Un lavoratore indiano è morto in Italia dopo essere stato abbandonato in strada senza nessun tipo di assistenza medica: si era ferito con un macchinario agricolo che gli aveva tranciato un braccio e lacerato le gambe. La presidente del consiglio italiana Giorgia Meloni ha dichiarato che Sat­nam Singh, uno delle migliaia di immigrati indiani che lavorano nei campi in Italia, è stato vittima di “atti disumani”. Singh lavorava in una serra nell’agro pontino, in provincia di Latina. È morto il 19 giugno in un ospedale di Roma.

La Bbc cita i mezzi d’informazione italiani secondo cui Antonello Lovato, il titolare dell’azienda per cui lavorava Singh, ha abbandonato l’uomo e la moglie per strada, vicino alla loro abitazione. Il braccio di Singh è stato messo in una cassetta della frutta. I medici del pronto intervento hanno raggiunto Singh solo un’ora e mezza dopo. Trasportato in aereo in un ospedale di Roma, è morto nel giro di poche ore. Lovato è indagato per omissione di soccorso e omicidio colposo. Singh, 31 anni, viveva e lavorava in Italia senza documenti in regola da circa due anni.

Condizioni di schiavitù

Il sindacato Flai-Cgil (Federazione lavoratori agro industria) il 23 giugno ha manifestato a Latina, la città dove Singh viveva, per protestare contro la sua morte. Maurizio Landini, segretario generale della Cgil, subito dopo l’incidente aveva dichiarato: “Siamo di fronte a una situazione di vera e propria schiavitù. La morte di un lavoratore – un lavoratore senza documenti – è di una gravità inaudita”.

I mezzi d’informazione italiani parlano di “caporali”, cioè di persone incaricate dagli agricoltori locali di trovare braccianti a basso costo. I caporali tengono per loro una parte dei soldi, e con quelli dati ai braccianti agricoli si fanno pagare il trasporto nei campi, l’acqua e da mangiare. Secondo l’Istat, nel 2018 si trovava in questa situazione quasi un quarto della forza lavoro agricola in Italia. E il sistema riguarda anche i settori dei servizi e dell’edilizia. Nel 2016, una donna italiana è morta di infarto mentre lavorava, dodici ore al giorno, per raccogliere e selezionare l’uva. Queste lavoratrici e questi lavoratori ricevono paghe molto basse, vivono in capanne, tuguri o baraccopoli senza accesso all’istruzione o alle cure sanitarie.

Secondo un reportage della Cnn, “per ogni cassone da trecento chili di pomodori raccolti dai braccianti il proprietario del terreno dà cinque euro al caporale che ne dà tre al lavoratore. Ai migranti vengono sottratti cinque euro al giorno per il trasporto e a volte altri cinque per i pasti”. L’Istituto nazionale assicurazione infortuni sul lavoro (Inail) ha dichiarato che nei primi quattro mesi del 2024 in Italia gli incidenti mortali sul lavoro sono stati quattro in più dello stesso periodo dell’anno precedente, arrivando a 268.

La maggior parte dei migranti sikh lavora nel settore lattiero-caseario italiano, oppure nella raccolta della frutta o delle olive. Qualche anno fa Balbir Singh, un altro migrante indiano di religione sikh proveniente dal Punjab, aveva descritto le sue condizioni di schiavitù nel settore dell’allevamento del bestiame a Latina. Aveva raccontato ai mezzi d’informazione che lavorava per 13 ore al giorno, comprese le domeniche, senza ferie e riposo. Era pagato meno di 50 centesimi all’ora, scrive l’agenzia di stampa Afp. Il salario minimo per i lavoratori agricoli è di circa dieci euro all’ora. Singh è stato liberato da un’operazione di polizia il 17 marzo 2017 dopo un appello lanciato su Facebook e WhatsApp ai leader della comunità indiana locale e a un attivista italiano per la tutela dei diritti dei lavoratori. ◆ gim

Da sapere

◆ I primi accertamenti dopo l’autopsia indicano che Satnam Singh sarebbe morto a causa di un “copioso sanguinamento”. Secondo i medici avrebbe forse potuto essere salvato se fosse arrivato subito in ospedale. L’associazione Comunità indiana del Lazio ha manifestato il 25 giugno a Latina, dopo la sua morte. Hanno parlato i rappresentanti della comunità indiana e quelli dei sindacati. “Siamo pronti a gridare per dire basta a uno sfruttamento che dura da secoli”, hanno detto dal corteo. Agi, Ansa


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Questo articolo è uscito sul numero 1569 di Internazionale, a pagina 36. Compra questo numero | Abbonati