“Eravamo sull’orlo del baratro e abbiamo fatto un bel passo avanti”. A lasciarci in eredità questa frase è stato l’ex presidente della Costa d’Avorio Félix Houphouët-Boigny, che fu anche deputato dell’assemblea nazionale francese dal 1946 al 1959. Di sicuro a Houphouët-Boigny non mancava il senso dell’umorismo. Eppure oggi non sembra esserci un modo più accurato di riassumere la situazione. Il 7 luglio è possibile che la Francia, e noi con lei, compia questo passo fatale.

Dopo la catastrofe delle elezioni europee, seguita da uno scioglimento a sorpresa dell’assemblea nazionale e da un primo turno delle legislative altrettanto disastrosi, dire che il presidente della repubblica Emmanuel Macron sia impantanato è riduttivo. Oggi non resta quasi più niente della sua vecchia maggioranza, così come del macronismo, un’ideologia che sette anni fa prometteva di combinare il meglio della sinistra con il meglio della destra e che alla fine si è rivelata del tutto inadeguata. Di tutta questa esibizione rimane solo la lisca di pesce, il “né-né”, né estrema destra né estrema sinistra.

Non si può certo sostenere che Macron abbia fatto il possibile per opporsi al Rassemblement national (Rn). Era la missione che sbandierava come fondamento della sua presidenza, ma era solo una posa. In realtà voleva solo ridicolizzare Marine Le Pen. Quanto alla “bomba a grappolo” che ha lanciato tra i piedi della classe politica – nome in codice che ha dato allo scioglimento del parlamento – oltre a esplodergli in faccia ha rischiato di aprire all’Rn le porte delle istituzioni della repubblica. La sconfitta di Macron si misura con lo slittamento strategico che si è verificato il 30 giugno: la presidenza, che prima era al centro del paesaggio politico, oggi si ritrova ai margini. Il voto del primo turno ha santificato l’assemblea nazionale. The place to be, il luogo dove succedono le cose importanti, oggi è il parlamento. Alcuni, come l’ex presidente François Hollande, l’avevano previsto e hanno cercato di tornare a fare i deputati.

Quando un’ondata così violenta si abbatte sulla politica, inevitabilmente lascia il segno. Al primo turno abbiamo assistito a una doppia mobilitazione elettorale, la più imponente dal 1997: quella dell’Rn e quella degli elettori di sinistra, che si sono compattati intorno ai candidati del Nuovo fronte popolare. La seconda mobilitazione è stata importante, ma non è bastata a fermare l’ascesa al potere dell’Rn. Molti avversari dell’estrema destra saranno rimasti sicuramente delusi. In ogni caso quello che è accaduto il 30 giugno, con i successivi ritiri dei candidati dal ballottaggio, è di grande importanza perché definirà le dimensioni della futura maggioranza parlamentare dell’Rn.

Da sapere

◆ L’assemblea nazionale francese è eletta con un sistema maggioritario a doppio turno.

◆ Il paese è suddiviso in 577 circoscrizioni elettorali, quanti sono i seggi dell’assemblea, di cui undici fuori dal territorio nazionale. Vince al primo turno il candidato che ottiene il 50 per cento più uno dei voti. Al secondo turno accedono tutti i candidati che hanno ottenuto almeno il 12,5 per cento dei voti delle persone iscritte nelle liste elettorali (non dei votanti): viene eletto chi ottiene il maggior numero di preferenze.

◆ In vista del ballottaggio si possono avere dei “patti di desistenza”: uno o più candidati si ritirano per favorirne un altro. Per il secondo turno del 7 luglio hanno fatto un passo indietro 132 candidati di sinistra e 83 della coalizione presidenziale Ensemble. Le Monde


Questa maggioranza è ormai indiscutibile. L’ondata nazionalista è troppo forte per essere fermata, ma può essere contenuta al punto da ritrovarci l’Rn e i suoi alleati alla guida di una maggioranza relativa. Uno scenario di questo tipo ostacolerebbe la conquista del potere sognata dagli strateghi lepenisti. Per decenni, mentre la destra e la sinistra si alternavano al potere, la prospettiva di vedere la Francia entrare in un’era autoritaria e spaventosa era inconcepibile. Ora il paese sembra destinato a sperimentarla. Come già successo nei Paesi Bassi, in Slovacchia e in Finlandia e come potrebbe accadere negli Stati Uniti se Donald Trump dovesse battere Joe Biden (o il suo ipotetico sostituto democratico ), l’ondata autoritaria, xenofoba, populista e filorussa sta per colpire in pieno la Francia.

Al voto
Numero di seggi che potrebbero essere assegnati al ballottaggio del 7 luglio 2024, stime (Fonte: Le Grand Continent)

C’è una vecchia citazione di Albert Camus che mi piace particolarmente: “Quando una democrazia è malata, il fascismo si presenta al suo capezzale, ma non certo per sincerarsi delle sue condizioni” . Le parole sono ingannevoli. Non è il fascismo a minacciarci, ma un modello di democrazia limitata, rimpicciolita e di ispirazione ungherese che si diffonde in tutto il mondo come un’erba infestante. Questa malattia ha fatto a pezzi le costituzioni e ha arrecato danni enormi. Usiamo l’espressione “democrazie illiberali”, perché attaccano il liberalismo nel suo complesso e ognuna delle nostre libertà. La storica Marlène Laruelle parla di “un universo ideologico di destra secondo cui il liberalismo, inteso come progetto politico basato sulla libertà individuale e i diritti umani, si è spinto troppo oltre”. In questo tipo di democrazia l’indipendenza della magistratura non è tollerata. I cittadini non sono tutti uguali davanti alla legge e non hanno le stesse protezioni dall’azione dello stato o dei privati.

La costituzione francese è chiaramente imperfetta e la nostra società è spesso ingiusta e iniqua, ma davvero vogliamo che ci vengano imposti i metodi di Viktor Orbán, uno degli inventori della democrazia illiberale, di cui lui stesso lodò i meriti in un discorso del 2014? Da allora diversi leader si sono ispirati a quei concetti, dall’India agli Stati Uniti a Israele. Alcuni ci aggiungono anche Vladimir Putin. Una bella compagnia che siamo ancora in tempo a schivare. ◆ as

Serge July è il fondatore di Libération,di cui è stato a lungo direttore.

Scenari
Cinque ipotesi per la Francia

Tenendo conto dei risultati del primo turno e dei ritiri dal ballottaggio, ecco alcune ipotesi di governi e di maggioranze.

Scenario 1 L’estrema destra forma un governo destinato a cadere. Se il Rassemblement national (Rn) e la parte dei Républicains (Lr, destra) fedele a Éric Ciotti si fermano a 240 deputati, è improbabile che un governo guidato da Jordan Bardella resista a un voto di sfiducia. Il presidente dell’Rn ha già dichiarato che sarebbe disposto a governare solo in caso di maggioranza assoluta. Ma potrebbe chiedere al presidente un mandato per formare un governo simbolico e lanciare una campagna elettorale permanente in vista delle presidenziali del 2027.

Scenario 2 Un’alleanza sulla falsariga della coalizione italiana di Giorgia Meloni (Rn, Lr, altri partiti di destra) si avvicina alla maggioranza assoluta. Ma in questa fase è poco probabile, perché quasi tutti i deputati dell’Lr saranno eletti per limitare l’ascesa dell’Rn.

Scenario 3 Con circa 270 deputati, una “grande coalizione” che riunisce i Républicains, i centristi e il Nuovo fronte popolare, escludendo i radicali di sinistra di La France insoumise (Lfi), si avvicina alla maggioranza assoluta. Resta da vedere se in questo caso si riuscirebbe a trovare un accordo su un programma minimo di governo per ricostruire l’unità nazionale.

Scenario 4 Con più di trecento deputati, una “grandissima coalizione” che riunisce tutte le forze che si oppongono all’Rn – da Lfi a Lr – ottiene la maggioranza assoluta. È tuttavia un’ipotesi molto irrealistica, viste le posizioni espresse durante la campagna elettorale.

Scenario 5 Un’assemblea nazionale bloccata, con l’Lfi e l’Rn che avrebbero i deputati necessari per sfiduciare qualsiasi governo. Questa situazione potrebbe portare a uno stallo parlamentare e istituzionale senza precedenti. Le Grand Continent


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Questo articolo è uscito sul numero 1570 di Internazionale, a pagina 32. Compra questo numero | Abbonati