compra questo numero | Abbonati