Era un giovane prete cattolico quando scelse un luogo insolito per fondare una scuola materna: un ex porcile vicino a un mattatoio in uno dei quartieri più poveri di Bangkok, in Thailandia. Per pochi soldi al giorno, il sacerdote statunitense Joseph Maier accoglieva i bambini delle famiglie più povere, insegnandogli a scrivere i loro nomi in tailandese e dandogli quello che spesso era il loro unico pasto della giornata. Anche lui viveva nelle vicinanze, circondato dagli emarginati della capitale: macellai, spazzini, venditori ambulanti, mendicanti, ladri e prostitute. Usavano tavole di legno per camminare sul terreno fangoso del quartiere, che nella stagione delle piogge si trasformava in una palude.
Cinquant’anni dopo padre Joe, come lo chiamano i suoi vicini, è sempre lì ad aiutare gli abitanti di Khlong Toei, ancora oggi uno dei quartieri più poveri di Bangkok, mentre il resto della città si è trasformato in una metropoli. Il trasferimento era stato una sorta di esilio, racconta, una punizione della chiesa cattolica per il suo comportamento inappropriato. “Nessuno voleva avermi intorno”, ha raccontato in un’intervista rilasciata poco tempo fa. “Ero sempre ubriaco. Ero un giovane arrabbiato, non ero sereno”. Ma a Khlong Toei, padre Joe, che oggi ha 82 anni, ha trovato il suo posto nel mondo, quello di un emarginato tra gli emarginati. Quella piccola scuola materna era solo l’inizio dell’impegno sociale di padre Joe. Si interessava tanto al benessere materiale delle persone quanto alla loro crescita spirituale. Negli anni successivi diede vita alla Human development foundation.
La fondazione è cresciuta e oggi gestisce una rete di più di trenta scuole che si sono occupate della formazione di almeno trentamila bambini. Negli anni Maier ha aperto anche una casa per accogliere madri e bambini abbandonati e un istituto per malati di aids, che ora fornisce un sistema di assistenza domiciliare.
“Per me non è solo un sacerdote”, spiega Nitaya Pakkeyaka, 52 anni, una delle prime bambine a frequentare la scuola, e che ora lavora nel suo staff. “È mio padre, è mio nonno”, aggiunge Pakkeyaka. “Ogni volta che ho un problema è lui a starmi vicino. È sempre dalla mia parte, che le cose vadano bene o male, nei momenti tristi e in quelli felici”.
Ma oggi, dice padre Joe, nonostante abbia ottenuto riconoscimenti internazionali – un master e due dottorati di ricerca onorari, la cittadinanza di Bangkok e un premio alla carriera consegnato dalla regina madre Sirikit di Thailandia – non si è ancora scrollato di dosso la sensazione di essere ai margini della società. “Sono sempre stato un outsider”, racconta. “Come dicono gli irlandesi, ho sempre ‘camminato sui bordi del barattolo’”.
Nato il 31 ottobre 1939 a Longview, nello stato di Washington, negli Stati Uniti, fu abbandonato dal padre, imbianchino e agricoltore. La madre portò il marito ripetutamente in tribunale nella vana speranza che si occupasse del mantenimento dei figli. “Non era violento, ci ha semplicemente lasciati e questo fa molto male”, racconta. “ È l’essenza di tutto: volevo diventare un sacerdote per aiutare altri ragazzi, perché non soffrissero e non facessero male agli altri, come era successo a me”.
Un posto isolato
Quando era ancora un ragazzo, se ne andò di casa per entrare nei seminari cattolici redentoristi di Oakland, in California, e di Oconomowoc, nel Wisconsin. Ricorda l’emozione provata, dopo essere diventato prete, di quando tenne il suo primo sermone in una minuscola chiesa di legno in South Dakota, costruita dai suoi parenti irlandesi e con appena quaranta posti a sedere. “Quello è un momento molto importante per un sacerdote”, dice, indicando una piccola fotografia in bianco e nero della chiesa, appesa alla parete sopra il suo tavolo da pranzo.
Quando nel 1967 arrivò in Thailandia, per una missione assegnatagli dai redentoristi, fu inviato prima nel nordest del paese e in Laos. Tornato a Bangkok nel 1971, dopo lo scoppio della guerra in Laos, fu inviato a Khlong Toei, un quartiere isolato quasi quanto un altopiano inaccessibile. “Il prete che stava lì era sempre ubriaco. E io l’ho sostituito, come sacerdote e come ubriacone”, racconta.
A Khlong Toei incontrò una suora, Maria Chantavarodom, che oggi ha 92 anni. Fu lei a guidarlo attraverso gli stretti vicoli e ad aiutarlo a fondare la piccola scuola dentro l’ex porcile. “Suor Maria è sempre stata il cuore pulsante del progetto”, racconta. “Lo era allora, e lo è ancora oggi”, dice padre Joe, facendo sua l’umiltà che si addice a un prete. “Non sono mai stato io. Io sono capitato lì per caso”.
Poco dopo il suo arrivo, padre Joe ebbe l’opportunità di accompagnare madre Teresa di Calcutta a Khlong Toei, durante la sua visita in Thailandia. Fu così colpito dal suo carisma e dalla sua spiritualità che racconta di aver detto: “Voglio essere come lei”. Racconta poi che, seguendo il suo esempio, per 23 anni ha visitato i detenuti di un carcere di massima sicurezza e di uno per immigrati irregolari. Durante la settimana santa svolgeva il rituale del lavaggio dei piedi dei detenuti.
Per decenni padre Joe ha vissuto in una baracca, come i suoi vicini. Nel 2001 un filantropo statunitense, John Cook, ha fatto una donazione che ha permesso d’ingrandire la fondazione costruendo dormitori, aule, una cappella e un appartamento più comodo per il sacerdote.
Nonostante il suo impegno, padre Joe può essere esigente e avere modi bruschi, secondo il personale della fondazione, e, anche cinquant’anni dopo il suo arrivo in Thailandia, i suoi rapporti con la gerarchia ecclesiastica rimangono tesi. “La chiesa non vuole avere niente a che fare con me. Il cardinale m’ignora, il che mi va bene”, dice padre Joe, riferendosi probabilmente al cardinale Francis Xavier Kriengsak Kovithavanij, arcivescovo di Bangkok. “Gesù non è mai stato accettato per aver fatto del bene. L’hanno ammazzato”.
Il nuovo prete della missione locale dei redentoristi, John Wirach Amonpattana, dice che solo le gerarchie più alte della chiesa cattolica rimangono diffidenti nei confronti di padre Joe, che celebra la messa nella chiesa del Santo redentore ogni fine settimana. “È come un profeta”, dice padre Wirach.
I cattolici sono una piccola minoranza a Khlong Toei, e in generale in Thailandia, ma padre Joe dice di aver sempre vissuto in armonia con i buddisti e i musulmani, e che il rispetto è reciproco. “Siamo in totale sintonia. Preghiamo insieme”, dice. E aggiunge: “Mi accettano come uno di loro. Mi trattano come se fossi un monaco buddista, che si comporta in modo educato e gentile”.
La cura del suo gregge è sempre stata la sua priorità assoluta. Le conversioni non sono mai state parte del programma. Ogni sabato padre Joe dice la messa per i bambini, che però sono liberi di pregare nella religione che preferiscono. “Ma in mezzo alle preghiere buddiste facciamo in modo d’inserire sempre un’ave Maria”, racconta.
Come per i sacerdoti cattolici, non ci si aspetta che i monaci buddisti in Thailandia siano vegetariani, ma padre Joe ha comunque fatto un tentativo. “Ci ho provato, ma non ce l’ho fatta. Mangiavo un sacco di zuppa di pollo con noodles”. Ma, in quanto figura religiosa a Khlong Toei, era deciso a “essere puro come la neve”. E aggiunge: “Non potevo fare nulla di stupido, come ubriacarmi”.
All’inizio è stato difficile comportarsi bene.“Ero un ipocrita. Bevevo quando ero da solo”. Da giovane vagava per le bancarelle di Khlong Toei. Oggi, quando esce di casa, le persone lo salutano ancora: “Salve, padre Joe!”. Come se fossero anche loro cattoliche.
“Parla con tutti, anche se non conosce molto bene il tailandese. Mi chiedeva: ‘Come va? Stai vendendo?’”, dice Amphorn Iamphorn, 58 anni, da 23 venditore ambulante di pane tostato con burro e zucchero. “Per me la religione non c’entra niente. È solo una brava persona”. ◆ ff
◆ 1939 Nasce a Longview, nello stato di Washington, negli Stati Uniti.
◆ 1967 È inviato dalla chiesa cattolica in Thailandia e in Laos.
◆ 1971 Si trasferisce a Khlong Toei, un quartiere povero di Bangkok.
◆ 2001 Grazie alla donazione di un filantropo crea una fondazione e una struttura polifunzionale che comprende aule scolastiche e un dormitorio.
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Questo articolo è uscito sul numero 1485 di Internazionale, a pagina 78. Compra questo numero | Abbonati