Durante una protesta contro i tagli alla ricerca a Houston,  in Texas, 7 marzo 2025. - Kirk Sides, Houston Chronicle/Getty Images
Durante una protesta contro i tagli alla ricerca a Houston, in Texas, 7 marzo 2025. (Kirk Sides, Houston Chronicle/Getty Images)

È difficile non parlare ogni settimana di quello che succede negli Stati Uniti. Fino a tre mesi fa per molti era ancora il paese delle opportunità, una terra promessa. Ma oggi il sogno americano sta diventando un incubo, e non solo per i migranti o per gli strati più poveri della popolazione (per i quali realisticamente lo era già da tempo).

La rivista Nature ha fatto un sondaggio tra gli scienziati che vivono negli Stati Uniti. Il 75 per cento delle persone che hanno risposto (in tutto circa 1.650) sta pensando di lasciare il paese. In particolare i ricercatori più giovani e all’inizio della loro carriera. Stanno valutando se andarsene 548 studenti di master su 690 e 255 studenti di dottorato su 340.

Sulla decisione pesano i tagli ai fondi per la ricerca; il blocco dei finanziamenti; i licenziamenti di decine di migliaia di dipendenti federali, tra cui molti scienziati; gli attacchi alle università e le misure repressive sull’immigrazione.

Molti scienziati vorrebbero trasferirsi in paesi dove hanno già amici, parenti o legami accademici. “In qualunque paese sostenga la ricerca”, ha scritto una delle persone che hanno risposto al sondaggio.

Alcuni hanno intenzione di tornare nel loro paese d’origine. “Questa è la mia casa, amo davvero questo paese”, ha detto una ragazza, laureata in una delle migliori università statunitensi e impegnata nel campo della genomica vegetale e dell’agricoltura, “ma molti dei miei professori mi hanno consigliato di andarmene al più presto”.

La ragazza ha perso il suo assegno di ricerca e la borsa di studio quando l’amministrazione Trump ha interrotto i finanziamenti all’Usaid, l’agenzia per lo sviluppo internazionale.

Un ricercatore in campo biomedico ha riassunto le preoccupazioni di molti intervistati: “Non vorrei andarmene, ma qual è l’alternativa?”. Per l’Europa sarebbe il momento di dimostrarsi aperta e accogliente. E lungimirante. ◆

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Questo articolo è uscito sul numero 1608 di Internazionale, a pagina 5. Compra questo numero | Abbonati