Il governo italiano ci riprova: per fare funzionare i centri di detenzione in Albania gli cambia destinazione d’uso. Ma di fatto riconosce il fallimento del progetto iniziale di usarli per esaminare le domande di asilo in territorio extraeuropeo, dopo tre tentativi non andati a buon fine.

Il 28 marzo il consiglio dei ministri ha approvato un decreto che prevede l’uso delle strutture come centri per il rimpatrio (Cpr), cioè centri di detenzione amministrativa per i migranti irregolari. Le strutture saranno ampliate fino a contenere 140 posti in più rispetto agli attuali e saranno usate anche per ospitare migranti irregolari, cioè stranieri a cui è già stato rifiutato l’asilo o a cui è scaduto il permesso di soggiorno.

In attesa della sentenza della corte di giustizia europea sulla questione della detenzione dei migranti e del concetto di “paesi sicuri” – che dovrebbe arrivare prima dell’estate – il governo italiano prova comunque a usare le strutture, che al momento sono vuote e che hanno suscitato molte polemiche sia per i costi, sia per le violazioni dei diritti umani. Durante una conferenza stampa, il ministro dell’interno Matteo Piantedosi ha dichiarato che il nuovo decreto non ha cambiato l’accordo con l’Albania siglato da Roma nel 2023, ma ha aggiunto nuove funzioni a quelle previste per i centri extraterritoriali. Il centro per migranti a Gjadër è composto da un centro di trattenimento con 880 posti, un carcere da venti posti e il Centro di permanenza per il rimpatrio (Cpr) da 144 posti.

“Il decreto modifica la legge che ratifica il protocollo con l’Albania, ma non ne cambia il contenuto, rendendo possibile trasferire al centro di rimpatrio di Gjadër già esistente anche i migranti provenienti dall’Italia”, ha spiegato Piantedosi. Poi ha aggiunto: “Questo ci permetterebbe di riattivare immediatamente quel centro in modo che non perda le sue funzioni”.

Piantedosi ha chiarito anche che questo fa parte di un progetto più ampio che mira ad allargare la rete dei Cpr e che prevede l’apertura di cinque nuovi centri per il rimpatrio anche sul territorio italiano. Due saranno inaugurati a breve, secondo il ministro. “Non cambia nulla sui rimpatri. Dipende molto dalla nazionalità delle persone che vengono rimpatriate. Le modalità non cambieranno e saranno articolate a seconda degli accordi con i paesi di origine”, ha aggiunto Piantedosi.

D’ora in poi qualsiasi migrante per il quale siano stati emessi ordini di rimpatrio potrà essere mandato in Albania. Il ministero dell’interno sta pianificando un primo trasferimento, che avverrà nell’arco di poco tempo. Piantedosi ha aggiunto che “non saranno necessari fondi aggiuntivi per la creazione delle strutture poiché un Cpr era già previsto”.

Inoltre “al momento, il centro è già attivo per circa 50 posti e si sta lavorando per aumentarlo a oltre 140”. Nemmeno gli eventuali trasferimenti dall’Albania all’Italia per un successivo rimpatrio nei paesi di origine comporteranno spese aggiuntive, ha affermato il ministro, poiché “spesso avvengono già tramite collegamenti tra diverse città italiane che coprono le stesse distanze”.

Ma le critiche al nuovo progetto del governo italiano non si sono placate. “Nonostante le reiterate dichiarazioni di questi mesi della presidente del consiglio Giorgia Meloni sui centri in Albania, è evidente che non hanno funzionato. Altrimenti non si sarebbero arresi tentando di cambiarne la destinazione d’uso e attestando il fallimento definitivo del famoso modello albanese”, ha commentato in un comunicato il Tavolo asilo e immigrazione, una rete di associazioni che si occupano di questi temi.

“La possibilità di aprire delle strutture di detenzione amministrativa per stranieri espulsi al di fuori del territorio europeo è scelta di assai dubbia legittimità e non farà che allungare le procedure e la spesa a carico dello stato, oltre che sottoporre a trattamenti disumani e degradanti persone che non hanno commesso alcun reato”, si legge nel comunicato.

“I rimpatri forzati in questi anni hanno subìto ritardi nell’esecuzione a causa della mancanza di accordi con molti dei paesi d’origine delle persone in attesa di espulsione. Il numero dei posti e la durata della detenzione non ha mai inciso sul risultato finale. Guardando i numeri si tratta sempre di alcune migliaia di persone rimpatriate attraverso i Cpr, intorno ai cinquemila all’anno, segno evidente della loro inutilità e della necessità della loro chiusura”, conclude.

In molti, infine, si sono chiesti se la nuova destinazione d’uso dei centri italiani sia in linea con il nuovo regolamento europeo sui rimpatri, proposto qualche settimana fa dalla Commissione europea. Ma in realtà è stato chiarito che i centri italiani in Albania saranno Cpr e non “hub per il rimpatrio”, le persone cioè potrebbero essere ritrasferite in Italia prima di essere rimpatriate.

“Siamo a conoscenza degli ultimi sviluppi riguardanti il decreto sui centri in Albania. Siamo in contatto con le autorità italiane. Secondo le nostre informazioni, la legislazione nazionale italiana si applicherebbe a questi centri, come è stato finora per l’asilo. In linea di principio, questo è conforme al diritto dell’Unione europea”, ha dichiarato il portavoce della Commissione europea per gli affari interni, Markus Lammert in briefing il 31 marzo. Assicurando che la Commissione continuerà “a monitorare l’attuazione del protocollo nella sua nuova versione”.

Questo articolo è tratto dalla newsletter Frontiere.

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