Le dita di Amr Helwani muovevano rapidamente le manopole del mixer mentre le luci al neon colorate e il fumo bianco inondavano il giardino piastrellato della vecchia casa ottomana in cui era sistemata la console. Era una fredda notte di fine gennaio e la musica techno del dj di 33 anni animava una festa a Gaziantep, una città nel sudest della Turchia al confine con la Siria. Helwani ci vive dal 2013. Come molti di quelli che ballavano, è fuggito dalla guerra in Siria lasciando Aleppo, a meno di due ore di auto da lì.
“Stanotte infrangiamo la barriera del suono”, scherzava Helwani, un uomo alto con una maglietta nera, riferendosi alla musica assordante. “No, in realtà stiamo semplicemente tentando d’infrangere le barriere linguistiche e culturali. Turchi e siriani hanno tradizioni molto simili ma la lingua è diversa. La techno è tutta questione di ritmo, non di parole. Rende più facile ballare insieme”.
Helwani è uno dei dj di Room41, un club itinerante di musica techno ed elettronica fondato da un rifugiato siriano che da anni intrattiene gli abitanti di Gaziantep. Il club era per i siriani un punto di riferimento per lasciarsi andare e incontrare persone con la stessa passione per la musica.
Helwani non sapeva che quel 28 gennaio sarebbe stato l’ultimo dei suoi spettacoli per un po’. “Ci vediamo tra due settimane!”, aveva detto concludendo la serata, alle tre del mattino. Circa una settimana dopo alcuni terremoti catastrofici hanno colpito il sudest della Turchia e il nordovest della Siria, cambiando per sempre la vita degli abitanti di quei territori. Più di cinquantamila persone sono morte. A Gaziantep ci sono state tremila vittime, mentre gli sfollati sono ancora migliaia. Con scosse di assestamento andate avanti per settimane e il trauma della perdita e della devastazione, le luci della vita notturna techno siriana si sono spente, proprio come era successo durante la guerra.
“È spaventoso quanto ricordasse i giorni della guerra: le urla, il dolore, la fuga. Ma abbiamo promesso al nostro pubblico che la musica sarebbe tornata, più forte che mai, a risollevarci il morale”, dice Helwani a maggio al Sakulta, un affollato caffè nel centro di Gaziantep che vende i biglietti per Room41. Il suo appartamento è stato risparmiato dai danni più gravi ma lui si è trasferito temporaneamente più a ovest, nella città costiera di Mersin, per sfuggire allo stress delle continue scosse di assestamento.
Dall’inizio del conflitto siriano nel 2011 circa 3,7 milioni di profughi si sono stabiliti in Turchia. La maggior parte oggi vive al confine sudorientale, geograficamente e culturalmente più vicino alla Siria. Dalle case ottomane dell’ottocento, con grandi cupole e archi bianchi e neri a ferro di cavallo, alla rocca (in parte distrutta dalle scosse) fino alle anguste strade acciottolate piene di botteghe di fabbri e chioschi, molti angoli di Gaziantep rievocano le immagini di Aleppo prima della guerra.
Oggi più di mezzo milione di siriani vivono in questa città, un crocevia tra le culture turca, curda e araba. Anche se la loro presenza ha causato qualche attrito, ha anche rimodellato il volto sociale e urbano di Gaziantep. Negozi siriani, ristoranti e caffè che offrono musica tradizionale dal vivo riempiono le strade del centro. Dopo i terremoti di febbraio, la maggior parte ha riaperto con pochi danni.
Nuove forme di espressione
“Tra le poche cose che siamo riusciti a portare con noi scappando dalla guerra, il patrimonio culturale è stato senz’altro fondamentale”, dice Rami Magharbeh, anche lui di Aleppo. Magharbeh, un uomo di 38 anni con i capelli grigi e ricci raccolti in una coda, è la mente dietro Douzan art and culture, un’organizzazione di Gaziantep che lavora per preservare le arti siriane in esilio. “Comprese le nuove forme di espressione artistica, come la musica elettronica, che i nostri giovani avevano appena cominciato a scoprire quando è scoppiata la guerra”, aggiunge parlando dalla terrazza della sede di Douzan, un’imponente casa ottomana nel quartiere armeno. Grazie agli sforzi delle associazioni culturali e di individui intraprendenti, la vita notturna di Aleppo si è trasferita circa cento chilometri oltre il confine. In quella che un tempo era una città assonnata, i dj siriani e gli appassionati di musica elettronica hanno ricreato l’atmosfera che si erano lasciati alle spalle.
I rave segreti e le feste clandestine avevano appena cominciato a decollare ad Aleppo quando scoppiò la guerra civile, racconta Batoul Mohammad, una carismatica produttrice di musica elettronica di 36 anni, slanciata e con lunghi capelli neri, che vive tra Gaziantep e Istanbul. “La guerra ha interrotto bruscamente questo sviluppo, proprio quando la nostra generazione era pronta a mostrare di cosa era capace”, continua. “Partecipavo alle feste e ho portato a Gaziantep quello che mi hanno insegnato. Mi sono resa conto che qui non c’era una vita notturna. Era una delle cose che mi mancava di più”. Originaria di Homs, Mohammad amava quello che Aleppo le offriva quando poteva permettersi di andarci, nei fine settimana: dagli eventi di spoken word (una forma di poesia incentrata sulla recitazione ad alta voce) ai concerti di musica rock. Era stata la ricca atmosfera culturale della città a ispirarla a lavorare nelle arti performative.
Nel 2013, a 25 anni, ha attraversato da sola il confine con la Turchia. I suoi genitori, anche se volevano che restasse, sapevano che il suo sogno era lavorare nella musica e la sostenevano. Mohammad ha trovato un appartamento a Gaziantep in cui passava le giornate a imparare da autodidatta come usare i software di mixaggio e a guardare video dei dj set. “Impegnarmi in attività così complicate ha aiutato la mia mente a concentrarsi sul presente, invece di agitarsi pensando al passato”, spiega, riferendosi al dolore di lasciare la famiglia e arrivare in un paese in cui spesso si sentiva sgradita e riceveva insulti solo per il fatto di essere siriana. Per sette anni ha fatto lavori saltuari caricando la sua musica sulla piattaforma SoundCloud. Ha faticato a trovare una comunità di artisti, fino al 2020, quando il fondatore di Room41, Nashwan Jamali, l’ha contattata su Instagram e l’ha invitata a esibirsi in uno dei suoi eventi.
Divertirsi e ricordare
Quando è cominciata la guerra Jamali era uno studente di economia e commercio all’università di Aleppo e aveva appena cominciato a organizzare eventi musicali. All’inizio del conflitto era stato picchiato e arrestato dalla polizia siriana per aver preso parte alle proteste contro il governo. Nel 2012 si ritrovò a nascondersi nei bunker sotterranei – che un tempo ospitavano i rave – per ripararsi dai bombardamenti aerei. “Così ho imparato a gestire le situazioni di emergenza alle feste, come le evacuazioni per incendi e terremoti. Durante i bombardamenti aerei di notte capitava di dover mettere in salvo molte persone”, spiega.
Un anno dopo ha attraversato il confine della Turchia con il fratello maggiore in cerca di un futuro migliore, mentre i genitori e la sorella più grande sono rimasti ad Aleppo. Con il tempo i ricordi della violenza della polizia, dei raid aerei e del travagliato passaggio in Turchia – quando era terrorizzato che la polizia di frontiera siriana sparasse a lui e al fratello – hanno lasciato il posto alla nostalgia di casa. Jamali cominciava a immaginare un luogo in cui i siriani della sua generazione potessero ritrovarsi, divertirsi e tornare a un passato migliore.
Poi, una notte del 2016, mentre si trovava in un hammam turco con una temperatura di 41 gradi centigradi, ha avuto l’idea di creare un club di musica elettronica itinerante. Artisti elettronici come Hello Psychaleppo e Boshoco, entrambi di Aleppo, stavano conquistando i palchi europei. Ma Jamali, che oggi ha 32 anni, pensava che avrebbe avuto senso far rivivere la vita notturna siriana a Gaziantep – una città che aveva molte cose in comune con Aleppo in campi come la cucina, la religione e la storia – per aiutare i siriani ad ambientarsi meglio. “Gaziantep è molto simile ad Aleppo in termini di persone e cultura, quindi era il posto giusto per cercare di rimettere in sesto la nostra vita notturna perduta”, dice Jamali sorseggiando un caffè al Sakulta, vestito con la sua solita maglietta e le scarpe da ginnastica, poco prima di una riunione per organizzare il prossimo evento di Room41. “Era chiaro che la maggior parte di noi era destinata a restare e a non tornare mai più in Siria, e avevamo bisogno d’integrarci. La musica è spesso lo strumento vincente”.
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All’inizio pensava che sarebbe stato eccezionale se il club fosse andato in altre città, ma poi ha deciso che portarlo in quartieri diversi di Gaziantep avrebbe potuto ribaltare l’idea che i siriani se ne stanno per conto loro, promuovendo l’incontro tra le comunità. Il concetto era nuovo e i siriani devono affrontare ancora più burocrazia dei turchi quando avviano un’attività, quindi ci è voluto quasi un anno per registrare Room41. Nel frattempo, non si potevano pubblicizzare molto le feste e l’affluenza era bassa. Inoltre alcuni spacciatori cercavano di infiltrarsi agli eventi, così Jamali ha assunto personale per la sicurezza ed è andato avanti con il progetto: “Sapevamo che stavamo facendo qualcosa per la comunità, colmando un vuoto”.
Oggi Jamali ha 19 dipendenti, sia siriani sia turchi. I prezzi dei biglietti di Room41 sono abbordabili rispetto a quelli per serate simili in città più grandi – come la capitale Istanbul o Smirne, sulla costa dell’Egeo – e una media di trecento persone partecipa agli eventi, che si tengono due volte al mese il sabato sera. Nei suoi sei anni di attività Room41 ha anche offerto uno spazio a molti dj siriani emergenti.
Amr Helwani, che fa il dj a Room41 da tre anni, è uno di loro. Come Jamali, è stato arrestato e picchiato ad Aleppo per aver preso parte alle proteste antigovernative. Temendo di finire in prigione o di morire, è entrato illegalmente in Turchia nel 2013. La sua famiglia è rimasta in Siria. Anche se è in contatto con loro e ne sente la mancanza, da quando se n’è andato non è più riuscito a vederli.
Ad Aleppo andava spesso ai concerti metal e rock. Quando è arrivato in Turchia gli mancava profondamente la musica dal vivo che andasse oltre le vecchie canzoni popolari suonate nei caffè. Helwani, che di giorno lavora per una ong, ha imparato da solo a mixare e produrre musica per distrarsi dai ricordi dei bombardamenti ad Aleppo e non pensare alla lontananza dalla sua famiglia. “È cominciato come un hobby, ma poi ho sentito il bisogno di mostrare alle persone quello che faccio”, ha spiegato durante la festa di gennaio.
Helwani andava spesso ai concerti metal e rock. Quando è arrivato in Turchia gli mancava profondamente la musica dal vivo
Creare musica, ascoltarla e condividerla gli svuota la mente e lo spinge a costruire qualcosa per gli altri, racconta. È la cura più efficace che ha trovato. Nel suo lavoro mescola suoni della musica araba tradizionale come l’oud (uno strumento a corde) o artisti popolari siriani (come l’iconica Ayni Tsofia) con brani più occidentali che ha trovato guardando su Youtube i video dei rave di Berlino, dove sogna di suonare un giorno. Ottenere un visto turistico per partecipare a una di queste feste è estremamente difficile per un siriano. Il suo obiettivo è creare una sorta di suono siriano futuristico con un occhio al passato: “Adoro combinare la musica orientale della nostra tradizione con ritmi più occidentali. Credo che porti qualcosa di nuovo”.
Il legame con le radici
Organizzazioni come Douzan sono impegnate a incoraggiare questa forma di espressione culturale. Alla fine del 2022 Rami Magharbeh ha lanciato un programma trimestrale chiamato Notah (nota musicale in arabo) con sette giovani artisti siriani. “L’elettronica è nuova nella nostra regione, ma piace molto a questi ragazzi”, sostiene Magharbeh. “Volevamo combinarla con l’opportunità di conoscere meglio la loro storia e la loro musica, perché quando hanno lasciato la Siria erano troppo giovani e ora stanno perdendo il legame con le proprie radici”.
Gli artisti sono stati seguiti da dj come Hello Psychaleppo, che vive ad Amsterdam. Hanno partecipato a workshop sulla musica popolare – imparando come combinare brani tradizionali e contemporanei – e hanno pubblicato un album collettivo. “È un modo per dimostrare che non siamo bloccati nel passato, che siamo orgogliosi della nostra tradizione ma possiamo anche esprimerci in termini moderni”, dice Magharbeh. E Jamali aggiunge: “Prima che Aleppo si trasformasse in macerie la nostra generazione aveva davanti a sé un futuro luminoso”.
Joudy al Ahmad, operatrice umanitaria di trent’anni e appassionata frequentatrice di Room41, anche lei di Aleppo, si entusiasma quando sente frammenti di melodie popolari o brani della leggendaria cantante egiziana Umm Kulthum o della libanese Fayrouz – che i suoi genitori ascoltavano quando era bambina – mischiati con suoni elettronici. “All’improvviso sento un pezzo di Siria”, dice Al Ahmad. La musica “mi travolge ogni volta con le emozioni”.
Anche i luoghi in cui si svolgono le serate di Room41 – case in stile ottomano molto simili a quelle che si trovano ad Aleppo (le due città, del resto, furono sotto lo stesso impero) o parcheggi sotterranei come quelli in cui si svolgevano le feste clandestine in Siria – sono scelti per risvegliare i ricordi e aiutare chi partecipa a connettersi con tempi più felici, spiega Jamali.
Helwani dice che spesso sente di fare molto di più che scratchare e mixare: “A fine serata la gente viene alla console per ringraziarmi di avergli restituito memorie felici della Siria. Capisci di aver fatto qualcosa di buono per gli altri. Questo dà più importanza alla tua musica, la rende più significativa, soprattutto dopo quello che è successo ai siriani, sfollati per la seconda volta in dieci anni dopo il terremoto”.
Con il secondo terremoto, nella notte tra il 5 e il 6 febbraio, la vita a Gaziantep si è fermata. “Nei giorni successivi le immagini che vedevamo camminando per le strade della città somigliavano a quelle che avevamo visto tra le macerie della guerra”, dice Joudy al Ahmad. Jamali ha avuto pensieri simili quando c’è stato il primo terremoto: per un momento ha sentito di essere di nuovo in Siria sotto i bombardamenti. “Mi ci sono voluti diversi minuti per capire che si trattava di un altro tipo di disastro”, ricorda. I suoi parenti ad Aleppo stavano bene. Sia la casa della famiglia sia la sua a Gaziantep si sono ritrovate con alcune crepe, ma non sono state danneggiate gravemente. Per giorni ha dormito in un rifugio temporaneo finché le scosse di assestamento non sono finite. Lo shock gli ha ricordato l’inquietudine che provava durante la guerra.
Molti degli spazi che hanno ospitato Room41 non esistono più, o non sono abbastanza sicuri per accogliere centinaia di persone. Le vecchie case ottomane sono fuori discussione per motivi di sicurezza, almeno finché non saranno rese antisismiche.
Uno degli spazi più iconici, Bayazhan, un edificio fatiscente nel cuore della città che ospita anche un ristorante e un museo, non ha più il tetto. Il Lebowski blues, avamposto estivo di Room41, è stato trasformato in un rifugio per gli sfollati.
Dopo un periodo di lutto, lo staff di Room41 ha ritenuto che fosse arrivato il momento di organizzare una festa per tastare il terreno. “Tornare è stata un’offerta di pace alla nostra comunità ferita”, dice Jamali.
Jamali vuole far crescere l’offerta musicale del club mantenendo l’atmosfera intima. Intanto si concentra sul prossimo obiettivo
Al Ahmad è una dei tanti sfollati in città. La sua casa è stata danneggiata ma fortunatamente lei può permettersi di pagare per un po’ l’affitto per un altro appartamento, a differenza delle migliaia di persone che vivono negli accampamenti nei parchi o nei rifugi sotterranei. Anche la sua famiglia, che è ancora ad Aleppo, è al sicuro. Il terremoto le ha ricordato la guerra, ma pensa che la tragedia può in un certo senso avvicinare ancora di più Gaziantep e Aleppo, perché i turchi hanno subìto devastazioni e sfollamenti simili. “Non sono andata alla prima festa dopo il terremoto, anche se volevo e ne avevo bisogno, dopo tanto dolore”, ha riflettuto Al Ahmad. “Ma dovevo cercare di sistemare la mia casa”.
Sfidare gli stereotipi
Amr Helwani ritiene che le serate – una volta ricominciate a pieno ritmo – potranno dare sollievo e aiutare le persone a capire che “tutto può tornare e tornerà alla normalità. Abbiamo imparato a gestire il trauma nella guerra, riusciremo a risollevare l’umore della città”.
Per Batoul Mohammad uno dei valori fondamentali di Room41 e della musica che fa è mostrare che i rifugiati siriani portano qualcosa di buono alla gente del posto. “Nei paesi di arrivo c’è lo stereotipo secondo cui siamo poveri e veniamo per rubare posti di lavoro o combinare casini. Ma noi abbiamo personalità, sogni e passioni. Non siamo solo numeri”, spiega.
Oggi Mohammad è l’unica dj siriana in Turchia. Si esibisce con il nome d’arte Om.el Beat, un omaggio alle cantanti arabe di una volta che si chiamavano Umm, “madre” in arabo. I suoi brani sono riconoscibili per le melodie della darbouka – un tipico strumento arabo a percussione, simile a un tamburo, che le ricorda della sua infanzia in Siria – e dell’oud intrecciate a suoni elettronici. Mohammad è grata di aver finalmente trovato a Gaziantep uno spazio sicuro per presentare la sua musica e spera di vedere più donne in questo settore: “Dato che la musica elettronica è spesso un mondo di uomini, può spaventare essere dj donna e migrante. Le persone all’inizio non mi prendevano sul serio. Ma io volevo sfidare chi crede che noi donne non possiamo farcela perché non sappiamo nemmeno dove mettere i cavi”. Attraverso la sua musica dice di voler “unire molti tipi di pubblico, non solo siriani”.
A gennaio, mentre i ritmi techno riempivano una stanza dell’edificio ottomano, Nashwan Jamali diceva: “È grandioso vedere persone che si mescolano in pace e si godono la musica”. Molti dei frequentatori abituali di Room41 sono operatori umanitari per lo più provenienti da paesi occidentali, rifugiati siriani e studenti universitari turchi.
Nei primi giorni della guerra in Siria, quando Gaziantep fu travolta da un numero di rifugiati senza precedenti, le tensioni sociali spinsero turchi e siriani a vivere in bolle separate.
Ma a Room41 questi muri sembrano crollare, almeno per una notte. Le persone ballano e chiacchierano e c’è una sensazione di apertura. “Pensiamo che il nostro modo di colmare il divario culturale si possa replicare ovunque in Turchia”, continua Jamali. Ayse Yılmaz, un’operatrice umanitaria che frequenta abitualmente queste serate, dice: “Ci sono molti pregiudizi verso i siriani, come l’idea che portino violenza e crisi economica nel nostro paese. Ma sento che qui queste tensioni scompaiono. Le persone hanno la mente davvero aperta e sono disposte ad andare oltre”.
Yılmaz racconta che prima di partecipare a questi eventi non aveva mai avuto amici siriani, pur vivendo in una città in cui circa un quarto degli abitanti proviene dalla Siria. È felice di aver incontrato Joudy al Ahmad. “Sono come noi e vogliono solo dimenticare la guerra. Non vengono per farci del male”, afferma Yılmaz. “Abbiamo questa bella cosa in comune, la passione per la musica elettronica. Loro vogliono divertirsi come noi, quindi perché non farlo insieme?”.
Al Ahmad conferma: “È bello trovare nuove persone con cui condividere qualcosa che non sia necessariamente la lingua o la cultura. Con chi viene alle feste siamo praticamente diventati una famiglia che riempie il vuoto dei parenti lasciati in Siria”.
Ritorno ad Aleppo
Room41 a Gaziantep è diventato anche il luogo d’incontro tra dj siriani e turchi. Amr Helwani ha conosciuto Ali Cin, un produttore turco con cui oggi collabora per mescolare sonorità turche e siriane. “Mi sono fatto un sacco di amici turchi. Forse ora ho anche più amici turchi che siriani”, dice Helwani sorridendo. “La musica elettronica è stata un ottimo modo per legare e incontrare nuove persone che vogliono solo divertirsi”.
Anche se le serate di musica elettronica a Gaziantep sono cominciate con gli esuli siriani, oggi alcuni imprenditori turchi stanno entrando nel settore, aiutando la vita notturna della città a svilupparsi.
Jamali spera di tornare con Room41 per dare una forma di guarigione a tutti quelli che hanno subìto il trauma collettivo. La serata di aprile, la prima organizzata dopo il terremoto, è stata un test degli umori della città e un modo di festeggiare la fine del Ramadan. Ha avuto una buona partecipazione, ma più bassa di quella che avevano eventi simili, mentre la vita torna lentamente alla normalità. Alle feste di Room41 venivano persone dalle province vicine. Molte di loro non sono ancora tornate.
Jamali vuole far crescere l’offerta musicale del club mantenendo l’atmosfera intima, e intanto si concentra sul prossimo obiettivo: riportare il concetto di party itinerante ad Aleppo, la città che ha lasciato tanti anni fa.
Si rende conto delle difficoltà dal punto di vista della sicurezza. Con la città che è sotto il controllo governativo sarebbe troppo pericoloso per lui viaggiare, ma è disposto a coordinare i lavori dall’estero, facendo affidamento su una vasta rete di dj emergenti che aspettano il ritorno alla vita normale ad Aleppo. Suo padre, dall’altra parte del confine, si è offerto di stampare i volantini quando sarà il momento. “Le persone si deprimono perché non possono o non vogliono parlare della Siria, ma la vita notturna di Gaziantep regala bei ricordi di casa”, conclude Jamali. “Questa è la nostra resistenza alla guerra e al disastro: la bellezza della musica e il divertimento genuino, selvaggio”. ◆ fdl
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Questo articolo è uscito sul numero 1532 di Internazionale, a pagina 50. Compra questo numero | Abbonati