Dopo dieci anni di lavoro come optometrista, Marina Su ha cominciato a notare qualcosa d’insolito nei bambini che visitava nel suo studio di New York. Quelli che avevano bisogno di occhiali erano sempre di più e sempre più piccoli. Molti di questi pazienti avevano genitori dalla vista perfetta, che non si spiegavano perché i loro figli vedessero male. Francamente neppure Su riusciva a capirlo.
All’università aveva imparato – come i libri di testo statunitensi insegnano da decenni – che la miopia è una condizione genetica. Avere un genitore miope raddoppia la probabilità che un bambino debba portare gli occhiali. Averne due le quintuplica. Nel corso degli anni Su aveva infatti diagnosticato la miopia a molti bambini i cui genitori erano a loro volta miopi. Genitori che, racconta Su, nell’apprendere la notizia sospiravano dicendo: “Oh no, anche loro”.
Ma qualcosa stava cambiando. Improvvisamente una generazione di bambini vedeva peggio dei genitori. Incontrando un numero crescente di giovani pazienti con problemi di vista che sembravano spuntati dal nulla, Marina Su ricorda di essersi chiesta: “Se è solo genetica, perché anche questi bambini stanno diventando miopi?”.
Quello che Su ha notato nel suo studio a New York qualche anno fa, in realtà sta succedendo in tutto il mondo. In Asia, dove questo cambiamento è più evidente, nel giro di cinquant’anni la percentuale di adolescenti e giovani affetti da miopia è schizzata da circa un quarto a più dell’80 per cento. In Cina questo difetto visivo è così diffuso da essere diventato un problema di sicurezza nazionale: le forze armate sono preoccupate di non riuscire a reclutare abbastanza piloti – che non devono avere problemi di vista – in una popolazione di 1,4 miliardi di cinesi. E i recenti lockdown dovuti alla pandemia sembrano aver ulteriormente peggiorato la situazione.
Per anni, molti esperti hanno considerato un’anomalia l’aumento dei tassi di miopia in Asia. Sostenevano che gli asiatici fossero geneticamente predisposti alla miopia e criticavano pedantemente la metodologia degli studi condotti nel continente. Ma alla fine la portata del problema e la velocità del cambiamento sono diventate impossibili da negare.
Negli Stati Uniti all’inizio degli anni duemila – l’ultima volta che è stata realizzata un’indagine sulla miopia a livello nazionale – il 42 per cento delle persone tra i 12 e i 54 anni era miope, contro il 25 per cento degli anni settanta. Non sono disponibili rilevamenti più recenti, ma quando ho chiesto ad alcuni oculisti in giro per il paese se stessero vedendo più bambini miopi che in passato le risposte sono state “assolutamente”, “sì”, “senza dubbio”.
In Europa è diventato più probabile che ragazze e ragazzi abbiano bisogno degli occhiali per vedere da lontano rispetto ai loro genitori o ai loro nonni. I tassi più bassi di miopia si registrano nei paesi in via di sviluppo in Africa e in Sudamerica. L’Asia, un tempo considerata un’eccezione, oggi è vista come in anticipo sui tempi. Uno studio stima che, se si confermassero le tendenze attuali, entro il 2050 metà della popolazione mondiale sarebbe miope.
Telefoni e tablet
Le conseguenze non si limitano a un’impennata di bambini con gli occhiali. Gli occhi affetti da miopia sono più inclini ad avere problemi seri come il glaucoma e il distacco della retina al raggiungimento della mezza età, disturbi che a loro volta possono portare alla cecità permanente. I rischi all’inizio sono contenuti, ma aumentano esponenzialmente con l’aggravarsi del difetto. E prima insorge la miopia, peggiori sono le prospettive del paziente.
Nel 2019 l’American academy of ophthalmology (Aao) ha creato un gruppo di lavoro per far considerare la miopia un problema sanitario globale urgente. Come mi ha detto Michael Repka, professore di oftalmologia della Johns Hopkins university a Baltimora, negli Stati Uniti, e responsabile della Aao per gli affari istituzionali, “si cerca di scongiurare un’epidemia di cecità che è già in corso da decenni”.
La causa di questo notevole peggioramento della vista tra le persone può sembrarvi ovvia: basta guardarsi intorno per vedere quanti bambini sono totalmente assorbiti da telefoni, tablet e computer. E non sareste neanche i primi a concludere che fissare qualcosa a pochi centimetri dal volto faccia male alla visione da lontano. Già quattrocento anni fa l’astronomo tedesco Giovanni Keplero dava la colpa della sua vista debole a tutte le ore passate a studiare. I medici britannici riscontrarono che la miopia era più comune tra gli studenti dell’università di Oxford che tra le reclute dell’esercito, e nelle “più severe” scuole di città che in quelle di campagna. Un manuale di oftalmologia di fine ottocento suggeriva di curare la miopia cambiando aria ed evitando di sforzare gli occhi, con “un viaggio per mare, se possibile”.
All’inizio del novecento gli esperti cominciavano a convergere sull’idea che la miopia fosse causata dal “lavoro da vicino”, che può comprendere leggere e scrivere. O, al giorno d’oggi, guardare la tv e controllare Instagram. Le autorità cinesi si sono allarmate al punto da proporre interventi su vasta scala per frenare la miopia tra i bambini: gli esami scritti cominciano solo in terza elementare e i videogiochi sono limitati.
Si dice che una scuola elementare in Cina abbia installato delle sbarre sui banchi per evitare che i bambini si avvicinino troppo a libri e quaderni.
In base a questa logica, passare troppo tempo su testi e immagini può renderci miopi. “Molto tempo fa gli esseri umani erano cacciatori e raccoglitori”, dice Liandra Jung, che lavora come optometrista vicino a San Francisco. Ci affidavamo alla nostra ottima vista da lontano per localizzare le prede e trovare frutti maturi. Oggi la vita si svolge in un perimetro limitato e in gran parte al chiuso. “Per procurarci da mangiare, chiamiamo Uber Eats”.
È una spiegazione piacevolmente intuitiva, ma straordinariamente difficile da dimostrare. “Per ogni studio che dimostra un effetto del lavoro da vicino sulla miopia ce n’è un altro che dice il contrario”, spiega Thomas Aller, un optometrista di San Bruno, in California. La quantità di ore trascorse davanti a un libro o a uno schermo non sembra spiegare l’insorgenza o la progressione di questo difetto della vista.
Sono state formulate diverse teorie per colmare la lacuna. Forse i dati degli studi sono sbagliati, i partecipanti non hanno registrato con precisione le ore di lavoro da vicino. Forse, più che la durata di questo tipo di lavoro, sono indicative le pause che si fanno. Forse non è la vicinanza in sé a rovinare gli occhi, ma il fatto che i bambini passano meno tempo all’aperto. Gli scienziati che sostengono l’importanza di stare del tempo fuori sono ulteriormente divisi: c’è chi pensa che sia la luce solare a favorire una corretta crescita dell’occhio e chi ritiene siano gli spazi aperti.
Ipotesi da testare
Qualche aspetto della vita moderna sta distruggendo la nostra abilità di vedere bene da lontano, ma quale?
Per il momento gli scienziati hanno abbandonato l’ipotesi che la miopia sia interamente legata ai geni. Questa idea prese piede negli anni sessanta, quando alcuni studi dimostrarono che i gemelli identici avevano forme di miopia più simili rispetto ai gemelli eterozigoti, e ha continuato a circolare nel mondo accademico per decenni. Il dna svolge certamente un ruolo in questo difetto, tuttavia c’è un fattore che rende tutto più complicato: i gemelli identici condividono sì gli stessi geni, ma sono anche esposti a molti degli stessi stimoli ambientali.
“Non si può accorciare un bulbo oculare troppo lungo”, dice Maria Liu
Oggi occhiali, lenti a contatto e chirurgia laser aiutano le persone miopi a vedere meglio. Nessuno di questi aggiustamenti, però, corregge il problema anatomico alla base della miopia. Mentre un occhio sano ha più o meno una forma sferica, un occhio miope è più simile a un’oliva. Per rallentare il progredire della miopia, dovremmo fermare l’allungamento del bulbo oculare.
In realtà lo sappiamo già fare. Esistono terapie per ritardare la progressione, chiamate “controllo della miopia” o “gestione della miopia”. È solo che non sono molto conosciute negli Stati Uniti.
Negli ultimi vent’anni gli oculisti, soprattutto in Asia, hanno scoperto che alcune lenti e colliri possono rallentare la miopia nei bambini. Maria Liu, una ricercatrice cresciuta a Pechino e specializzata in questo campo, racconta di essersene interessata la prima volta da adolescente, quando nella sua scuola per ragazze e ragazzi più dotati, aveva visto i compagni di classe mettere gli occhiali uno dopo l’altro. L’ambiente era estremamente competitivo: Liu ricorda che studiava dalle 6.30 di mattina alle 10 di sera, praticamente sempre al chiuso. Finita l’università, quasi tutti portavano gli occhiali, lei compresa.
Anni dopo, quando ha cominciato la specializzazione in oftalmologia in Cina, Liu ha incontrato molti giovani che indossavano lenti ortocheratologiche, anche note come OrthoK, un tipo di lenti a contatto che s’indossa di notte e altera temporaneamente il modo in cui la luce entra nell’occhio, rimodellando lo strato anteriore trasparente del bulbo, così da migliorare la vista di giorno. Liu ha notato, sulla base dei racconti che sentiva, che a distanza di tempo quelli che usavano le OrthoK sembravano vedere meglio di quelli che portavano gli occhiali.
L’uso di queste lenti per lunghi periodi potrebbe in qualche modo impedire l’allungamento dell’occhio, ostacolando la progressione della miopia? A quanto pare, altri scienziati e medici in Asia stavano osservando la stessa tendenza. Nel 2004 uno studio controllato randomizzato sulle lenti ortocheratologiche condotto a Hong Kong confermava l’intuizione di Liu.
Il controllo della miopia è un mercato potenzialmente in crescita
Allora Liu si era già trasferita negli Stati Uniti per un dottorato all’università di Berkeley. I suoi compagni di studi, ricorda, si occupavano di argomenti come terapie geniche e trapianti di retina, e si chiedevano perché lei studiasse “qualcosa di così noioso”. Liu ha cominciato a lavorare nel laboratorio di Christine Wildsoet, docente di optometria e scienze della visione, dove ha fatto ricerca sullo sviluppo della miopia nei pulcini.
Quando nasciamo la maggior parte di noi è ipermetrope. I nostri occhi all’inizio sono leggermente troppo corti, nell’infanzia crescono alla giusta lunghezza, poi si fermano. Questo processo si è accuratamente calibrato in milioni di anni di evoluzione. Ma quando i segnali ambientali non corrispondono a quello per cui l’occhio si è evoluto (che si tratti di troppo lavoro da vicino, troppo poco tempo all’aperto, una qualche combinazione tra i due o un altro fattore) l’occhio semplicemente continua a crescere. Questo processo è irreversibile. “Non si può accorciare un bulbo oculare troppo lungo”, dice Liu. Ma si può interromperne la crescita contrastando i segnali errati. Il controllo della miopia serve proprio a questo.
Quando Liu ha cominciato a insegnare a Berkeley, ha pensato di aprire un ambulatorio per il controllo della miopia, il primo del genere nel paese, in cui avrebbe potuto colmare il divario tra ricerca e pratica. All’epoca Liu sapeva che molti medici in Cina stavano già usando le lenti OrthoK per il controllo della miopia.
L’amministrazione del dipartimento era scettica. Liu racconta che il direttore non capiva in che modo l’ambulatorio avrebbe giovato agli studenti di optometria o se avrebbe attirato abbastanza pazienti per sostenersi economicamente. Nel 2013 Liu ha aperto ugualmente l’ambulatorio, da sola. All’inizio riceveva i pazienti la domenica, senza essere pagata per questo e senza rinunciare a nessuna delle sue mansioni didattiche o ospedaliere. Nel giro di qualche mese la sua agenda era piena. L’ambulatorio oggi è aperto quattro giorni alla settimana e segue mille pazienti. Liu era stata una delle poche persone a prevederne il grande successo. Jung, anche lei professoressa a Berkeley, mi ha detto che le conoscenze di Liu sulle più recenti terapie per il controllo della miopia la facevano sembrare una persona “venuta dal futuro”.
Un sabato della scorsa primavera sono andata all’ambulatorio di Liu. Erano le otto del mattino, un orario in cui il resto del campus è ancora silenzioso, ma lo studio si stava già riempiendo di studenti e specializzandi che lavorano lì per ricevere parte della loro formazione. Liu, minuta, con capelli curati e ondulati, si muoveva con una spaventosa efficienza: un momento esaminava gli occhi di un paziente, quello dopo tranquillizzava un genitore che non aveva mai ricevuto le lenti a contatto che aveva ordinato per il figlio, quello dopo ancora avvertiva il personale che una stampante non funzionava bene.
L’ambulatorio di Liu propone tre terapie: le lenti ortocheratologiche, le lenti a contatto morbide multifocali, e l’atropina in collirio. Le prime due regolano il modo in cui la luce entra nell’occhio, producendo un segnale che dice al bulbo oculare di fermare l’allungamento. L’atropina, in bassi dosaggi, sembra alterare chimicamente il percorso di crescita dell’occhio. Dilata anche la pupilla (pare che Cleopatra la usasse per rendere più belli i suoi occhi). Queste terapie rallentano la progressione della miopia in media di circa il 50 per cento.
Gli studi clinici che ne confermavano la validità erano stati condotti in Asia alla metà degli anni duemila. Nel 2021 una commissione della American optometric association ha pubblicato un rapporto in cui offre raccomandazioni su come usarle. Fino a poco tempo fa, però, nessuna di queste terapie era stata approvata dalla Food and drug administration, l’autorità statunitense che approva i nuovi farmaci. Chiunque volesse proporle doveva farlo off-label, cioè per un uso diverso da quello autorizzato. E i pazienti dovevano trovare il medico giusto.
Non è una coincidenza se l’ambulatorio di Liu ha ottenuto un successo immediato nell’area intorno a San Francisco, dove vive un’ampia popolazione d’origine asiatica. Oculisti in diverse città degli Stati Uniti mi hanno detto che spesso sono i genitori asiatici a chiedere i trattamenti per il controllo della miopia. Tra i genitori che ho incontrato nell’ambulatorio di Liu, molti erano d’origine asiatica e, quel sabato in particolare, c’erano tanti immigrati cinesi di prima generazione che cercavano Liu nei giorni in cui è in ambulatorio per poter parlare con lei in mandarino. Molti avevano sentito qualcosa sul controllo della miopia da altri immigrati o da amici in Asia. George Tsai, che aveva un appuntamento per far provare le lenti OrthoK al figlio di otto anni, mi ha detto che sua moglie, cresciuta in Cina, era venuta a sapere del controllo della miopia su WeChat, l’app di messaggistica molto diffusa nel paese e tra la diaspora.
Liu ha un secondo telefono, che usa per gestire su WeChat tre gruppi di genitori di bambini in cura per il controllo della miopia in tutto il Nordamerica. Sui gruppi le domande vanno avanti notte e giorno. “Come prima cosa al mattino controllo i messaggi su WeChat. Chi ha perso una lente? Chi ha gli occhi arrossati? Chi ha altri problemi?”, spiega Liu. “E lo faccio di nuovo prima di andare a dormire”. Liu oggi è in contatto con 1.500 genitori attraverso l’app.
In generale, spiega Liu, i genitori asiatici tendono a essere più motivati perché la miopia “nella cultura asiatica è percepita o accettata molto meglio come malattia”. Questo lo so per esperienza diretta, come figlia d’immigrati cinesi. Quando ero alle elementari mia madre si preoccupava per il peggioramento della mia vista, mi sgridava continuamente e metteva l’astuccio in verticale per misurare la distanza tra la mia testa e la scrivania. Mi obbligava anche a fare degli esercizi per gli occhi che erano stati elaborati in Cina e che, preparando questo articolo, con mia grande soddisfazione ho scoperto essere inefficaci. Era la fine degli anni novanta, e non c’era ancora nessuna soluzione per fermare la miopia. Nei genitori che ho conosciuto all’ambulatorio di Berkeley ho visto la stessa determinazione dei miei. Avevano stravolto le loro vite per trasferirsi in un paese straniero ed erano pronti a fornire ai loro figli qualunque vantaggio, qualunque beneficio che la scienza moderna potesse offrire.
Keplero dava la colpa della sua vista debole a tutte le ore passate a studiare
C’è un’altra ragione per cui i trattamenti per il controllo della miopia si sono diffusi nell’area intorno a San Francisco, dove il reddito medio è alto: le terapie sono costose. Molti genitori che ho incontrato all’ambulatorio erano ingegneri o medici. A Berkeley un paio di OrthoK costa più di 450 dollari, a cui vanno aggiunti 1.600 dollari per la prima messa a punto, senza contare le spese per le visite di controllo. I prezzi delle lenti a contatto morbide variano da centinaia di dollari a più di mille dollari all’anno. E una fornitura annuale di atropina in collirio costa centinaia di dollari. I bambini in genere ricevono i trattamenti per il controllo della miopia fino all’adolescenza avanzata o poco oltre i vent’anni. Le assicurazioni sanitarie specifiche per i problemi di vista non coprono questi trattamenti.
Per le multinazionali che si occupano di cura della vista il controllo della miopia è un mercato potenzialmente in crescita. E fanno a gara per ottenere dall’Fda l’approvazione di nuove lenti e formule migliorate di atropina, che possono essere brevettate invece che essere vendute come farmaci e dispositivi generici. Che ci sia da guadagnarci è ovvio: se metà del mondo sarà miope entro il 2050, è un enorme bacino di potenziali clienti.
“Quando capita di poter incidere su una patologia che colpirà una persona su due? Al mondo non conosco altri casi”, afferma Joe Rappon, ex direttore sanitario della SightGlass Vision, una piccola azienda californiana la cui tecnologia per il controllo della miopia è stata comprata congiuntamente dai giganti dell’ottica CooperVision ed Essilor.
Nel novembre 2019 l’Fda ha approvato la prima – e finora unica – terapia specificamente ideata per rallentare la miopia: una lente a contatto morbida della CooperVision chiamata MiSight. Molte altre cure sono in fase di sperimentazione, tra cui vari tipi di occhiali che regolano il modo in cui la luce penetra nell’occhio per rallentarne la crescita. Alcune sono già sul mercato in Europa e Canada.
Quando questi occhiali saranno approvati “si spalancheranno le porte della gestione della miopia”, mi ha detto Barry Eiden, optometrista di Deerfield, in Illinois. Prima si riesce a rallentare la progressione di questo difetto visivo nei bambini, migliore è il risultato, spiega Eiden. Ma i genitori a volte sono restii all’idea di mettere medicinali o lenti a contatto negli occhi dei loro bambini, mentre non si fanno altrettanti problemi per gli occhiali.
Nel futuro Liu spera che le autorizzazioni dell’Fda spingano le assicurazioni a coprire, almeno parzialmente, le spese per il controllo della miopia, rendendo le terapie più accessibili a un maggior numero di persone. Intanto, la CooperVision ha fatto partire la sua campagna di marketing per MiSight. Un optometrista del centro di San Francisco mi ha raccontato che i genitori vedono le pubblicità delle lenti e quando entrano nel suo studio chiedono esattamente quel prodotto. L’era del passaparola per il controllo della miopia sta finendo. Comincia l’epoca della pubblicità di massa.
Corpi inadatti
Nel settore dell’optometria il controllo della miopia viene spesso paragonato agli apparecchi per i denti, un altro trattamento per cui i genitori delle classi medie o alte sborsano diligentemente migliaia di dollari. Questo paragone è calzante anche per un altro motivo. Gli apparecchi ortodontici sono una soluzione moderna a un disturbo relativamente moderno. I denti degli uomini e delle donne delle caverne, con grande stupore degli antropologi, erano incredibilmente dritti. I denti storti comparvero solo quando i nostri antenati passarono dal masticare carne e verdure crude al mangiare cereali cotti e lavorati. Le nostre mascelle oggi sono più piccole e deboli perché lavorano poco, i nostri denti sono più stretti e storti. Gli apparecchi sono il modo in cui riadattiamo corpi poco adatti alla vita contemporanea.
Forse non sappiamo esattamente perché fissare gli schermi tutto il giorno e trascorrere tanto tempo al chiuso stia influendo sul nostro modo di vedere, o quale delle due cose stia facendo più danni. Quello che sappiamo è che la miopia è una chiara conseguenza del vivere contro la nostra biologia. Gli oculisti con cui ho parlato hanno tutti affermato che cercano di promuovere abitudini come limitare il tempo sugli schermi e giocare all’aperto. Ma questo non basta. Oggi togliere il telefono a un adolescente potrebbe non essere più pratico di nutrire un neonato con una dieta crudista da cacciatori-raccoglitori.
Così siamo arrivati al punto, almeno per chi di noi può permetterselo, di mettere sostanze chimiche e pezzi di plastica negli occhi ogni giorno. Nella speranza di riportarli con l’inganno alla loro condizione naturale. ◆ fdl
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Questo articolo è uscito sul numero 1482 di Internazionale, a pagina 64. Compra questo numero | Abbonati