La storia non si è conclusa in modo clamoroso, ma con l’immagine sfocata di una persona che sale su un aereo, mentre quasi tutti dormono. Julian Assange, tornato in libertà il 26 giugno, era diventato il fulcro di una battaglia legale interminabile. Assange aveva passato già cinque anni in un carcere di massima sicurezza britannico. I suoi avvocati si sono battuti per evitare che fosse estradato negli Stati Uniti, dove gli sarebbero toccati molti altri anni di prigione. Ora, dopo aver apparentemente accettato un patteggiamento che ha richiesto un’udienza surreale in un’isola del Pacifico occidentale, Assange potrà avere qualcosa di simile a una vita normale nella sua nativa Australia. Uno degli aspetti più singolari di questa vicenda è che, mentre era in carcere, si è sposato e ha avuto due figli. Adesso potrà trascorrere più tempo con la famiglia.

Il fatto che il fondatore di Wikileaks sia libero è una buona notizia. L’aspetto negativo è che ha ottenuto la libertà solo ammettendo di aver violato l’Espionage act, la legge statunitense del 1917 contro lo spionaggio. Qualsiasi cosa sia, di sicuro Assange non è una spia. Editore, giornalista, attivista, anarchico, imprenditore: Assange è tutto questo. Ma nessuno, nemmeno Washington, ha mai sostenuto seriamente che le sue azioni tra il 2010 e il 2011 costituissero un atto di spionaggio. Scegliendo di usare lo strumento dell’Espionage act (da cui non ci si può difendere) contro una persona che ha rivelato informazioni d’interesse pubblico, si è superato un limite pericoloso.

Il fatto che sia libero è una buona notizia. L’aspetto negativo è che l’hanno costretto ad ammettere di aver violato la legge statunitense contro lo spionaggio

Questo precedente dovrebbe preoccupare i giornalisti (o “i veri giornalisti”, come amano definirsi). Per cinque anni Assange è stato sottoposto all’equivalente moderno di una tortura medievale per scoraggiare tutti gli altri. E se questi altri si fossero resi conto o no di quello che stava succedendo è irrilevante. Alcuni erano troppo impegnati a discutere se lui fosse o meno uno di loro. Lo capiranno, quando sarà il momento. Il trattamento riservato ad Assange, insieme alle leggi severe introdotte in paesi come il Regno Unito e l’Australia, avrà un effetto devastante sul giornalismo onesto che si occupa di sicurezza nazionale. Questa è una vittoria per il governo e il segreto di stato, non certo per tutti noi.

Probabilmente la libertà dell’australiano Assange è il risultato dell’intervento dei politici del suo paese, compreso il primo ministro Anthony Albanese. Possiamo essere certi che nessun governo statunitense avrebbe tollerato che un proprio cittadino subisse un trattamento simile. Provate a immaginare un giornalista americano che vive a Londra estradato in India per essere incarcerato dopo aver rivelato i segreti che il governo indiano stava cercando di tenere nascosti. Non potrebbe mai succedere.

Occuparsi di sicurezza nazionale per un giornale è difficile. Bisogna fare luce su attività che, per definizione, vorrebbero passare inosservate. Alcuni giornalisti riescono ad accendere solo una fiammella, altri una torcia. E abbiamo bisogno degli uomini con la torcia, soprattutto in un’epoca in cui lo stato ha le potenzialità tecnologiche per osservare tutti i segreti di ogni individuo.

Nel 2013 Edward Snowden, fonte interna alla National security agency (Nsa), ha svelato che le agenzie di sicurezza hanno poteri che fanno sembrare 1984 di George Orwell una fiaba per bambini. Diversi tribunali hanno stabilito che le sue preoccupazioni erano fondate. Eppure Snowden, proprio come Assange, è stato minacciato con l’Espionage act e potrebbe passare il resto della sua vita in esilio. Un giornalista britannico che in futuro dovesse collaborare con una fonte di questo calibro potrebbe rischiare anni di carcere

Il padrino dei moderni whistleblower (chi rivela le attività illecite di governi e istituzioni), Daniel Ellsberg, è morto l’anno scorso a 92 anni. Rischiò tutto per rivelare al mondo sulle pagine del New York Times e del Washington Post la verità segreta sul Vietnam con l’inchiesta Pentagon papers. Il presidente Nixon lo accusò di tradimento. Anche Ellsberg, come Assange e Snowden, fu perseguito in base all’Espionage act. Nel caso dei Pentagon papers due direttori, sostenuti da editori coraggiosi, avevano stabilito il principio secondo cui nessun governo, tranne in casi eccezionali, ha il diritto d’impedire la pubblicazione di materiale d’interesse pubblico. La corte suprema aveva bocciato il decreto ingiuntivo contro i giornali. Il giudice Hugo Black aveva dichiarato: “I giornali hanno fatto esattamente quello che i padri fondatori speravano”.

Per più di cinquant’anni i giornalisti hanno potuto contare su questa solida difesa del loro ruolo, anche quando hanno rivelato la verità su temi legati alla sicurezza nazionale. I casi di Assange e Snowden, però, stabiliscono un precedente diverso. E non è un bel precedente. ◆ as

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Questo articolo è uscito sul numero 1569 di Internazionale, a pagina 38. Compra questo numero | Abbonati