Le lunghe consultazioni del presidente Emmanuel Macron per arrivare alla nomina di un primo ministro in grado di reggere a lungo senza essere sfiduciato dal parlamento hanno evidenziato uno dei motivi che hanno portato allo scioglimento delle camere, a giugno, e alla conseguente crisi politica che la Francia sta attraversando. Il presidente ritiene che la caduta di un governo a causa di una mozione di sfiducia del Nuovo fronte popolare (Nfp, la coalizione di sinistra), del Rassemblement national (Rn, estrema destra) o addirittura votata da entrambi, per esempio per un disaccordo sulla legge di bilancio, avrebbe conseguenze dirette su di lui.

Un evento simile, in effetti, rischierebbe di accelerare la fine di Macron, facendo sprofondare il paese in una crisi da cui si potrebbe uscire solo con le dimissioni del presidente. L’obiettivo di Macron era triplice: aggirare una sfiducia immediata, evitare una sfiducia in occasione dell’esame del bilancio, a ottobre, e a completare il suo secondo mandato.

Ipotesi fallite

È interessante ripercorrere la sfilata dei tre candidati più credibili che si sono avvicendati nelle consultazioni durate due settimane: Xavier Bertrand, ex segretario di Les républicains (Lr, centrodestra), ex ministro della salute e presidente della regione di Hauts-de-France (in trattative con il capo dello stato per tutta l’estate); Bernard Cazeneuve, ex socialista ed ex primo ministro; e Michel Barnier, ex commissario europeo e negoziatore della Brexit, considerato per questo adatto ad affrontare una crisi. Tra le riserve in caso di stallo erano stati fatti i nomi di Thierry Beaudet, presidente del consiglio economico sociale e ambientale, di alcuni sindaci ed ex ministri e addirittura di Christine Lagarde, presidente della Banca centrale europea che ha già rifiutato diverse volte di lasciare il suo incarico. Bertrand, che in Hauts-de-France è stato il principale nemico di Marine Le Pen, è tra quelli che secondo l’estrema destra hanno “mancato di rispetto al Rassemblement national”. Proprio il “rispetto” è improvvisamente diventato lo stendardo di Michel Barnier. Bertrand poteva contare sul sostegno dei vecchi capi dell’Lr e dell’ex presidente Nicolas Sarkozy, ma è stato scartato perché non aveva sufficienti garanzie di successo. Inoltre aveva il torto di minacciare di cambiare la riforma delle pensioni voluta da Macron e considerata da lui intoccabile.

Cazeneuve, invece, poteva contare su un vantaggio teorico rispetto a tutti gli altri: è già stato primo ministro e dunque saprebbe gestire le leve del potere. Ma la sua candidatura presentava due grosse incompatibilità per Macron: in primo luogo anche Cazeneuve voleva disfare l’opera del presidente e modificare la riforma delle pensioni per dare un segnale positivo alla sinistra, e in secondo luogo non era riuscito a raccogliere un numero sufficiente di deputati socialisti per appoggiare la sua candidatura.

Esclusi Bertrand e Cazeneuve, restava Barnier, ultimo pretendente della contesa. Per difendere questa terza opzione, l’Eliseo ha scelto una strada diversa, ricorrendo a dei “pesi massimi” per avere la garanzia che il governo non sarebbe saltato prima ancora di presentarsi all’assemblea nazionale. Secondo il Journal du Dimanche l’indispensabile Thierry Solère (l’uomo delle missioni impossibili, consulente per le relazioni pubbliche al servizio di Macron che da anni ha intensificato i contatti con i leader dell’estrema destra), avrebbe avuto il via libera di Le Pen alla nomina di Barnier in cambio di una “sorveglianza” permanente sul nuovo governo. Secondo diverse fonti, la dirigente dell’Rn avrebbe confermato questa richiesta a Macron nel corso di una telefonata. Naturalmente gli staff di entrambi hanno smentito. Sulla nomina di Barnier sono stati fatti diversi sondaggi. Secondo quello realizzato dall’Ifop l’8 settembre, la scelta dell’Eliseo sembra apprezzata e ha un gradimento superiore al 50 per cento. Ma ora comincia la parte più difficile.

Da sapere

◆ Il 5 settembre 2024 il presidente francese Emmanuel Macron ha nominato primo ministro Michel Barnier, legato al partito di centrodestra Les républicains, più volte ministro, ex commissario europeo ed ex capo negoziatore per l’Unione europea nelle trattative sulla Brexit. La nomina arriva dopo un ciclo di consultazioni durato due settimane e un governo ad interim rimasto in carica quasi due mesi: dopo lo scioglimento dell’assemblea nazionale (il 9 giugno) e le elezioni legislative (30 giugno e 7 luglio), il governo guidato da Gabriel Attal ha gestito gli affari correnti durante la pausa estiva e le Olimpiadi. Barnier dovrà pronunciare un discorso di indirizzo politico davanti all’assemblea nazionale e al senato. Non è tenuto a chiedere la fiducia, ma i deputati possono avanzare una mozione di sfiducia (censura) che se approvata farebbe cadere il governo. L’ex presidente socialista François Hollande, scrive Le Point, “ha annunciato che voterà insieme alla coalizione di sinistra Nuovo fronte popolare per sfiduciare il futuro governo Barnier e far cadere un esecutivo a suo avviso ‘sostenuto dall’estrema destra’ di Marine Le Pen. Secondo la sinistra, che aveva candidato Lucie Castets come premier, il presidente della repubblica non sta ‘rispettando la volontà degli elettori’”.


Il primo ministro sarà in effetti sotto sorveglianza. Durante le prime settimane dovrà dare qualche soddisfazione simbolica all’Rn: riforma elettorale, misure contro l’immigrazione, espulsioni. La scelta di nominare Michel Barnier permette soprattutto al Rassemblement national di cancellare la performance deludente del secondo turno delle elezioni legislative, in cui ha trionfato il Nuovo fronte popolare. La sinistra, il centro e il centrodestra si erano alleati per evitare una vittoria dell’Rn, ma non ne hanno approfittato per costruire un’alternativa politica. Di conseguenza si sta affermando l’idea secondo cui non esistono perdenti ma solo tre poli equivalenti: quello dell’Rn, quello del Nuovo fronte popolare e quello centrista.

La realtà è che il perdente principale è il capo dello stato, che però non riesce ad ammetterlo. L’operazione Barnier, in ogni caso, permette al Rassemblement national (che ne ha subito approfittato) di rialzare la testa. L’estrema destra non è ancora al potere, ma non è più possibile farne a meno. ◆ as

Serge July è uno dei fondatori del quotidiano francese Libération, di cui è stato a lungo direttore.

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Questo articolo è uscito sul numero 1580 di Internazionale, a pagina 24. Compra questo numero | Abbonati